Capitolo 5

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A volte Namjoon osservava se stesso allo specchio e pensava: "Quanto cazzo sono melodrammatico".

Così si era svegliato quella mattina. Si rese conto che sapeva descriversi meglio con una parola che con un vocabolario intero.

Oggi si riniziava con la solita routine università-letto, letto-università.
Prima di uscire di casa Namjoon prese la sua timidezza e i suoi 20 anni per mano e salutò i suoi affanni.
Sapeva che, la sera, aprendo la porta di casa, li avrebbe trovati lì ad aspettare. E lui, ancora una volta, li avrebbe accolti senza troppa esitazione.

¤

Non si aspettava che quella giornata si sarebbe rivelata più lunga di ciò che aveva sperato. In realtà, stava sempre alla larga dalle speranze, poiché prima o poi qualcuno o qualcosa le avrebbe schiacciate. Senza contare che il tempo, un'entità talmente vaga e paradossale, non badava mai ai desideri delle persone. Scorrere per quest'ultimo era un hobby. E come tale lo avrebbe sempre divertito quel fissare di occhi impauriti o scazzati o impazienti, che a lui si rivolgevano ad intervalli frequenti e sostenuti.

Il tempo è seriamente sadico.

E Namjoon odiava dargli soddisfazioni, se non fosse che un uomo non può pretendere di staccarsi completamente dalla dipendenza dal tempo, se vuole restare legato alla realtà che è l'origine di quella stessa ossessione.

Tutto questo discorso per giustificare il momento in cui il ragazzo tirò avanti e scosse lievemente il braccio sinistro con una certa stizza e controllò il proprio orologio da polso.

14.43

"Wow che schifo la vita", sussurrò a se stesso Namjoon. Come se si aspettasse un qualche miracolo, o un gesto di pietà regalatogli da qualche buon samaritano che potesse trasformare quel 14 in un 15.

Non avrebbe resistito ancora un'ora. Appoggiò le braccia sul banco di legno di fronte a lui e posò la fronte sul dorso delle mani accavallate una sull'altra. Era il primo giorno e già era stanco. Aveva scelto lui la facoltà di Lettere. Lui aveva scelto i corsi e la città dove frequentarli. Eppure si ritrovava all'inizio del secondo anno senza sapere il perché di queste scelte. Amava la letteratura, il suo saper descrivere emozioni e le corrispondenze nascoste tra gesti e intenzioni come niente altro. Non avrebbe mai smesso di amarla, benché ora non fosse più in grado di fargli battere il cuore nemmeno quella. Durante la sua adolescenza, leggere e scrivere erano stati il suo angolino dove trovare conforto e sfogo, l'unico luogo dove permetteva a se stesso di legarsi ai propri sentimenti e non lasciarli scivolare via come era abituato a fare. Se ormai si era stufato persino di quel piccolo rifugio, poteva continuare a parlare di vita? Non stava forse soltanto cercando di arrivare a fine giornata?

Quando sentì il rumore di voci farsi gradualmente più forti e di cerniere chiudersi, Namjoon realizzò che il tempo si era divertito ancora una volta ed aveva acquistato velocità. Il ragazzo raddrizzò il busto e iniziò lentamente a sistemare il blocco degli appunti e le penne nella borsa a tracolla.

E il primo giorno si era finalmente concluso.

¤

"No stupida bicicletta, non farmi questo non oggi"

Non aveva ancora nemmeno messo i piedi sui pedali della propria bici che, per qualche motivo, la ruota posteriore si era bloccata. Namjoon non voleva crederci, voleva solo arrivare in appartamento il prima possibile e buttarsi sul letto. Ma il mondo sembrava avere un piano diverso per lui, a quanto pareva.

Ribaltò la bici posizionandola col sellino ed il manubrio a fare da supporto sull'asfalto e provò a capire cosa avesse potuto provocare quel malfunzionamento, ma non aveva idea di dove guardare.

"Ehi, hai bisogno di aiuto?", qualcuno disse alle sue spalle.

Namjoon, colto alla sprovvista, si voltò. Incrociò per un attimo degli occhi neri e curiosi prima di tornare frettoloso con lo sguardo sulla bicicletta.

"Ehm sì. La ruota ha smesso di girare all'improvviso e non so come mai"

Il ragazzo si avvicinò alla bici e vi si accovacciò davanti. Con le mani iniziò a tastare il telaio e la gomma della ruota. Namjoon rimase in piedi dietro di lui ad osservare ogni suo gesto, cercando di capire cosa stesse facendo nella speranza di essere in grado di imitarlo dovesse mai ricapitare un episodio simile. Passarono pochi minuti che il ragazzo si alzò, capovolse nuovamente la bicicletta e provò a spingerla per controllare che scorresse senza problemi.

"Okay, per ora dovrebbe andare bene così, ma c'è un bullone allentato qui. Ti consiglio di stringerlo appena arrivi a casa", disse sorridendo verso di lui. Poi gli porse il manubrio, invitandolo a sostenere la bicicletta al posto suo.

"Grazie mille, sei stato gentilissimo", rispose Namjoon osservando le mani del ragazzo ora tutte macchiate di nero e sentendosi in colpa per esserne responsabile.

"Figurati, volentieri", sorrise nuovamente e i suoi occhi quasi scomparirono. "Buon ritorno a casa", aggiunse subito dopo, mentre già indietreggiava per tornare sui suoi passi.

Namjoon rimase un attimo a guardarlo allontanarsi. La gratuità con cui il ragazzo lo aveva aiutato pur sapendo che ne sarebbe uscito con le dita sporche pesavano sul suo stomaco come un sasso. Era il peso di aver disturbato uno sconosciuto con la propria sfiga. Anche se, a dirla tutta, c'era un che di familiare nel volto di quel ragazzo.

E se la sua 'vita' fosse stata un romanzo, a quest'ora Namjoon starebbe correndo dietro al ragazzo per chiedergli il nome, un nome che da qualche tempo indugiava tra i suoi pensieri pretendendo di essere presto pronunciato.

Invece, si voltò, salì in sella e si diresse nel verso opposto.

il caso di essere soli | NamjoonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora