.

86 5 0
                                    

Ragazzo di classe, cammini con le mani in tasca, sul pavimento di marmo. Toooocc, toooocc, rimbombano i tacchetti delle tue scarpe nella galleria: sei elegante, calzature di cuoio. Da liscio.

Liscio, lucido, biondo, sfavilli un pochino alla luce che entra dalle vetrate: nel grande corridoio semibuio (le pesanti tende sono un po' tirate, la luce solare tira le cuoia) sei un punto di luce che si muove, fra stucchi e ori, sommesso, vagamente frettoloso, in basso.

Sei naso all'aria: ti interessano di più i quadri o il soffitto? È un angelo, in carne, avvolto in una grande pezza celeste, che te lo chiede, dall'alto dell'affresco. Il suo sorriso con ombre di malizia: chissà perché, ti dici, ma in fondo, sono tutti così. Come se già nel passato avessero deciso di sfidare i moderni, anzi, più a... stuzzicarli. Lo sanno, che invidiano e ammirano la loro bellezza.

A te sta bene: sai che è così che funziona.

A guardare l'angelo mentre procedi, lui sempre fermo nello stesso punto, inizia a piegartisi troppo il collo all'indietro. Lo lasci perdere, procedi con più vigore. Le mani in tasca, i bordi della giacca veleggiano sui fianchi. Sorriso speranzoso e ottimista.

In realtà hai sempre il muso, questa sarebbe la tua faccia interiore.

Ma quando sei nel tuo mondo, nel tuo habitat, puoi togliere la maschera di ferro. Chissà perché, non vuoi riservare il privilegio di vederti ad altri che l'arte.

Finita la galleria.

È lunga, ma ha una misura.

Ti affascina, questo aspetto delle cose.

Finito qualcosa, dovrà pur esserci qualcos'altro: indugi sulla soglia.

L'arte, per il tuo modo di concepirla, è in qualche altra forma anche lì fuori. In attesa.

Ragazzo di stile, giacca buttata su una spalla, appoggiato ad una colonna, il capo pigro ciondola all'indietro. Sguardo blu volteggia fra i capitelli sopra di te. Scarpe lucide, maniche di camicia arrotolate, tiracche a motivo spiegazzano la stoffa bianca candida.

Non si sta annoiando, perché in realtà ha molte cose a cui pensare, mentre lo aspetta.

A quella sera da Daisy's, alle stelle di stanotte, al rombo di una vecchia ragazza che deve finire di sistemare, in officina, al grano che carezza il cielo, perché il cielo arriva fino a terra: è una verità scontata, lo sappiamo tutti, ma non ce ne accorgiamo, non ci pensiamo mai. Mentre camminiamo, stiamo volteggiando in aria. Nuvole invisibili ci circondano, siamo immersi nella volta celeste che ci carezza i capelli e la suola delle scarpe. Non è strano pensarci? Ma non quello strano negativo, sconosciuto, angoscioso: lo strano divertente, che ti apre nuove possibilità. Non ditegli che non è fantastico, pensare al cielo tutto attorno a sé: se non  lo pensate, tenete l'opinione per voi. Lui vive volteggiando nella sicurezza di avere un cielo, morirebbe, se dovesse mancargli il cielo. Il cielo è l'aria, è scientifico. Ed è una metafora eccellente, ha sempre pensato.

Il cielo di S., pensa, mentre il rumore dei passi si avvicina. Tic-toc. Scarpette sulla soglia in marmo. Sente il suo sguardo di cielo addosso: sorriso disarmante, spalle magre, portamento per il quale riconoscere l'impegno... nonostante l'insieme sia un po' sgraziato.

Non si volta a guardarlo, perché lo conosce a memoria. E sa che sfavilla, a quest'ora della sera, perché il sole è fatto così, sceglie solo alcuni biondi, li colpisce di traverso, e li manda in fiamme. Potrebbe essere un po' fastidioso alla vista, dice sempre S., ridacchiando, imbarazzato. Cuore d'oro. Come i capelli, al crepuscolo.

Finalmente si volta: dal profilo che vedevi prima (romantico: la fronte non dritta, il bel naso, mento un pochino sporgente, non ha la faccia lunga. Una bella mascella, ciglia lunghe e scure: lo disegni continuamente, è per questo che ogni volta scopri qualche trucchetto di luce, qualche dettaglio nuovo, e non puoi mai dire lo conosco a memoria. Ti stupisce ti sorprende ti piace un sacco, è la sfida più bella che ci sia!) ora hai il viso di fronte. Piccolo ciuffo pendente sugli occhi blu. Disordinato, B., come al solito.

-Allora? Com'era?

Fai un passo avanti, accarezzando con il tuo sguardo di cielo i campi verde dorato attorno a voi. -Interessante. Credo non molto sano per le cervicali, questo sì, purtroppo.

Ridacchia. Si mordicchia il labbro inferiore, mentre lo fa. Che se ne renda conto?, ti chiedi sempre, tu lo sai non perché lo vedi, ma perché appunto lo fa sempre, quando ridacchia. Dolcemente, di te.

-Quindi, andiamo?

Ti volti a guardarlo. Ragazzo di classe, dritto, mani in tasca, tutta l'arte ti turbina nel cervello e pian piano si posa, come la polvere smossa dai piedi di un bambino sul fondo di un torrente, dietro ai tuoi occhi di cielo. Lui , ragazzo di stile, ricambia lo sguardo, lo sostiene, come fa sempre: non ha nessun senso, perché non vi state dicendo assolutamente nulla. Vi fissate e basta. Che ragazzi. Lui è statico, fisso, blu, turbina lenta e costante l'acqua del mar Baltico attorno alle sue pupille.

È una sicurezza.

È la sicurezza. La tua.

-Sì, andiamo!- esclami allegro, superandolo e scendendo le scale, quasi saltando.

-Attento, che cadi.

Come non detto, la tua caviglia si storce e capitomboli a terra, ruzzolando giù dalle scale bianche. Le siepi verde smeraldo riflettono la luce dorata del sole, le ninfe di marmo sbirciano nella tua direzione mentre versano un rivolo infinito d'acqua da grandi vasi dentro a larghe fontane. B. arriva camminando spedito da te, sorridendo un pochino. Sa che sei fatto così, tu, non hai equilibrio e nemmeno stabilità: sei tutto un po' fragile, un po' disarmonico. Un po' comico, un po' tragico. Sei tu, e basta. Ti allunga un braccio, tu lo afferri, ti ci aggrappi e ti tiri su.

Ti passi nervosamente le mani sulla giacca e sui pantaloni, per spazzare via la polvere, sbuffando mentre ripercorri il bordo dei campi incendiato dal sole, per evitare il suo sguardo blu e un pochino canzonatorio.

-Bella luce, eh? Ti sentirai molto ispirato, stasera- è il suo commento. Lo fa per prenderti in giro, anche se pensa veramente quello che dice: nel fondo della sua voce, in realtà, c'è un sei sempre il solito.

-Già. Mi chiedo se sia meglio usare un pennello o una spatola, oppure lasciar perdere il colore e fare qualche bozzetto a matita. Bel dilemma- rispondi tu, mentre sbirci di sfuggita nella sua direzione. Sei sempre il solito. E guai se non fosse così, dicono le acque mentre girano lente, una piccola luce di gioia nel fondo. È nel vederti, lo sai. Perché quando non ti vede è vagamente tormentato: si chiede chissà dove sei, cosa fai, cosa pensi, cosa produci. È curioso di te, ed è nel tempo diventato anche un po' dipendente.

Lo trovi bello. Come non potresti.

Ti risistemi la giacca sulle spalle, e ti avvii lungo il vialetto in ghiaia con lo stesso immutato vigore di prima. Testa alta, sfavillante. Le nuvole sono tue, il cielo è tuo, sei padrone anche della luce solare; è quello che B. pensa, seguendoti, in una fila indiana di due persone, mani in tasca, sguardo fisso sulla tua nuca infiammata. Senti il suo sguardo baltico bruciarti addosso ed effettivamente ti scaldi un po'. Come potrebbe, non essere bello.

13.8.18





***prima delle perle random di dj***

Ciao, questa l'ho scritta in due nanosecondi perché ero vagamente ispirata, perché in camera c'è fresco e perché chopin no- CHOPIN YES!

Insomma, spero capiate il mio punto di vista. E che boh, magari vi sia piaciuta un pochino. Vi voglio bene (davvero), vi auguro una buona giornata e tutta la felicità del mondo!

Con affetto, Spannung, o dj, come vi piace di più.

:)

out of gallery - stevebucky.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora