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Evie

Molti mi avevano dato della matta, sofferente di allucinazioni e da ricovero psichiatrico, altri mi evitavano, mentre altri ancora parlavano male di me alle mie spalle.
Io mi definivo semplicemente una ragazza che vedeva cose che le altre persone si rifiutavano di vedere perchè troppo fuori dal comune o difficili da spiegare.
Nell'ultimo periodo, a Beacon Hills, si erano verificati omicidi talmente strani da essere sospetti.
Tutti i cadaveri erano accomunati dalla presenza di morsi e graffi di lupo sparsi per tutto il corpo, ma io mi rifiutavo di credere alla spiegazione che la polizia dava.
Tutti sapevano, o almeno speravo che lo sapessero, che i lupi in California non esistevano più, a causa di una migrazione, e che non attaccavano dentro i negozi, sfondando vetri.
Eppure a Becon Hills erano successi variegati casi del genere.
Stanca di essere etichettata come "la pazzoide di turno" avevo deciso di entrare a far parte del giornalino scolastico, così -indagare sugli omicidi in cui erano coinvoli soprattutto studenti- mi sarebbe risultato molto più semplice.
Mi ero comprata una macchina fotografica (a volte mi sembrava di essere Peter Parker) e avevo iniziato a fotografare le scene del crimine a insaputa della polizia.
Fortunatamente, non mi avevano mai scoperto.
La maggior parte delle volte, stampavo le fotografie e le disponevo ordinatamente sulla mia scrivania, in modo che avessero una conessione logica.
La prima volta che mia madre le vide si mise a urlare e io le spiegai che ero entrata nel corso di teatro e che quelli fotografati erano solamente manichini.
Era così facile mentirle.
A volte, mi portavo le prove a scuola e le esaminavo in bagno o durante le noiose lezioni di economia, cercando di non farmi notare dal coach Finstock.
Odiavo quell'uomo e il suoi inutile fischietto, ma le sue ore erano prezioso tempo per la svolta delle mie indagini.
Per evitare che l'uomo più odiato e allo stesso tempo adorato della scuola mi scoprisse, guardavo dritto davanti a me ma nel frattempo pensavo a una possibile spiegazione.
Ovviamente non seguivo la lezione, ma l'insegnante non mi aveva mai notato.

«Stilinski!» l'urlo che il coach Finstock fece riuscì a far sobbalzare, oltre al ragazzo, anche me.
Ringraziavo il fatto che mi mettessi sempre in ultima fila, in modo tale da non fare notare nè me stessa nè quello che stavo facendo .
Stiles si risvegliò da quello che sembrava essere un sogno e, sotto le risatine della classe, si sedette compostamente e tornò a seguire.
C'erano tre parole che potevano descrivere Stiles Stilinski alla perfezione: era curioso, iperattivo ed estremamente insopportabile, ma forse era il suo essere completamente fuori dagli schemi a farmelo piacere.
Il ragazzo più imbranato di tutta la squadra di lacrosse, e probabilmente di tutta la scuola, aveva attirato la mia attenzione alla festa di fine anno della prima elementare, quando per sbaglio aveva fatto cadere il suo gelato al cioccolato sulla mia maglietta preferita, sporcandola tutta.
E, invece di chiederemi scusa, mi aveva rivolto uno sguardo ed era letteralmente scappato via, raggiungendo Scott, il suo migliore amico.
Per tutta l'estate lo avevo odiato, ma poi, quando all'inizio della seconda elementare mi aveva regalato una margherita e rivolto delle scuse sincere mi ero ricreduta.
Da quell'episodio, il bambino dagli strambi modi di fare era stato un pensiero fisso, sempre presente nella mia mente e a cui aggrapparmi nei momenti di difficoltà.
Stiles cresceva, ma il suo carattere paranoico e sarcastico rimaneva sempre lo stesso.
Io crescevo, eppure -a differenza sua- il mio essere ottimista spariva e un nuvo sentimento del tutto estraneo faceva capolinea nella piccola scatola che conteneva tutte le mie emozioni.
L'amore, l'affetto per una persona che non facesse parte della mia famiglia.
Qualche anno dopo, Stiles perse la madre.
Non dormiva mai e ciò si poteva notare dalla presenza di profonde occhiaie violacee sotto i suoi occhi.
Andai al funerale e, alla fine, mi feci coraggio e mi avvicinai a Stiles.
Non ci fu una conversazione tra di noi, perchè fu più un susseguirsi di sguardi affranti, tristi, stanchi da parte sua e incoraggiatori da parte mia.
Non gli dissi la frase «Ti capisco» perchè non potevo comprendere le emozioni che si provavano alla perdita di un proprio caro.
Semplicemente, mi limitai ad abbracciarlo.
Poteva sembrare un'azione avventata visto che non ci parlavamo e conoscevamo molto, ma mi sembrava la cosa giusta da fare in quel momento.
Stiles ricambiò e si lasciò andare in un pianto silenzioso sulla mia spalla.
Era solamente un bambino, non meritava tutto questo.
Per un attimo rimasi pietrificata -non essendo preparata a un eventualità del genere- infatti, solamente qualche secondo dopo, iniziai ad accarezzargli la schiena e a sussurargli frasi dolci, cercando di stare lontano dall'argomento "lutto".
Quello fu il nostro momento più intimo e anche l'unico che avemmo.
Il giorno dopo, entrambi facemmo finta che nulla fosse accaduto e continuammo le nostre vite, lui nel suo dolore, io nella mia indifferenza.

Lovestruck||Stiles Stilinski (prossimamente)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora