ultima parte

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V

Passammo la notte in ospedale insieme. Ci lasciarono restare entrambe perché il medico di turno preferì non approfondire il discorso delle due mogli. Forse lo divertiva, forse aveva da fare cose più importanti che cercare di entrare nelle beghe private di famiglie "allargate", come si dice oggi.

Giorgio stava molto male, il nuovo ictus sembrava, questa volta, ben più serio del precedente. La mattina seguente decisero di portarlo in sala rianimazione. Eravamo desolate e ci sentivamo un po' in colpa. Forse quella sera avevamo esagerato, ma lo avevamo fatto perché ci era sembrato che la cosa migliore fosse di trasformare in gioco qualcosa che, altrimenti, poteva essere una tragedia... Chi disse che la commedia è il lato B della tragedia?

Man mano che io e Floriana ci raccontavamo le reciproche versioni delle nostre storie con Giorgio, ci rendevamo conto che il "nostro" uomo doveva avere una mente davvero perversa. Dopo aver gestito per anni la sua bigamia di fatto con l'andreottiana tecnica del "divide et impera", doveva aver deciso, arrivato ormai alla terza età, che il gioco lo annoiava, che voleva cambiare tavolo, senza però perdere nulla di quanto guadagnato sul primo. Le sue ultime cartucce voleva utilizzarle con una preda di primo pelo e non con due femmine ormai spelacchiate come noi. Solo che il gioco gli aveva preso la mano ed aveva deciso di eliminarci letteralmente entrambe, Floriana facendola assassinare (da me) e me mandandomi in galera come l'assassina. Già perché la risposta alla domanda: "Perché le gocce a Floriana non aveva voluto darle lui?" Era perché io dovevo lasciare tracce inequivocabili in casa sua e quando lui avesse espresso i suoi dubbi alla polizia: "Sa, Commissario, mia moglie odiava Floriana perché io non volevo lasciarla", per il Commissario sarebbe stato un gioco da ragazzi risalire a me, l'unica che avrebbe avuto un movente. Così, morta Floriana e in galera io, avrebbe avuto mano libera sul patrimonio che Floriana gli aveva già generosamente donato con il suo incauto testamento.

Capito questo, decidemmo di fargliela pagare, ma scherzosamente, come due che, scampato un pericolo o un incidente mortale, gli viene da ridere, forse per il nervoso, invece che da piangere. Così quella sera lo invitammo a cena.

In realtà, il giorno precedente, Floriana, insospettita dal fatto che il mattino dopo la sera della mia intrusione in casa sua, Giorgio la guardasse stranito e le chiedesse continuamente "Come ti senti, cara?", aveva deciso di utilizzare subito il numero di telefono che, con stupore, aveva trovato accanto alla sua boccetta. Così ci eravamo incontrate e avevamo deciso insieme, dopo il nostro colloquio, della cena.

Lo invitò dunque Floriana proprio in quel romantico Ristorantino sul Tevere nella cui toilette avevamo, io e Giorgio, sbollito i nostri iniziali ardori di novelli coniugi e dove io avevo intravisto per la prima volta Floriana. Il motivo inventato dell'invito era per festeggiare la decisione di Floriana di sospendere l'assunzione delle gocce: "Amore, sto molto meglio, la tua vicinanza è stata per me una medicina miracolosa, ho deciso che basta con le gocce, voglio ritrovare la serenità con te e voglio anche che torniamo a dormire insieme, torniamo a fare quello che due persone innamorate fanno".

Giorgio trovò strana quella decisione, ma non poteva rifiutarsi a tanto amore, ma soprattutto non poteva neanche lontanamente immaginare che al tavolo del Ristorantino romantico avrebbe trovato seduta anche me. Ma neanche noi potevamo immaginare che il vedermi seduta li, tutta sorridente, potesse provocare in lui una sorta di cortocircuito sinaptico, per cui, in una frazione di secondo capì di essere ormai perduto, di non avere scampo, pensò che tutta la sua laboriosa costruzione stava crollando come le Torri Gemelle di New York, implodendo su se stessa.

Sbiancò, barcollò, si portò la mano alla testa e stramazzò a terra.

Mentre stavamo nel salottino buono della sala di rianimazione, entrò, timidamente, una giovane donna sui trent'anni, graziosa, pallida, con una lunga treccia nera e l'aria vagamente magrebina. Con un forte accento straniero ci chiese se potevamo aiutarla a trovare un signore, un degente, ricoverato d'urgenza la sera prima. Lei parlava male l'italiano e forse aveva capito male quello che il proprietario del Ristorantino sul Tevere le aveva detto: "Il signore che sta cercando, ieri sera, prima che lei arrivasse, si è sentito male ed è stato portato all'ospedale dall'ambulanza". Lei si vergognava di chiedere al personale addetto, perché avrebbero voluto sapere chi lei fosse, e lei era, diciamo, un'amica, non (ancora) parente. Chiedemmo, ma la domanda era retorica, come si chiamasse il signore in oggetto e lei con un fil di voce e abbassando gli occhi: "Giorgio".

Io pensai: "Ma guarda che stronzo!".

Floriana pensò: "Mio dio, la coazione a ripetere!"

E insieme dicemmo: "Si, è qui e noi siamo le sue due mogli".

La giovane marocchina (come venimmo a sapere dopo) non svenne solo perché la poligamia è un fatto non poi così strano nel suo paese, ma si sedette e cominciò a piangere. Creatura!


EPILOGO

Giorgio se la cavò, anche questa volta, ma con un leggero danno cerebrale, irreversibile, che lo costrinse in carrozzella per il resto dei suoi giorni, con qualche difficoltà di parola (area di Broca lesa) e una leggera incontinenza, risolvibile con il pannolone.

La giovane marocchina, Suad, che già da prima faceva la badante, si offrì generosamente, dietro congruo stipendio e messa in regola, di occuparsi delle faccende per così dire "basse", in tutti i sensi, del povero Giorgio. Cosa che lui sembrava gradire.

Io e Floriana decidemmo di comprare una villetta con giardino a qualche chilometro da Roma, dove andare a vivere insieme, Giorgio e badante compresa. La casetta fuori Roma era stata scelta anche affinché, senza troppe complicazioni, Giorgio potesse prendere aria nel bel patio al piano terra, con vista giardino, quando faceva bel tempo. Per il resto se ne stava davanti alla tv con il telecomando in mano tutto il giorno.

Io lasciai definitivamente e senza troppi rimpianti il noioso e gentile pensionato, dal quale comunque mi ero ormai già da tempo allontanata con il corpo e con l'anima, presa com'ero dagli ultimi turbolenti eventi della mia vita matrimoniale.

Quanto a Giorgio comunicava soprattutto con lo sguardo e ho sempre avuto l'impressione che quando io o Floriana ci avvicinavamo a lui per accudirlo, nel suo sguardo passassero lampi di vero terrore, che si disperdevano solo al nostro allontanarci, per cui lo affidavamo sempre di più alle abilità manuali di Suad nei cui confronti, invece, non sembrava nutrisse alcun timore.

Floriana mostrò una sorprendente generosità economica anche nei confronti di Riccardo, il che gli permise di iscriversi, come desiderava, ad una prestigiosa Università Americana per un Master molto costoso.

Anche tutte le altre spese, Suad compresa, vengono ancora oggi tutte sostenute con signorile nonchalance da lei ed io sono finalmente riuscita a liberarmi del mio noiosissimo capufficio rampante. Con un piccolo investimento iniziale abbiamo insieme aperto un Sushi-bar in centro, che va alla grande e di cui mi occupo divertendomi.

Ogni tanto ripenso a quella sera in cui, mentre mi stavo lavando i denti, mi telefonò Riccardo per darmi la notizia del primo ictus di Giorgio. Mi chiedo cosa sarebbe la mia vita oggi se non avessi accettato la "proposta indecente" e se a quella prima non ne fossero seguite altre, altrettanto "indecenti", ma così foriere di cambiamenti. Me lo chiedo, con una sorta di brivido di piacere, soprattutto verso le due del mattino, quando, rientrando a casa dopo una piacevole serata di lavoro al Sushi-bar, vedo la luce della tv ancora accesa nella stanza di Giorgio e penso che, in fondo, anche lui ha avuto ciò che voleva... tutte le donne della sua vita accanto a sè.

(ultima parte)Where stories live. Discover now