Parlami con i petali tra i capelli e baciami con la sabbia sulle labbra, in modo da graffiarmi la pelle e mandarmi in frantumi.
Sedeva in silenzio su quella sedia in bianco legno, sotto la finestra della sua soleggiata casa. Le gambe al petto e le mani conserte nel tenere una tazza di caffè caldo, in un pomeriggio di Maggio. I piedi volteggiavano nell'aria tranquilla, al ritmo di quella melodia in sottofondo che riecheggiava nelle stanze. Le gambe sottili e quasi invisibili, le ossa sporgenti e fragili, scoperte; la lieve pelle d'oca a ricoprirle. Una leggera maglietta bianca a fargli da vestito, le cui spalle troppo grandi per le sue misure, si alzava leggermente a scoprirgli l'addome, grazie al dolce vento primaverile che entrava dalla porta a finestra della casa. Le braccia esili e coperte solo dalle spropositate maniche e che, forse, non avevano la forza di alzare altro se non quella ceramica scheggiata. I suoi capelli si spostavano appena, rovinati dalle numerose tinte al colore di petali di primula ma dalla diversa morbidezza che, invece, appartiene alle spighe di grano. Il volto di chi ha pianto e che ha intenzione di farlo ancora; ma, d'altra parte, come biasimarlo? Il labbro gonfio e spaccato e un livido viola, però, interrompevano quella angelica visione; perché Byun BaekHyun era ridotto così, e non per la prima volta.
BaekHyun era quel tipo di ragazzo solare che trovavi facilmente per la strada, a ciabattare insulti e a pavoneggiare quelle insulse ali che presto gli sarebbero state strappate via. Sia di giorno che di notte, i suoi piedi danzavano per le strade di Seoul scansando la verità con piccoli saltelli. BaekHyun era un ventiseienne che si era convinto, con gli anni, di aver capito come il mondo girasse, ma non era stato in grado di prenderne parte; aveva così trovato, come ultimo appiglio, di colorare le sue guance di un leggero rosa e le sue labbra di rosso, appena il Sole iniziava a tramontare. E poi usciva, ancora, e i vicoli più bui non gli facevano più paura.
Era scappato di casa, perché dentro di sé si sentiva un piccolo Peter Pan solitario, con la costante paura del mondo degli adulti. Era partito in quinta, ed era finito per desiderare una fantomatica macchina del tempo, quando si era reso conto che non ce l'avrebbe mai fatta. Pensò che, quando di anni ne aveva quattro in meno, di iniziare l'università era sempre in tempo; ma non poteva permettersela. Per orgoglio, chiedere ai proprio genitori non poteva, anzi, nei suoi piani avrebbe riattaccato con loro i rapporti quando sarebbe finalmente stato un uomo di successo. La strada era più lunga e sterrata del previsto, e BaeHyun si ritrovò a percorrerla da solo.
BaekHyun era solo, così solo che neppure un animale domestico aveva; aveva sempre voluto un cane, ma non avrebbe mai potuto mantenerlo, perché non poteva mantenere neppure se stesso. Aveva cercato lavoro, ma non aveva niente da presentare in suo favore, e nessuno si era voluto prendere un impegno così infantile. L'unica cosa che a BaekHyun era rimasto era il suo bel faccino e la conoscenza della strada anche alle ore più buie. Non ebbe scelta, ma per tirare fuori le gambe da quell'abisso, era finito per immeggercisi dalla testa ai piedi.
All'inizio gli faceva schifo, venir toccato da mani di sconosciuti di qualsiasi età e sesso; BaekHyun non aveva altro da poter fare se non stringere i denti e accettare quei pochi Won per farsi tirare i capelli e distruggere il cuore.
I primi tempi si era promesso che sarebbe stato per poco, "in fondo - pensava - non ho altra scelta. Quando mi sarò procurato qualche libro di testo, sarà tutto finito"; BaekHyun amava i fiori, e spesso i suoi clienti gliene regalavano qualcuno, con la scusa di ricevere così un piccolo sconto sui loro trattamenti. "Oh piccolo BaekHyunie, non mi stancherò mai delle tue delicate labbra sui miei fianchi; sono così morbide e rosse, come i petali delle rose che ho visto stamani dal fioraio sotto il mio ufficio, e non ho potuto fare a meno di pensare a te" si sentiva spesso dire, e ormai non ci faceva quasi più caso. Si limitava a guardare il vuoto con gli occhi spenti, mentre la sua bocca era troppo impegnata per farlo rispondere. E la mattina, alle cinque, quando rientrava nel ridicolo appartamento che condivideva con ragazzi e ragazze della sua stessa età e professione, si spogliava degli abiti sudati e sporchi di terra per le numerose cadute durante il tragitto, e vomitava. Vomitava l'anima e lo schifo che era costretto ad ingerire per poter campare; e poi si metteva lì, sulla cassapanca sotto la finestra sprangata, ad osservare la vita perfetta di chi si alzava e andava a lavoro, a guadagnarsi i soldi per un pulito pane che lui non metteva sotto i denti da anni. E piangeva, perché si faceva schifo; e si odiava, perché era stato uno stupido a scappare da una vita in cui sarebbe cresciuto felice, invece di finire in quel porcile affollato da chi, come lui, aveva sperato che l'innocenza li avrebbe cullati per sempre.
BaekHyun si odiava, passava le sue giornate a dormire su quel letto sporco di escrementi di altri e cimici gialle che gli pungevano le gambe come i rimpianti facevano con il suo cuore. Si strappava i capelli sbiaditi e sporchi, strofinava via dalle sue labbra il rossetto sbavato che sia uomini che donne lo pregavano sempre di tenere quando lo riempivano di baci e insulti, di colpi nello stomaco e voglia di morire in lacrime. Le guance sempre più colorate e scavate, e lo stomaco pieno di lividi che urlava la fame. BaekHyun giaceva nei letti di chiunque fissando la parete, finché non veniva cacciato, sperando che prima o poi qualcuno gli avrebbe offerto un tetto sotto cui riposare; ma non accadeva mai, perché BaekHyun era solo un gioco. Il biondo dai lineamenti dolci perdeva ogni giorno di più la luce che, un tempo, nei suoi occhi spiccava; perdeva la parola e la grammatica, il lessico che le maestre gli avevano insegnato con innocente premura; la capacità di leggere anche il più semplice dei periodi. Se ne rese conto quando, dopo tutte quelle notti, era riuscito a comprarsi il meno costoso dei libri di testo per quel corso di cui, ormai, ricordava a malapena il nome; e sentì le gambe cedergli, fuori da quel negozio di libri, quando si accorse di essere una bambola senza capacità, vestito di stracci al puzzo di urina e macchiati di odio. Perse la ragione o, più che quella, la volontà. La volontà di scegliere, di scappare anche quando la situazione in quelle stanze diventava pericolosa; di dire di no a chi, come fermarsi, non ci riusciva mai. Di dire che il suo corpo era stanco e la sua mente piena di rimpianti, il suo cuore che faceva fatica a dargli colore a quelle screpolate labbra. La volontà di tornarsene in quel posto che, ormai, era l'unico da poter definire casa; si trovò così a vagare soltanto per le strade, a contornarsi il viso di falsa bellezza specchiandosi contro i vetri delle finestre di qualche casa al piano terra, dalle quali spesso intravedeva i dolci sorrisi di famiglie felici, il cui calore, lentamente, non lo sfiorava più. E si lavava sotto la pioggia o nei giardini pubblici quando l'irrigazione partiva alle sette e mezza, prima dell'orario di chiusura; piangeva nel vedersi così, nel riflesso della fontana sul quale attendeva il prossimo uomo bisognosi di un buco in cui mettersi o di una donna troppo sola per chiedere al marito di farla sentire ancora bella e desiderata. Tutti così egoisti, pensava BaekHyun quando si trovava nelle loro lenzuola dal profumo di lavanda e tradimento, perché nessuno lo guardava mai negli occhi quando cercava di chiedere aiuto. E il tempo passava, e il suo corpo si riempiva di lividi e le sue tasche di insulsi petali secchi, perché nessuno vuole più un giocattolo distrutto e vecchio, di cui ormai ci si è stancati. Quando chi gli riempiva il corpo e le tasche di false speranze lo abbandonò, BaekHyun finì definitivamente a lasciarsi andare a tutti coloro che gli afferrassero il polso sul marciapiede e lo trascinassero in una più comoda stanza di motel o nel più vicino vicolo, a sfamarsi come leoni sulla loro fresca preda. Senza più una pretesa e uno standard, BaekHyun si ritrovò a strisciare in ginocchio ai piedi di chiunque gli mostrasse anche la più insignificante banconota da lontano. E gattonava ai loro piedi e li guardava in lacrime, le quali scendevano con estrema rarità, perché non riusciva neanche più a piangere. BaekHyun non sapeva fare altro se non soddisfare i bisogni di chiunque avesse poco o niente da dargli in cambio, e accettava, piuttosto che morire di fare. E si comprava quei tre pacchetti di croccantelle e neanche più uno di sigarette, perché neppure un vizio poteva permettersi. Gli mancava sentirsi i polmoni pieni di fumo e lo stomaco bruciare dopo l'alcool, ma nessuno gliene offriva più; l'unica cosa che riceveva adesso, in più, non erano neanche dei miseri fiori, quanto i colpi di una aperta violenza al sapore di sfogo. Le sue labbra si riempivano di sangue e tagli, il suo stomaco di ematomi e piccole emorragie, il suo petto di costole rotte e le sue guance, alle volte, di tagli; rimaneva inerme a terra, nel luogo in cui veniva picchiato, per ore, a singhiozzare e a far cadere lacrime su gocce di sangue chiaro.
La pelle di BaekHyun che un tempo gli era stata invidiata era finita consumata dal dolore e sfruttamento di mani cieche e bisognose, che non si erano mai riuscite a fermare. E il suo corpo trovava poche volte riposo sotto gli alberi in fiore, quando anche i petali erano in grado di perforargli la pelle sottile. Le panchine divennero il suo letto e i cani dei guardiani il suo peggior incubo, quando i primi giorni di Maggio niente sembrava aver più importanza.
A stento ricordava ancora il suo nome, perché nessuno glielo aveva più chiesto; tanto meno il suo volto, il colore dei suoi occhi, la sua voce. BaekHyun neanche pensava più, e si lasciava soltanto trascinare dagli eventi. Ma Maggio è bello per tanti motivi, come il suo compleanno che, però, non ricordava; non riceveva regali da anni e lui neppure poteva farsene.
Quel giorno, all'ombra su una panchina, BaekHyun stava rannicchiato a fissare i petali cadere leggeri sotto la pioggia leggera; il silenzio che si era esteso ai dintorni a partire dalla sua testa gli torturava le orecchie e il cuore. La pioggia sfiorava il suo viso e si mischiava alle sue lacrime, ma chiuse gli occhi e sperò di morire, quando qualcosa impedì all'acqua di colpirgli la pelle. "Ehi, stai bene?" e gli occhi di BaekHyun si aprirono di nuovo, e pensò di star sognando. "Come ti chiami? Chi ti ha fatto questo?" notò la preoccupazione negli occhi neri dello sconosciuto che gli stava parlando; aveva i capelli neri e al profumo di rose, e il volto di chi è disposto ad amare anche ciò che di norma si odia. BaekHyun scosse la testa, sbatté più volte gli occhi per rendere più nitida quella gentile figura. "Andiamo alzati, non puoi stare qui. Ti prenderai il raffreddore e forse anche la febbre. Dove abiti? Ti riporto a casa". Ma quale casa? Quella era la sua casa. "Abito qui" sussurrò il biondo che, di biondi, i suoi capelli avevano adesso ben poco, "non ho una dolce casa a cui fare ritorno" continuò, per poi sentire nuovamente la pioggia sulla pelle e i piede svolazzanti nell'aria. "Allora ti porto a casa con me, ma tu reggi l'ombrello" gli sorrise, e BaekHyun sentì tepore nel cuore e dentro le ossa, come quando da bambino la nonna lo portava in cortile a cogliere i fiori. "BaekHyun" disse appena, "mi chiamo BaekHyun".
Il corvino lo lasciò toccare un pavimento pulito dopo anni, nel suo appartamento al secondo piano. L'arredo antico e candido circondarono BaekHyun e il suo fragile corpo; "benvenuto a casa" sorrise il giovane, porgendogli vestiti profumati e puliti. "Ti ho preparato il bagno, hai bisogno di lavarti e disinfettarti tutte queste ferite; non risparmiare sul sapone, la tua pelle necessita riguardo" lo guidò il padrone di casa nella stanza dalle tonalità salmone e smeraldo.
Dopo anni, la pelle di BaekHyun veniva sfiorata da dolce fragranze che la bruciavano al contempo, ma il ragazzo continuava a sfregarla come a toglier via il suo passato. E quando si alzò dalla vasca e guardò il suo corpo nudo dopo tanto tempo, si spaventò e desiderò di riavere indietro la sua vecchia e ormai perduta bellezza e, pieno di rimorsi, si diresse nella sala con indosso solo la larga maglia che gli era stata concessa. "Ho preparato il pranzo, se vuoi unirti ce ne è abbastanza per entrambi" si sentì dire, e il cuore gli si riempì d'amore.
"Come ti chiami?" chiese appena mentre sedeva davanti a lui e lo guardava mangiare; "ChanYeol, Park ChanYeol" sorrise l'altro in risposta, "e sono disposto ad aiutarti, se me lo permetterai" e BaekHyun, con un naturale rossore sulle guance, annuì.Sedeva su quella pallida sedia in legno con una tazza di caffè in mano e una larga maglia a coprirgli la pelle; le labbra spaccate in via di guarigione e le gambe al petto. Gli occhi chiusi e l'odore amaro nelle narici e tra le ciocche di capelli che presto sarebbero tornati del loro naturale colore, i piedi stanchi ma danzanti nell'aria, e un cuore che aveva ripreso a battere. Sul piccolo terrazzo che gli stava davanti e sul quale aveva da pochi giorni piantato dei crisantemi, appoggiato sui palmi delle mani e guardando la città sottostante, il suo salvatore sorrideva. Una corona di fiori su entrambe le loro teste, poggiate nei loro capelli, per rendere l'atmosfera ancora più dolce. "Come stai oggi?" gli chiese ChanYeol dando le spalle al mondo per dare attenzioni solo a lui, "sto bene" sussurrò, appoggiando le labbra sui bordi della tazza che teneva tra le magre mani. L'altro si avvicinò "il tuo corpo sta finalmente guarendo; i lividi stanno sparendo e le tue guance sono meno scavate" sorrise sincero, e BaekHyun si alzò avvicinandosi a lui sul terrazzo; "perché hai scelto proprio questi fiori?" domando ChanYeol, accarezzando i piccoli petali nei vasi quando BaekHyun fu finalmente al suo fianco.
"Perché tu mi hai ridato una vita che i ero da solo tolta, e mi hai accolto nella tua casa senza chiedere niente in cambio se non dei sorrisi e la certezza di sapere che sto bene" sorrise per poi guardarlo, "e se a distanza di un anno sono ancora vivo, è grazie a te" e continuò poi dopo una piccola pausa "dandomi amore, carezze e baci che invece, per la prima volta, mi hanno mantenuto in vita". Gesticolò infine, in imbarazzo, mentre l'altro avvicinava il suo corpo al suo, poggiando la testa sui suoi biondi capelli, in silenzio; e guardarono il tramonto e la notte che a BaekHyun non faceva più paura, mentre il vento spostava le pagine sguarcite di quel libro pieno di petali, lasciato aperto sul tavolino da caffè bianco, bianco come era la pelle di BaekHyun un tempo, e la maglietta che indossava.FINE
Chiedo scusa per l'immensa tristezza e gli errori grammaticali ma EHI onepcy C'E' IL LIETO FINE QUINDI NON ODIARMI TESORO.
E boh, spero ti sia piaciuta ;; ma ora muoviti a scrivere una chanbaek grazie,,Per tutti voi altri, beh, spero sia piaciuta anche a voi, ho sudato un pomeriggio intero per stenderla tutta e, tutto sommato, ne sono un po' soddisfatta e quindi sì beh forse ho esagerato con la tematica delicata ma io cose soft non riesco a concepirle..
Grazie per averla letta e a presto,
Cochi
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BLOOMING DAYS ー pcy;bbh | OS
FanficPerché di carezze e baci non è mai campato nessuno. Dedicata a @onepcy