Capitolo I

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-Basta! Non ce la faccio più! Cosa vi ho fatto di male? Cosa ho fatto per meritarmi questo?!
Urlai ai miei genitori con gli occhi lucidi prima di sbattere la porta di frassino e chiudere a chiave con rabbia.
Non ne potevo più di sentirli litigare ogni giorno, vedere mio padre urlare, mia madre piangere, arrivavano a questo con delle cavolate; forse non capivano che ad assistere c'ero io, la loro unica figlia, che stava male per tutto quello.
Esausta, andai a stendermi sul letto, mi asciugai le lacrime che mi offuscavano la vista, pronte a rigarmi le guance, e dopo un infinito rigirarmi in cerca di una posizione comoda, mi addormentai rannicchiata in un angolo, con il mio bel pigiamone largo ricoperto di orsetti; mi ricordo che lo presi perchè mi metteva di buon umore; cosa che non avrei avuto qualche ora dopo.
Mi svegliai nel bel mezzo della notte, non per un incubo, nemmeno in una pozza di sudore, ma infastidita, infastidita da qualcosa; cercai di leggere l'ora su l'orologio digitale, con i numeri di un verde brillante, che si trovava sul comodino vicino al letto, ma non ci riuscii.
"Oh si miopia, ti voglio bene anche io"
Pensai, non mi sforzai neanche di prendere gli occhiali rotondi proprio accanto alla sveglia che ributtai la testa sul cuscino e aprii le braccia.
Pensierosa, tornai al fastidio che mi aveva svegliata, sentivo fresco, non freddo, fresco, quel fresco che ti fa rabbrividire, come quando d'estate lasci la finestra aperta in una serata ventosa, e come se ogni singolo soffio di vento, in quella notte, senta il bisogno di entrare proprio dalla tua finestra, in camera tua.
Guardai proprio la finestra, era stranamente aperta, ed ero certa che prima di andare a cena, la sera prima, l'avevo chiusa ben bene per non fare entrare quelle maledette zanzare o tantomeno insetti, odio gli insetti, soprattutto i ragni, rabbrividisco solo al pensiero.
Non so con quale coraggio, invece di tirarmi il lenzuolo fin sulla testa, che mi aveva sempre protetto dai mostri fino a quella sera, mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra a piedi scalzi; per sicurezza impugnai la mia infradito blu nel caso qualcuno avesse tentato di uccidermi; mia madre con non so quale mistico potere riusciva sempre a far male con questa, magari ci sarei riuscita anche io.
Niente.
Niente di strano.
Non vidi altro che i soliti monti ricoperti dalla Foresta Rossa e il solito mulino a vento che continuava a girare imperterrito, proprio come una girandola; per qualche secondo rimasi a contemplare quella vista: amavo la campagna, silenziosa com'era, andare a leggere nella Foresta, nel mio posto segreto sotto l'albero di acacia, l'unico che si distinguesse in quell'aggrovigliarsi  di aceri, stare all'aria aperta e andare al ruscello a vedere le rane saltellare da una pietra all'altra o sentire il rumore dell'acqua che scroscia e si infila in ogni piccola insenatura, amavo tutto quello, mi sentivo...io.
mi voltai e feci per tornare nel letto, al caldo.
Ad un passo da questo mi sentii sollevare, proprio come se tutto d'un tratto avessi imparato a volare.
Andai nel panico, guardai in basso e vidi un'enorme cosa scusa, come le tenebre, che mi teneva stretta in vita e cercava di trascinarmi, da quanto stringeva rimasi senza respiro per qualche secondo, come quando prendi una forte botta al petto; cercai invano di aggrapparmi alle coperte arancioni del mio letto nella speranza di desistere a quella cosa, cedettero quasi subito, a quel punto provai ad urlare, ma non uscì niente, solo un leggero stridulo che quasi mi strozzò; non so per quale motivo, mi arresi, forse esausta, o consapevole del fatto che non sarei riuscita ad arrivare a niente opponendomi.
chiusi gli occhi e lasciai a quella cosa di trascinarmi a se fuori dalla finestra, il vento freddo in pochi istanti mi congelò il naso e i piedi scalzi che penzolavano nel vuoto, ero molto in alto.
La prima cosa che pensai dopo "VI PREGO SOFFRO DI VERTIGINI SALVATEMI" fu "se questo coso mi lascia cadere userò la coperta come paracadute, spero che i cartoni animati non mi abbiano mentito su questo"
Ma non lo fece, quella cosa non mi lasciò cadere, anzi, allentò la presa e riuscii a respirare senza durare tanta fatica.
Mi decisi a cercare di capire cosa fosse quella cosa che mi aveva appena preso da casa mia e trascinata fuori.
Grazie alla luce di un lampione vicino a noi riuscii a intravedere una mano, la cosa che mi teneva stretta era una mano, legnosa. Alzando lo sguardo, un po' più in su, vidi un volto, sembrava un ammasso di legna, ma con sembianze umanoidi, non ne ero certa, la luce del lampione pulsava e non riuscivo a distinguere bene le forme e i colori.
Cercai di mettere a fuoco, strizzando gli occhi, quella cosa era un... un mostro, ecco, enorme, composto da rami scuri che spuntavano da ogni parte del suo corpo, con gli occhi di un giallo brillante, come due gemme, incastonate, che gli illuminavano il volto privo di naso e bocca, quasi mi accecarono. della nebbia oscura, che fluttuava e lo circondava, lo rendeva ancora più inquietante di quanto non fosse già.
Mi fissava imperterrito, cercai di non sembrare spaventata, ma non ci riuscii, avevo tutti i muscoli del corpo tesi, pietrificati, cercai di stare immobile perché "magari non mi vede".
Volevo solo urlare e svegliarmi, sperando che tutto quello fosse solo un brutto sogno, ma niente.
Dopo poco mi decisi a parlare, in preda al panico.
-C-Che cosa vuoi? C-Chi S-sei?
Dissi al mostro.
Lui mi fissò con i suoi luminosi occhi per qualche secondo, poi un forte rumore nella Foresta Rossa raccolse la sua attenzione, sembrava spaventato, o meglio, preoccupato. con le sue grosse e legnose gambe si incamminò verso quest'ultima, un passo pesante e rumoroso dopo l'altro; non so come abbiano fatto mamma e papà a non svegliarsi dato tutto quel baccano, fatto sta che quella cosa mi stava rapendo.
Iniziai ad urlare, usufruendo di tutto il fiato che mi era rimasto nei polmoni, e dopo l'ottavo "METTIMI GIÙ!" Si fermò di colpo, mi guardò dritta negli occhi, quasi sobbalzai, e, senza aspettarmelo, parlò.
Da delle fessure ramificate che aveva sulla faccia uscì una voce grossa, gelida, fredda, cupa.
-La prego di fare silenzio, signorina Raven.
Disse il mio nome, quel coso enorme sapeva il mio nome, non so chi o cosa glielo abbia detto, ma lo sapeva e basta. Suonò quasi strano sentirlo; i miei genitori non lo pronunciavano spesso, come se sfuggisse alle loro menti.
tornò a camminare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 23, 2019 ⏰

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Quella volta in cui non diedi la buonanotte a nessunoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora