Capitolo 4- Affrontare la realtà

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Jordan's POV

La forte luce di mezzogiorno filtrò prepotentemente attraverso le tende, illuminandomi il viso e costringendomi ad alzarmi.

Non ricordavo con esattezza a che ora fossi andata a dormire, forse alle 5:15 o giù di lì.
Indossavo ancora il vestito color pesca della sera prima, ormai tutto spiegazzato e rovinato.

I miei capelli castani mi ricadevano disordinati sulle spalle, formando grovigli che non sapevo proprio come districare.

Lanciai un'occhiata alla federa del cuscino, per scoprire amaramente che buona parte del mio trucco si era trasferito lì dalla mia faccia.

Aprii l'acqua e mi buttai sotto il getto caldo, accoccolandomi sul piatto doccia, rannicchiata come se avessi dovuto nascondermi da qualcosa.

O qualcuno.

La vergogna si impossessò di me, ripensai alla scenata della sera prima, che speravo nessuno si ricordasse, a causa dell'ebrezza generale dei presenti.
Bella figura Jordan, complimenti.

Mi venne in mente lo sguardo infuocato di Cole, la sua voce tagliente, che come una lama sembrava farsi strada nella mia carne, fino a pungolarmi il cuore, creando un'esondazione di ricordi, di rimpianti, di tutto quello che avevo faticosamente celato dietro la mia barricata.

Chiusi gli occhi, mi sembrava di rivivere quel momento, le muscolose braccia di King che mi sollevavano, la delusione mista a rabbia nei suoi occhi, l'acqua gelida della piscina che mi accoglieva, i sensi di colpa che mi martellavano da quella mattina.

Boccheggiai, riemergendo da quei pensieri, per essere sommersa nuovamente dai ricordi della mia gioventù.

Ripercorsi mentalmente il vialetto della casa dei miei genitori, l'enorme scalinata doppia che si apriva proprio all'ingresso e le colonne di marmo che sostenevano il peso di quell'enorme casa.

Rividi mia madre corrermi incontro con un tailleur bianco, i capelli sempre raccolti nella sua tipica crocchia ordinata, mentre mi salutava scuotendo la mano, pronta ad iniziare la giornata di lavoro.

Ecco anche mio padre, che usciva dal parcheggio sulla sua Jaguar nera, che mi mandava baci attraverso il finestrino abbassato.

Mi avvicinai all'enorme specchio accanto all'entrata, ero tornata bambina, con le mie treccine scure e il vestitino viola.
Ma poi...
Poi non ero più così.

Riflessa in quello specchio vedevo la Jordan adolescente, la Jordan che tanto aveva sofferto.
Risentivo le grida di mia madre, le porte che sbattevano, i muri che tremavano.

La rivedevo scendere le scale stanca, con i capelli tagliati corti, in modo che non dovesse preoccuparsene, con addosso i pantaloni della tuta e una felpa extra large del suo nuovo compagno.

Gli occhi segnati da profonde occhiaie e gli zigomi di un colore violaceo, così come la maggior parte dei lividi sul suo corpo.

E sul mio.

Ripresi a respirare, spalancai così in fretta gli occhi che quasi mi fecero male, avevo appena rivissuto tutto quello che avrei preferito lasciare sepolto nel profondo del mio cuore, ma la ferita che mi aveva provocato Cole sarebbe stata molto difficile da ricucire.

Le mie lacrime si mischiavano al getto dell'acqua che continuava a scorrere, ormai da quaranta minuti.
Merda.
Chissà che bolletta mi sarebbe arrivata quel mese.

<<Come stai?>> Rochelle mi fece cenno di sedermi sul letto accanto a lei, senza però rispondere alla mia domanda.

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