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.. [..]..
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

G. Ungaretti, Veglia

Ritto, con le trecce argentate che gli scendevano sulle spalle strette nel pesante cappotto che portava, il generale Stanic della Brigata Saetta stringeva la sua pistola e la battezzava: battesimo del ferro, come lo aveva chiamato lui e come tutti gli altri lo avevano chiamato e seguito dopo di lui. Il battesimo del ferro della sua Colt 45, quella d'emergenza che teneva sempre nella tasca destra, quasi prolungamento artificiale della sua mano. L'unica femmina che da quando era iniziata la guerra aveva deciso di portarsi a letto, di tenersi accanto stringendola con la mano, l'unica che sopportava la pesantezza delle sue dita.

Nella tua testa, acciaieria di queste idee
Nel tuo cuore, motore di questa resistenza
Sulle tue spalle, come lo zaino mentre cammini nel fango
Sotto il mento, dove sai puntare appena te li trovi alle calcagna
Matricola 08945.. sii il braccio che muove quest'arma.

L'immagine di Stanic della Brigata Saetta ondeggiava in mezzo alla bruma. Un ricordo vago nella sua mente immersa nella nebbia della trincea, animata dai movimenti incerti dei compagni e dal gracchiare dei corvi tra gli alberi radi. La guerra civile aveva deciso di mangiarsi anche le loro chiome.

Fratellino, l'appellativo che Stanic le aveva dato dopo il battesimo del fuoco in cui uccise il primo Fascia Nera, il suo vero nome non lo ricordava più. Fratellino perché nell'ala femminile era la più massiccia, grosso frutto di una nascita maledetta dall'atomica ma per la sua fragilità non poteva stare in mezzo agli altri maschi. Forse Stanic ce l'avrebbe fatta stare, ma buttare una mezza mutante di sesso femminile in mezzo a ragazzi orfani e sbandati che la maggior parte della giornata l'avevano passata in mezzo alle mine antiuomo, ai cadaveri e alle teste mozzate delle Fasce Nere. E poi a Fratellino non interessavano gli altri ragazzi del commando, e la foto di Daro, occhi di foglia e capelli di fiamma, aveva subito convinto Stanic non appena l'aveva tra i panni sporchi.

Daro lontano, il lupo solitario delle bombe a grappolo sopra le casematte delle Fasce Nere.
Daro il lupo solitario di cui Fratellino incideva il nome sul tronco di un frassino e sulle proprie gambe.
Daro il lupo solitario che esotto gli stivali sporchi di fango e sangue, sotto i pantaloni cargo e le gonne di panno che solo al commando poteva indossare, sotto quelle membra gonfie da quando era venuta al mondo come figlia unica e parto maledetto della schiatta dell'atomica, aveva visto la ragazza simile a quelle della Brigata Settima, le Parche di ferro come le chiamava Stanic. Le Parche di ferro e Fratellino lontana, arma bianca quando non la beccavano a scorticarsi e AK-47 quando si usciva a far saltare le meningi alle Fasce Nere.

Stanic era un'ombra che parlava e recitava la formula del battesimo di ferro, preludio a quel battesimo del fuoco che le aveva macchiato le mani di sangue per la prima volta ma che forse non sembrava più sufficiente. Fratellino, spara ancora. Fratellino, spara e lasciali morti una cazzo di buona volta. Eppure ne aveva visti di morti, Fratellino; forse qualcun altro l'aveva pure provocato, quando s'era appostata alla torre di controllo nascosta tra gli alberi e il fango della collina e aveva iniziato montato il silenziatore alla propria arma. Stanic era stato molto fiero di lei e le aveva offerto una sigaretta, ma ricordandosi della sua asma le aveva permesso di mandare un telegramma a Daro. Anche gli altri della brigata erano stati contenti di lei e avevano cantato canzoni di guerre vecchie di secoli, ma in mezzo a quella carneficina e battaglia di uomini e donne che passavano da una parte all'altra, da un letto all'altro, da una casamatta all'altra, dal sacco in cui dormivano alla terra su cui giacevano ricoperti di sangue e foglie. E forse Daro, lontano sulle montagne e sul suo aeroplano che sfuggiva ai radar delle Fasce Nere e agli ex briganti che assoldavano per identificarlo, in quel momento cantava insieme a lei, magari volando sopra la sua testa in quel pomeriggio piovoso in cui si trovava in mezzo a Stanic e gli altri anziani, tutti appostati lungo lo stradone che portava al primo dei paesini che costeggiavano la via verso la capitale, respiro contro respiro e spalla contro spalla.

BrumaWhere stories live. Discover now