"cause I'm not fine at all"

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First Chapter:

12 Dicembre 2013,Londra.

Era un giornata fredda, il vento era tagliente quanto una lametta. Ero vestita molto pesante, avevo deciso di uscire in giardino, mi avvolsi nella sciarpa e imboccai il vialetto. Un uomo vestito di bianco mi accompagnò per tutto il percorso, poi ci sedemmo su una panchina. Fissavo il terreno, quei ciuffi verdi di erba attiravano la mia attenzione, ero come una bambina ormai, notavo le cose più brillanti ai miei occhi. Mi piegai e vidi una margherita e la colsi immediatamente. L'avvicinai al naso e sentì il suo inebriante odore pervadere le mie narici, mi sentì subito più rilassata. L'uomo mi chiamò e mi fece cenno di andare, fissai per l'ultima volta la margherita e la lasciai sulla panchina. Si, quella margherita ero io, mi ero lasciata andare da più di un anno. Avevo avuto problemi con droga e alimentazione, parlo di bulimia. Da quando ero rimasta da sola, il pensiero di non avere un futuro mi perseguitava, e l'unica soluzione mi sembrava il suicidio. Avevo paura di tutto, tutto sembrava pericoloso ai miei occhi, non ero mai stata una tipa coraggiosa, ma la droga all'epoca mi sembrò l'unica via fuga. Negli ultimi tempi sembravo migliorata, almeno così dicevano i dottori, ma chi vuole credere a quei psicopatici. Ammetto di aver visto delle cose assurde in questo posto, anche i dottori in problemi mentali non scherzano, ma che vuoi farci.

Tornai nella mia stanza, mi spogliai da tutti quei strati e rimasi in intimo. Mi avvicinai allo specchio e osservai la mia figura riflessa. Avevo messo su qualche chilo da quando ero arrivata in questo dannato posto. Le mie cosce ora erano normali, le guance sembrano sfumate verso il rosso, sembrava tutto perfettamente normale. Ma il dolore allo specchio non si riflette. Quelle fitte inspiegabili che sentivo ogni volta che ripensavo a quella notte, non potevano essere normali.Ritornai verso il letto, presi un paio di leggins, un maglione largo e mi rivestì. Uscì dalla stanza per andare alla mia solita seduta giornaliera. Chiusi la porta dietro di me e sospirai, poi andai verso la porta del dottor Cooper. Bussai due volte, poi sentì una voce profonda dire - avanti. -

Spinsi la porta in avanti e feci un cenno con la mano di saluto, mi sedetti sulla poltrona e un senso di oscurità mi pervase.

"com'è andata la passeggiata in giardino?" mi sollecitò il dottore.

"al solito. Faceva molto freddo." Risposi.

Cooper piegò il busto verso di me e incrociò le sue mani. "io ed i miei colleghi ci siamo consultati e siamo giunti alla conclusione, che sei pronta per uscire. Sei pronta Brooke."

Sbarrai gli occhi e misi le mie gambe strette al mio busto. In quell'istante provai un senso di paura, ero insicura di quello che stesse dicendo, io non ero pronta affatto. Mi sentì abbandonata come un anno fa.

"Il passato ritorna continuamente, ne sono consapevole, ma non pensavo che sarei uscita così presto." Dichiarai mentre mi mordevo le unghie delle mani.

"Brooke, hai tutte le capacità di farcela. Devi solo credere in un domani, okay?" Affermò, con dolcezza.

"Okay."

"Prepara tutte le tue cose, che tra poco verrà a prenderti l'assistente sociale per portarti da tua madre." Si alzò e si diresse verso la scrivania.

Rimassi immobilizzata, dopo quelle parole. Mi stavano seriamente mandando da una madre che mi aveva rifiutato quand'ero piccola, figuratevi adesso che ribrezzo che aveva verso di me con tutti i miei problemi. Ero sconcertata, non volevo assolutamente accettare quella condizione di instabilità che mi stavano per dare.

" senta ma non ho altri parenti da cui andare? Non posso farcela con lei." Affermai con gli occhi lucidi.

"Mi dispiace, ma è l'unico parente che ti è realmente rimasto." Dichiarò e mi diede il foglio di dimissioni.

Lo presi e uscì, tornai in stanza e presi tutte le mie cose. Avevo una valigia abbastanza proporzionata, per la maggior parte lo spazio all'interno era occupato da antidepressivi e calmanti. Mi raccolsi i capelli in uno chignon scomposto, alzai la borsa da terra e uscì. Arrivai nel salone e vidi l'assistente sociale sulla poltrona, con delle scartoffie in mano. Si voltò, si abbassò gli occhiali sul naso e disse "Brooke giusto?" Domandò con aria insospettita.

"si." Fui secca nella risposta.

"perfetto, prendi la valigia e andiamo." Si voltò e si incamminò verso la macchina ed io la seguì.

Il viaggio in macchina fu silenzioso, sembrava infinito, avevo quella fottuta paura che sarebbe successo qualcosa a cui non porre rimedio. Ero nelle mani di un'idiota adesso e non sapevo se potermi fidare. Arrivammo all'aeroporto. Mi insospettii subito, per quale motivo ero lì. La mia vita era uno stupido errore, ed ora andando incontro alla persona che mi ha rifiutata sarebbe diventato un incubo.

"Prendi le tue cose, ora ti accompagno dentro e poi prendi l'aereo per Dublino. Lì ci sarà tua madre ad aspettarti." Disse con fare distratto, mentre cercava i miei documenti nella sua borsa.

Scendemmo dalla macchina ed entrammo all'interno. Mi diede tutti i documenti, compreso il biglietto aereo e mi lasciò "DA SOLA". Entrai nel panico, incominciai ad avere i conati di vomito ed i crampi allo stomaco. Passai i controlli e tirai fuori dalla valigia le pasticche e le deglutì. Aspettai per un'ora e poi salì in aereo, ero affianco al finestrino, fortunatamente. Avevo accanto a me due anziani signori che mi squadravano dalla testa ai piedi come se fossi un alieno. Si ero al quanto inquieta, tremavo ed ero piegata su me stessa.

L'aereo decollò e il viaggio durò circa un'ora e mezza. Durante il tragitto aereo-parcheggio, ascoltai la musica a palla, almeno non pensavo. La gente correva da una parte all'altra, il che non faceva altro che confondermi, l'ansia ritornò e mi accostai in un angolo in cui non passava molta gente. Cercai di calmarmi, poi ripresi a camminare. Mi feci largo tra la folla e raggiunsi l'uscita, vidi un cartello con su scritto BROOKE TEARS. Mi avvicinai, a quella donna sulla quarantina, magra e alta, con gli occhi color smeraldo esattamente come i miei, con i capelli rosci. Con incisione e fermezza la donna chiese "sei Brooke?"

"si, mamma." Affermai con freddezza.

Accennò un sorriso e si risparmiò le solite frasi fatte del tipo quanto sei cresciuta, o stronzate simili. Mi presentò il suo nuovo compagno, un certo Bob. Morivo dalla voglia di scappare via, eppure c'era qualcosa nel mio cervello che me lo impediva. Socchiusi gli occhi e mi sentì quasi svenire, una mano mi circondò il bacino e mi accompagnò fino all'auto. Dormì per tutto il viaggio, aprì gli occhi e vidi l'insegna "MULLINGAR" il che significava che eravamo quasi arrivati a casa. Appoggiai il viso sul finestrino, sembrava di vivere in un incubo, mi chiedevo quando mi sarei svegliata. Attraversammo un pezzo di campagna e poi arrivammo in questa cittadina. Ci fermammo dinanzi ad una grande casa rurale, mi guardai intorno e notai una persona affacciata alla finestra della casa di fronte. Era un ragazzo, biondo più o meno della mia età credo. Mi fissava, non distoglieva lo sguardo da me, era al quanto inquietante, quel posto mi stava già dando ai nervi. Entrai in casa e posai la valigia a terra. Ero disorientata, stavo per iniziare la convivenza con due persone perfettamente sconosciute, c'era solo un legame di sangue che ci univa, ero in un posto di cui non conoscevo nulla, nemmeno credevo che esistesse un posto del genere in Irlanda. La ciliegina sulla torta di tutta questa faccenda, era essere lontana dalla città in cui ero cresciuta, il che rendeva il tutto ancora più snervante.

"Brooke vieni che ti mostro la tua stanza." Mia madre alzò la valigia da terra e si diresse in corridoio ed io la seguì con passo svelto.

Mi mostrò la stanza, che era al quanto bizzarra. Le pareti erano di un rosa accesso quasi accecante e le coperte con le fate, al quanto ridicole. Mi limitai a dire "grazie, ora puoi andare" .

Mia madre uscì e finalmente riuscì a rimanere da sola, per affogare nella mia frustrazione. Presi altri due calmanti e poco dopo mi sentì meglio. Riposi tutte le mie cose nell'armadio in ordine decrescente, beh, si ero una maniaca del controllo e dell'ordine. Non sapevo cosa fare, non avevo più le sedute che mi occupavano la giornata quindi decisi di iscrivermi nuovamente a facebook. Ricevetti subito le richieste di amicizia, dai miei vecchi amici, se si possono definire così. Mi avevano voltato le spalle dal primo all'ultimo da quando ero entrata in rehab, per loro ero quella "PAZZA". Mentre girovagavo per la home ricevetti una richiesta di amicizia da un ragazzo, stranamente non avevamo amici in comune. Entrai nel suo profilo e lo riconobbi immediatamente, era il ragazzo di prima, quello affacciato alla finestra. Com'era arrivato a me?

Ora mi mancava solo scoprirlo.

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