Stavo camminando mano nella mano con mia madre, era sera, faceva freddo da morire e la mia magrezza di certo non aiutava.
Mio padre era proprio dietro di noi, controllava che tutto fosse a posto, dopotutto vivevamo in una zona malfamata.
Ad un certo punto ci disse sottovoce di accelerare il passo: delle persone ci stavano seguendo da qualche tempo. Non avevamo soldi, non avevamo gioielli, eppure ci avevano seguiti fino alla baracca dove dormivamo ogni sera.
Il più grosso, lo Smilzo, così lo avevano chiamato i suoi due compari, prese mia madre per un braccio ed iniziò a spogliarla per cercare collane o bracciali nascosti dai vestiti.
Mio padre, che era praticamente pelle e ossa non riusciva a divincolarsi dalla presa degli altri due, urlava solo di lasciarci andare, che non avevamo soldi ne gioielli ed io rimasi rannicchiata contro il muro in preda al terrore.
Quando lo Smilzo non trovò nulla sul corpo di mia madre, se non le ossa che spuntavano quasi bucando la pelle, decise con non era nemmeno il caso di abusare di lei, troppa poca carne da toccare.
Premette direttamente il coltello sulla gola, ed un rivolo di sangue scuro si trasformò in un fiume quando incise anche la carotide.
La lasciò cadere in terra, inerme e spogliata di tutto. Mio padre aveva smesso di urlare e parve svenire alla vista di quello che era appena successo.
Uno dei due uomini che lo stava tenendo fermo tirò fuori dalla tasca una fiaschetta, se la portò alle labbra e scoprì che ormai era vuota.
Con gesto stizzito la gettò in terra e prese mio padre per il bavero del giaccone che indossava
- sacco d'ossa, non è che per caso hai del whiskey nascosto in questa lurida giacca?-, ma mio padre non rispose, shockato da tutto quello che era appena successo. Lo Smilzo gli si avvicinò, e frugò nelle tasche dove non trovò niente. Quello che lo teneva per il bavero lo buttò in terra, e insieme tutti e tre lo riempirono di calci, rompendogli ogni osso possibile e dicendogli le parole più indicibili.
Io ero ancora contro al muro, però non guardavo, avevo già visto troppo. Avevo solo dodici anni, sarei dovuta fuggire, ma le mie gambe me lo impedivano e sembrava quasi che i tre uomini si fossero dimenticati di me.
Finito di picchiare mio padre però lo Smilzo mi si avvicinò e mi prese il viso con la mano grossa e nodosa per spostarlo alla luce e vederlo meglio.
Si passò la lingua sulle labbra
- ehi, lei è fattibile, facciamoci questa verginella-
la sua voce roca si perse per il viottolo e i due si avvicinarono. Lo Smilzo fece cadere ai suoi piedi il coltello ancora insanguinato per liberarsi le mani. Quando cadde l'arma si sentì un tintinnio di metallo sulla lastra di pietra e poi scivolò proprio vicino a me. Lo osservai per qualche istante, giusto il tempo di realizzare che ero rimasta sola e che non volevo morire. Mentre l'uomo davanti a me si slacciava le brache tutto eccitato, io feci un gesto rapido con la veste lunga che indossavo, coprii il coltello e lo trascinai verso di me, il buio mi fece da scudo, nessuno se ne accorse. I due uomini si abbassarono anche loro i pantaloni, pronti con il loro arnese in mano mentre lo Smilzo era già in posizione, mi prese ancora il viso con la mano e lo portò al'altezza del suo membro.
- Avanti, succhiamelo e fammi felice, che poi io farò felice te - e rise, insieme agli altri due che se lo stavano già massaggiando, pronti a prendere il suo posto una volta finito di fare ciò che voleva.
Io rimasi immobile, trattenni le lacrime che ormai erano scese copiose e strinsi il manico del coltello nascosto sotto la veste - avanti puttanella muoviti altrimenti mi diventa più moscio di prima!- e fece più forza sulla mia testa, ma io ancora resistevo, non volevo e non l'avrei fatto, a costo di ucciderli tutti e tre.
Con una mossa un poco goffa lo accoltellai proprio li, più volte, e le sue urla riecheggiarono come se fossero quelle di un demonio, roche e spaventose. Mi divincolai così dalla presa ed estrassi il coltello da sotto la veste che ormai era bucata e sporca del sangue di quel maiale, mi alzai di scatto colpendolo ancora con il coltello sul ventre, mentre lui si teneva con le mani il membro quasi completamente mozzato.
Mi voltai verso gli altri due che erano rimasti impietriti e mentre erano ancora impacciati per via delle brache calate, corsi verso di loro e li colpii uno per uno con il coltello, direttamente sul collo, recidendo le vene. Caddero in terra tenendosi le mani alla gola e del sangue usciva dalle loro bocche. Era buio e la scena non mi fece troppo effetto. Volevo solo sopravvivere e vendicare i miei genitori, avevo una forza dentro di me che non sapevo di avere, forse dovuta agli anni di patimenti e di miseria.
Lo Smilzo non era ancora morto, me ne accorsi perché farfugliava qualcosa, così mi avvicinai a lui, tenendo saldamente il coltello nella mano destra sbiancandomi quasi le nocche dal tanto che lo tenevo stretto.
Ricordo che dal coltello cadevano delle gocce di sangue e che poi sferrai un altro colpo al ventre.
Lasciai cadere in terra il coltello ed esaminai quello che avevo appena fatto. Di certo nessuno dei tre sarebbe sopravvissuto.
Mi trascinai contro al muro. La stanchezza e l'adrenalina ormai esaurita mi fecero assopire.
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Frammenti
RomanceLa vendetta non sempre è la scelta giusta, ma dopo tutto quello che ho sofferto è la scelta migliore per poter rendere il mondo in cui vivo un luogo migliore per chi amo.