«Ahi» sibilò la pelle gonfia di Alex alla gelida carezza del ghiaccio chiuso nel fagotto improvvisato di alcuni fazzoletti. «Grazie.»
Kaito ritrasse la mano, depositando il ristoro fresco sulla guancia tumefatta del ragazzo seduto davanti a lui, in silenzio. Non perché volesse mantenere un'aria in cui ci si era ficcata soltanto la voce dolorante di Alex, ma semplicemente non riusciva a parlare. Le parole nascevano, le corde vocali vibrano per mandargliele in bocca, e niente usciva. Le sillabe salivano sulle labbra e lì morivano.
Più volte era sopravvissuto qualche frammento di frase, ma che veniva comunque perso dal volume eccessivamente basso della sua voce. Dopo un po' aveva rinunciato anche a formulare dei pensieri, tanto non si sarebbero mai liberati; era una crudeltà farli nascere in gabbia.
Così, era rimasto zitto a fissare le pupille azzurre del veleno che stava uccidendo la sua voce appena posatasi sulle labbra, e dei battiti impazziti nelle tempie che gli stavano oscurando i pensieri.
Alexander Kirkland guardava Kaito Honda e si domandava cosa gli frullasse in testa mentre lo divorava cogli occhi, senza prendere in considerazione la bocca delle parole, e si premeva il fagotto di ghiaccio nella guancia e tergeva il sangue dal suo naso che aveva misteriosamente ripreso a perdere gocce rossastre come un rubinetto guasto.
Intanto Kaito lottava con le palpitazioni per non far loro prendere possesso della sua gola, con scarsi risultati. L'esofago cominciò a pulsare coi battiti in eccesso espulsi dal cuore a causa del poco spazio rimanente tra le costole, e dai pugni emozionati che continuavano a nascere senza sosta per contribuire a spaccargli il torace. I ricordi dell'ora precedente si ammassavano nella mente di Kaito e gli schiaffeggiavano contro la sconcertante realtà che la sua cotta dalle medie, con cui mai aveva incrociato uno sguardo, si era buscato una vera e propria pioggia di pugni per difenderlo. Gli erano stati regalati grandi ematomi rossi dovunque, il capitano della squadra di Basket lo aveva dipinto anche sul torace, dopo avergli slacciato di poco la camicia mentre urlava "Frocio! Frocio che difende un frocio! Magari i miei pugni ti cureranno, finocchio!"; una cascata rossastra aveva cominciato a gettarsi al suolo dopo appena due calci vigorosi in pancia e sul naso, e gli aveva ravvivato il colore rosso dei lividi, e macchiato il petto e i vestiti, mentre le sue grida venivano sommerse dal sangue che gli riempiva la gola, uscendo come dei semplici schizzi vermigli. Nonostante fosse da solo contro cinque ragazzi che tenevano allenati costantemente i muscoli del corpo, lasciando in disparte quelli del cuore, Alex riuscì a sferrare qualche pugno qua e là, a colpire gli attributi dello Swingman con modesta forza, quanto bastava per farlo accasciare a terra uggiolante, e a mordere la carne sudata della Guardia Tiratrice, con in risposta un seguente schiaffo sulla nuca.
Nonostante avesse vinto qualche battaglia di poco conto, era chiaro che stava perdendo la guerra. Più strillava, più le botte si intensificano; più affogava nel suo sangue e più lo beveva, più la pelle si schizzava di lividi, più la dignità gli scivolava dalle dita assieme ai raccapriccianti rivoli vermigli scappati dalla prigione delle vene.
Ad una scarpata maggiormente vigorosa nello stomaco, aveva percepito un rigurgito del pranzo che saliva verso la gola... e alla soglia della bocca, fu calciato fuori da un getto di sangue, che cadde assieme al vomito tra i capelli dell'erba.
Nelle corde vocali di Alex nacque un grido straziato, che gli bagnò le pupille, gli otturò la gola e gli martellò le tempie. Le lacrime gli incendiavano la vista, pulsavano nei suoi occhi e sprofondavano nelle palpebre inferiori che, rotte dal peso delle gocce, fecero colare il pianto giù nelle gote, in vie rettilinee che lo condussero nella sua bocca; Alex leccò le lacrime e pianse più forte.
"Oh, il frocio sta frignando come una checca. Che strano."
"Che cazzo vuoi che faccia, troglodita?! Voi siete in cinque e più forti di me, che cazzo vuoi che faccia?!" gridò, sputando il pianto che continuava a crescere e a battergli in gola.
"Perché non ti fai aiutare dal tuo amichetto, finocchio?"
Alex guardò Kaito. Osservava lo spettacolo da dietro il muretto marcio da rovi che separava il cortile della scuola, e il giardinetto proprietà del mondo; il giardinetto dove tanti ragazzi avevano picchiato froci, primini, secchioni, gente che non aveva fatto niente di male se non essere nata, perché il preside non avrebbe mai mosso un dito finché si pestava la gente anche dieci centimetri fuori dal suo istituto. Strano che un muretto riusciva a trasformare un atto per cui essere espulsi in un "gioco tra ragazzi" immeritevole anche solo di un richiamo. È un'idiozia, aveva sempre pensato Alex. Ma evidentemente era il luogo, il metro di misura della cattiveria di un'azione.
E Kaito stava lì, tra il limbo della scuola e quello della vita libera, dove a nessuno importava cosa facessi (bella, la libertà, pensò Alex), immobile con le lacrime che lo accarezzavano, nonostante non avesse ricevuto né pugni, né schiaffi, né calci; tranne qualcuno prima che Alex fosse arrivato, ma di cui l'orma dovrebbe essere stata solo che un ricordo.
Eppure si scioglieva in spasmi sgraziati, e il mento spingeva il labbro inferiore verso il superiore creando un leggero terremoto nella loro riga di mezzo, cogli occhi verdissimi spalancati sotto il tetto di due sopracciglia inarcate all'insù.
Guardava Alex e gemeva, perché il cuore voleva qualcosa che mai si sarebbe potuta realizzare; proteggere colui che amava. Il cuore lo vuole sempre, non è razionale, e ha solo due obbiettivi; trovare il suo pezzo mancante dal cuore di qualcun altro, e garantire che mai se ne vada. Proteggerlo con ogni battito che potrà pompare. Perché una volta che ha provato la sensazione di essere una parte unica, non può più tornare ad essere incompleto. Non si sentirà più un cuore, ma solo un organo a cui manca un tassello per essere un cuore.
Kaito sapeva che non aveva speranza contro quei cinque giganti, era una pulce in confronto, e sapeva che niente avrebbe risolto se non venir pestato a sangue pure lui, ma non ci aveva pensato quando, sotto lo sguardo disperato di Alex, aveva scavalcato il muretto gridando: "Infatti lo aiuterò, pezzi di merda!". No, aveva pensato: "Non lo lascerò solo. Se deve essere picchiato a morte, verrà picchiato a morte assieme a me."
I bulli avevano riso in un boato, una risata che fu la scia di cinque corpi che stavano volando verso il capo di Kaito, colle mani protese e avide di aver un collo in mezzo da stringere. Il volto del ragazzino si arricciò in una smorfia beffarda, mentre il piede sinistro si piantava a lato dell'ombra degli assalitori voraci, e trasportava con sé tutto il corpo allampanato. Ci fu uno schianto e la terra rabbrividì, intanto che Kaito aveva raggiunto Alex, gli aveva preso la mano, e se lo era caricato per il braccio sulle spalle usando tutta la forza che aveva in quel fisico smunto per correre in uno dei ripostigli della scuola; col cuore che scalpitava lieto a causa della fatica, delle ciocche bionde che gli toccavano il collo teso e dal tocco sfibrato della mano di Alex sul suo petto. Mentre i battiti balzavano nell'esofago a ritmo dei passi, e gli aveva iniziato a pizzicare la milza, si sedettero in due secchi capovolti l'uno davanti all'altro, nel loro rifugio fatto di scope, garze, cerotti, carta igienica e prodotti da pulizia di ogni tipo.
«Ehi, mi senti? Sai parlare? Ti stavano bullizzando perché sei muto?» lo rimbeccò Alex, schioccandogli le dita davanti agli occhi. «Sei un po' inquietante a fissarmi, così, senza dire niente.»
«S-scusa...» i ricordi gli avevano sbloccato la lingua; ripensare a quegli eventi gli aveva instillato un pizzico di strana gioia. Quella che senti quando sei felice, ma non dovresti esserlo. «Comunque, se lo vuoi sapere, mi picchiano spesso.»
«C'è un motivo o sei uno di quei poveri diavoli preso di mira solo perché hanno l'onore immeritato di respirare?»
«Credo sia perché sono... omosessuale.»
«Oh, ecco perché quando mi picchiavano mi chiamavano "Frocio", gli si era inceppato il disco a forza di ripetertelo.»
Kaito rise e si dimenticò di star chiacchierando col suo salvatore. I polmoni aspirarono il suono della risata e gli donarono il frizzante gusto della felicità. Nonostante fosse uno squittio debole e sommesso, era comunque il rumore più gioioso proveniente dalla sua bocca negli ultimi mesi. Alex lo capì, e sorrise.
«Comunque...» Kaito interruppe quel momento spensierato con una voce tetra e tremolante, così bruscamente che per qualche secondo Alex non seppe quale espressione vestire in volto. «Grazie per quello che hai fatto.»
«E cosa avrei fatto?» una leggera risata aspra avvelenò le labbra del Salvatore. «Le ho prese. Parecchio forte, pure. Che bell'aiuto t'ho dato.»
«Però ti sei appropriato dei pugni che spettavano a me. Quindi sì, è stato un bell'aiuto»
Il vermiglio vivace delle gote di Alex sfumò e diventò opaco, indicando che il colore non si raggrumava più sulla pelle superficiale e non era dovuto al sangue rappreso, ma pulsava all'interno e veniva generato dal sangue nelle vene che aveva deciso di zampillargli sulla carne, sotto comando del cuore.
Arrossito, Alexander Kirkland gettò lo sguardo alle scarpe da tennis che suo padre Alfred gli aveva regalato ad un compleanno.
«Perché hai deciso di aiutarmi?» non seppe come, ma Kaito suonò la domanda con aria decisa e stoica.
Improvvisamente, grazie a quel quesito, i due ragazzi avevano deciso di scambiarsi i ruoli.
Alex stava zitto a cercare di spinger fuori le parole e vincere il macigno bloccatosi nel suo esofago, Kaito attendeva paziente risposte, sperando di smettere presto di fingere di essere forte, e che Alex smettesse presto di fingere di essere debole.
Ma alla fine erano ruoli di teatro, tutto ciò era una finzione.
Chissà cosa si nascondeva dietro il copione da scontroso ragazzino senza cuore di Alexander Kirkland, chissà cosa si nascondeva dietro la recitazione esaustiva dell'esile sfigato torturato dai bulli che era stata assegnata a Kaito Honda.
Esseri umani, forse.
Esseri umani che potevano variare personaggio in un battito del cuore, passare da un'emozione all'altra in ancora meno.
Kaito voleva ardentemente vedere l'essere umano di Alex.
Senza copioni, senza recite, senza personaggi a cui attenersi per poter sembrare normale agli occhi degli altri.
Perché aveva ben presto capito che l'amore vero si poteva creare solo fra due esseri umani, non fra due maschere di uomini.
E Kaito voleva innamorarsi per davvero di Alex.
Senza preavviso, poiché gli esseri umani compiono gesti inaspettati, Kaito prese le mani di Alex, le portò al viso e le baciò con dolcezza puerile. Poi sorrise, mentre i forti battiti gli picchiavano i denti scoperti. Le guance di Alex presero fuoco sprigionando un delicato calduccio così bruciante che arrivò anche al viso di Kaito.
«Sei carino quando arrossisci» questa volta le parole non morirono, ma volarono nell'aria, lasciando indietro le palpitazioni che erano arrivate alla tempie e ai polsi, e che stavano tirando pugni alla gabbia toracica di Kaito come per uscirne. «Se non vuoi dirmi perché tu mi abbia aiutato va bene, l'importante è che tu l'abbia fatto.» continuò, questa volta portando la mano alla gota intatta di Alex e iniziando a toccare quel rovente tessuto così morbido e rassicurante. «E ti ringrazio. Sei la prima persona che... mi ha degnato di avere qualcosa. Non sai quanto abbia voluto dire per me.» e lui davvero non lo sapeva.
Ci fu un secondo gesto repentino da essere umano, che stavolta fece allungare il busto di Alex e incrociare le bocche dei due ragazzi. Si unirono alla perfezione, come dei pezzi di puzzle. Kaito sentiva le ferite di Alex diventare anche sue, e chiuse gli occhi. Il suo labbro spaccato pulsava contro quello immacolato di lui per prenderne la cura. Il sangue sporcò il viso di Kaito e lui fu ben contento di poterlo assaporare. In quel momento anche il palmo sbucciato e ruvido di Alex premuto contro il suo zigomo gli sembrava la più soffice delle pelli. Dietro le cornee sentì il pianto prendere la rincorsa per spaccargli le ghiandole lacrimali e godersi l'improvviso spettacolo che stava avendo atto in quel fetido sgabuzzino incorniciato da muffa e da ruggine erosa.
Kaito non riuscì a reprimere lo stupore, ma presto cedette il posto alla gioia più pura.
Se non fosse stato incollato ad Alex avrebbe gridato così forte da stritolare i polmoni, riso così potentemente da consumare gli occhi a forza di lacrimare, donato al mondo un sorriso così vasto da coprirgli il viso e da farne arrivare i lembi ai lobi.
Il cuore che non smetteva di pompargli sangue nelle orecchie stava diventando irritante, ma alla fine anche quello era un fastidio piacevole. Che Kaito avrebbe vissuto per tutta la vita.
Nei suoi battiti finalmente c'era qualcosa... la felicità. Finalmente esistevano per uno scopo, uno scopo meraviglioso, e non per alimentare il debole corpo in cui erano chiusi per essere picchiato, insultato, torturato.
No, ora c'erano, e si facevano sentire perché non erano più vergognati di essere prodotti, e stavano facendo esistere Kaito nel luogo più perfetto che mai potesse esistere; tra le labbra di Alex.
Di malavoglia, si staccarono. Non fu imbarazzante, anzi, sembrò un atto così naturale che pareva essere un movimento familiare ai due, nonostante entrambi non l'avessero mai sperimentato.
In fretta e furia Kaito si terse le piccole e leggere lacrime che gli erano nate ai lati degli occhi, stavolta per una causa decisamente più nobile.
«A-Alex... perché lo hai fatto... ?» nonostante non avesse provato vergogna fuso assieme a lui, non poté fare a meno di indugiare nella voce.
«Così saremo froci insieme» rispose Alex, sorridendo, «Ora se ti vogliono toccare, dovranno toccare anche me.»
«Romantico.» liberò Kaito, e nonostante avesse aggiunto una punta sarcastica, lo pensava davvero.
Alex rise ma si spense subito, in un sibilo dolorante e aspirato. Si portò la mano allo zigomo e le pulsazioni della ferita ancora aperta si abbatterono contro i suoi polpastrelli, parevano pallottole che rimbalzavano su un cadavere. L'altro palmo si recò al petto, dove ancora l'orma del capitano della squadra di basket si mostrava rigogliosa nella camicia bianca, sbottonata all'origine per lasciare aperto il sipario a due grandi ematomi brillanti di sangue. Kaito lo guardò cogli occhi preoccupati da innamorato, e Alex gettò via un'altra risata che gli aveva solleticato le labbra.
«Tranquillo, sto bene.»
«Non mi sembra proprio. Dovremmo andare in ospedale.»
«No, ti ho detto che va tutto bene» «E non per fare il melenso, ma se ci sei tu va tutto bene davvero.»
«Ma io non guarisco le ferite, un dottore sì.»
«Anche il tempo lo fa.»
Kaito non ribatté; avrebbe solo sprecato fiato a convincere Alex che una sua affermazione fosse sbagliata. Era la prima conversazione che aveva intrapreso con lui, ma sentiva che sarebbe stato così.
«Adesso usciamo di qui. Questo posto puzza.»
«Ma se non riesci nemmeno a reggerti in piedi!»
«A che serve avere un ragazzo se non ti trasporta in giro quando sei stato picchiato così forte da non poterti più rialzare?»
Kaito sobbalzò così forte che andò a sbattere il capo contro una mensola.
«R-ragazzo?»
Alex non rispose, sorrise e basta. E a Kaito sembrò una risposta più che soddisfacente. Così non parlarono più; lasciarono chiacchierare i volti o i gesti, e il cuore. Tutto ciò che comandava, loro eseguivano. Diceva di baciarsi davanti alla porta dello sgabuzzino profumato d'amore prima che Kaito si caricasse il braccio di Alex su una spalla per condurlo fuori? Loro eseguirono senza indugiare. Chiedeva sguardi affettuosi ed eterni che ognuno potè custodire nel cuore e sognarli alla sera? Fecero anche questo. Voleva brevi gesti fuggiaschi, quali baci, carezze, o logorroiche occhiate? Fu accontentato. Infatti, gli esseri umani ascoltano il cuore come un disco inceppato sulla solita canzone che, anche se ripetuta allo sfinimento, mai stancherà, eseguono ordini di qualsiasi tipo, perché sono esseri umani con maschera solo la pelle, e possono essere ciò che vogliono senza sentirsi a disagio nel buttare il copione scritto appositamente per i loro personaggi.
E quelli che uscirono dallo fetido sgabuzzino in disuso, erano due esseri umani che si tenevano goffamente per mano, che si amavano, senza avere un personaggio da interpretare per sopravvivere.•Angolo autrice•
Altra storia sui nostri OC, che stavolta ho scritto io, Elti :DSpero vi sia piaciuta, e buh non mi è venuta benissimo ma ci si accontenta.
Alla prossima, sieu💕
-Elti
STAI LEGGENDO
la mia salvezza - alexaito
Short Story[NON È UNA ONE SHOT MIKAYUU] One shot sui nostri OC Alex Kirkland (figlio della Usuk) e Kaito Honda (figlio di Kiku e Giulia). Buona lettura (credo) :3