When you said your last goodbye - Finale

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Feci un respiro profondo, e entrai nella scuola. Conte il bidello mi salutò con la mano, e gli sorrisi. Non era di molte parole, ma trattava tutti gli studenti con gentilezza, e per questo diventava spesso il bersaglio dei loro scherzi. Un poco mi dispiaceva per lui. Gli chiesi se avesse visto Dibba -considerato il numero delle sue sospensioni, lo conosceva più o meno chiunque in quell’edificio, una sorta di leggenda- e mi disse che era entrato pochi secondi prima di me. Non essendo ancora suonata la seconda campanella, andai a cercarlo in cortile. Era lì, allo stesso angolo del giorno prima, dove avevo visto Matteo per la prima volta. Vidi quest’ultimo appena fuori la porta che dava sul cortile dell’istituto collegato al nostro. Stava fumando e parlando con dei suoi amici. Si accorse di essere osservato, e i nostri sguardi si incrociarono, ma abbassai immediatamente la testa. Qualunque cosa fosse stata quella della sera prima, era stata terribilmente imbarazzante, e non avrei mai più avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.

Mi avvicinai a Dibba, che appena mi notò sospirò infastidito.

“Perché non mi rispondi al telefono?”

Guardò da un'altra parte.

“E cos’è questa storia che te ne vuoi andare in America? Non mi puoi abbandonare qui, da solo”

“Non sei solo. C’è lui”

“Ma chi?”

Indicò Matteo, e gli abbassai immediatamente la mano, controllando che l’altro non se ne fosse accorto. “Quello che hai baciato”

“Me lo ricordo a malapena. Era per la nostra scommessa, tutto qui. Non te ne andare, avevamo una promessa, quella di quando eravamo piccoli, di quando eri spaventato dall’entrare in classe e sono venuto da te, e ti ho detto quelle parole, non le hai dimenticate vero? Supereremo tutto insieme, ogni porta e ogni disonestà”

“Volevo vincerla io, la scommessa”

Aggrottai le sopracciglia, confuso e sconfortato da quell’improvvisa superficialità. “Sul serio è quello che ti preoccupa? Te li do i soldi se ne hai bisogno”

“No, non m’importa niente dei soldi. Volevo vincerla io, baciando te”

Quando pronunciò quelle ultime parole sentii improvvisamente tutto il mio corpo divenire pesante. Quindi il bacio della sera prima non era stato una follia, un frutto dell’alcool o della mia immaginazione. Avvampai, senza sapere cosa dire, o cosa pensare.

“Ma avevo troppa paura. Di rovinare noi, tutti i nostri anni insieme” Inclinò la testa all’indietro, e gli occhi verso il cielo. La sua dolce voce s’incrinò come in chi è prossimo a piangere. “E’ successo lo stesso. Sono finiti. Me ne vado via, dovevo farlo da molto tempo, e ora non ho più motivo per restare” Poi, mi guardò, e si indicò gli occhi lucidi. “Ma guardami, guardali questi occhi Giggi, che sono sempre sinceri, e dimmi se ti sembra che io lo voglia davvero fare”

Senza neanche rifletterci, come avrebbe fatto lui, se solo non si fosse trattato di me, posai le mie mani sul suo petto, per reggermi sulle punte dei piedi, e lo baciai. Mi strinse istintivamente a sé, come faceva per proteggermi dal freddo ogni altro giorno, ma ora per avermi più vicino, perché si era sentito lontano per così tanto tempo, e io lo sapevo bene cosa significasse. Sentivo il suo cuore battere velocemente sotto la mia mano, forse, a pari passo con il mio. Mi ricordai ogni dettaglio di quelle stesse labbra che avevo incontrato la sera prima, e di come fossero davvero quelle, la mia casa, la mia destinazione.

Ma poco dopo mi spinse indietro. “Perché hai rovinato tutto? Perché hai baciato quel ragazzo?”

Mi portai una mano alla fronte, socchiudendo gli occhi. “Ero stanco. Stanco di vederti baciare ragazze. Forse, se avessi vinto prima che tu potessi farlo, te ne saresti venuto via con me, a cantare qualche canzone sul motorino, senza andare da nessuna parte di preciso”

Abbassò lo sguardo e si morse le morbide labbra, restando qualche secondo in silenzio, riflettendo. “Possiamo farlo ora”

“Cosa?”

“Vieni”

Mi prese per mano, e di colpo il viso gli si era illuminato con uno di quei suoi sorrisi, e il calore che emanava mi travolse nel freddo di quella mattina. Mi trascinò fino alla recinzione del cortile.

“E se ci vedono?”

“Non t’arregge, eh?”

Roteai gli occhi al cielo. “Vabbuò, dammi una mano”

Scavalcammo, e corremmo verso il celeste motorino, mentre sentivo il cuore battermi più rapidamente che mai, fatta eccezione per i nostri baci.

Tra le strade di Roma, con il vento sul volto e il corpo contro quello di Dibba, sul suo fedele motorino, ci rincontrammo, ed eravamo di nuovo gli stessi bambini di tant’anni prima, quando l’amore era una parolaccia, ed un bacio solo un gioco.

Ne eravamo di nuovo certi. Avremmo superato tutto insieme, ogni porta e ogni disonestà.

O così sarebbe dovuto essere, se solo il tempo non ci avesse un giorno separato, portandolo in America, e lasciandomi così nel silenzio dei miei pomeriggi, senza più il rumore di un motorino celeste sotto la mia casa o di una risata troppo forte nel bel mezzo di una piazza.
Mi abbandonai nelle nuvole di fumo delle sigarette di quell'altro ragazzo, di quello che mi ero una volta promesso di non guardare mai più.
Finché Dibba non fosse tornato da me, un giorno. Perché ne ero certo, avevo bisogno di crederci: sarebbe tornato.

Fine

All I Want || Dibbamaio/SalvimaioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora