A volte mi chiedo se i sentimenti esistano davvero o se siamo noi stessi a volerli inconsapevolmente provare, felici o dolorosi che siano, per scappare da una monotona apatia.
Ci sono giorni in cui mi trovo stesa sul letto a fissare il soffitto, si potrebbe pensare che sia persa tra i pensieri e che li stia proiettando sul bianco della mia camera, ma non è cosi.
La mia mente si svuota, penso al nulla, provo il niente e sento il silenzio.
Sono momenti in cui mi allontano dall' esistere, a tratti nemmeno avverto il mio respiro o il sangue che mi scorre nelle vene, a tratti sono solo un corpo senza anima, un corpo morto.
Ciò accade solitamente quando c'è il Sole e il cielo è ancora azzurro, quando la luce mi trasmette quel senso di tranquillità che inspiegabilmente si trasforma in solitudine.
Tutt' altra storia è invece la notte, dove l' anima riprende ad urlare e le sue grida sono talmente forti che il mio orecchio le ignora per non esplodere.
Eppure io lo percepisco che mi sta chiedendo aiuto, ha un coltello dentro e dalla ferita sgorga infinito sangue nero; prima o poi dovrebbe morire no? Quando si perde troppo sangue ci si spegne, giusto ?
Il suo destino, invece, è un altro: quello di continuare a lacerarsi e a consumarsi per via dei pensieri che puntualmente la attraversano e spingono il coltello più affondo.
Vi ricordate quando a scuola avete studiato il ciclo dell' acqua? Dopo l' evaporazione, c'è la condensazione: in cui l' acqua divenuta vapore ritorna allo stato liquido, per poi precipitare di nuovo sulla terra.
Ci sono notti in cui posso paragonare il mio umore a questo, ma senza l' ultimo passaggio: la precipitazione.
È come se sentissi il bisogno di piangere ma non ci riuscissi, come se l' acqua una volta condensatosi si ghiacciasse e rimanesse sospesa nell' aria.
Così che il nodo che mi ritrovo spesso in gola non si scioglie perché le lacrime si pietrificano dietro gli occhi, un secondo prima di uscire.
Ci sono, poi, occasioni in cui la sofferenza diventa un tutt' uno con le guancie senza alcun preavviso e senza che possa provare a fermarla.
È il colmo, vero? Siamo capaci di capire complicate espressioni di matematica o complessi concetti scolastici, ma non riusciremo mai a comprendere completamente noi stessi, ciò che siamo e quello che proviamo.