First step

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Il treno da Dustenville in direzione Spreedfield è in partenza sul binario nove, il treno da Dustenville in direzione Spreedfield è in partenza sul binario nove.

A seguito del comunicato dell'autoparlante un'agitazione generale pervase la folla: chi si affrettava ad entrare nel proprio vagone con il biglietto sgualcito nella mano, chi sistemava le ultime valigie nelle cappelliere, chi si sdraiava pigramente sulla propria poltrona consumata, gli occhi che scivolavano oziosi sull'ambiente circostante e l'mp3 in play in vista di un lungo viaggio in solitudine.

Quest'ultimo era il caso di Eren Jaeger, giovane matricola della prestigiosa IUDAD: International University for drawing and design.

O almeno, lo sarebbe stato solo se il test di quell'afoso giorno di luglio avesse avuto un esito positivo, era ovvio.
Sebbene fosse più che fiducioso, non riusciva a scrollarsi da dosso un insopportabile e greve fastidio accumulatosi proprio lì, sul petto, come se i polmoni fossero saturi di una miscela di melma e cemento armato.

-Cinque ore, eh? Cristo...-

Mormorò scoccando un'occhiataccia all'orologio, accigliato più che mai nel constatare che il treno, che sarebbe dovuto partire alle 11.45, era perdipiù in ritardo di quindici minuti. Di questo passo sarebbe giunto a casa a notte fonda, dal momento che il suo viaggio non si sarebbe di certo fermato alla stazione, ma lo aspettavano tre ore e mezzo di auto.

Per non parlare poi del fatto che si trattava della macchina di sua madre Carla, antiquata e scomoda all'inverosimile, denominata dal castano più ironicamente come antidiluviana.

E poi ci sarebbe stato l'interrogatorio a cui sarebbe stato sottoposto dalla donna, seguito poi da una mano immersa nella zazzera scura che avrebbe di sicuro stimolato la sua irritazione, e in ultimo un accenno di risentimento per il suo atteggiamento diffidente.

Il solito, insomma.

Le iridi chiare ed incupite scivolarono sul lungo finestrino, incrostato negli angoli da polvere ed acqua piovana, e rilassò di poco la fronte increspata solo quando il mento incontrò il dorso della mano, poggiandosi fiaccamente su di esso.

Sembrava che i minuti passassero rapidi come uno scrosciante fiume in piena, e le persone che accorrevano ai diversi binari contribuivano nel conferire a quella scena un che di bizzarro ed estraneo. Sembrava che il mondo, fuori da quelle pareti metalliche e graffiate, scorresse imperturbato e senza controllo, veloce e sregolato.
Sembrava che tutto fosse animato di vita, che vi fosse una forza centrifuga che facesse disperdere quegli esseri per tutta la stazione come imbizzarriti.

Sembrava, eppure non era così.

-Ragazzo.-

Si sentì tirare d'improvviso la manica della felpa -perchè sì, sebbene vi fosse un caldo feroce all'esterno, a causa soprattutto di quella cappa di umidità che accerchiava la città come una cupola, dentro quel marchingegno infernale i bocchettoni dell'aria condizionata parevano essere collegati direttamente con il Polo Nord.

Sobbalzò a quel contatto inaspettato e sconosciuto e sfilò gli auricolari, poi si volse verso la causa di quello straniamento, sentendo i palmi incominciare a divenire madidi per l'agitazione. Bisognava senz'altro comprendere l'ansia di Eren: insomma, il viaggio in treno costituiva la prima tappa verso la sua nuova vita, in partenza dallo stadio di assoluta dipendenza in direzione autonomia, e quella era in assoluto la prima volta nell'arco di diciotto anni che si trovava a gestire qualcosa per conto suo, documenti alla mano e armato di una pazienza che non l'aveva mai caratterizzato.

Un odore acre di tabacco e sudore gli pervase le narici, e ben presto risalì alla fonte di quello sgradevole olezzo pungente.

-Ciao, non volevo disturbarti.-
si affrettò a dire gesticolando di rimando allo sguardo contrariato del ragazzo, che si ritrovò inevitabilmente a pensare eppure l'hai fatto, ma preferì giacere in un mutismo cocciuto.
-Sono il tuo compagno di viaggio.-

Dio, cosa gli toccava sopportare?

Quell'uomo, che era sì e no sulla sessantina e con le grinze intorno agli occhi a mandorla, aveva tutta l'aria di essere un tipo fin troppo esuberante; anche se, per quanto possiate pensare, anche Eren - nel profondo - lo era.
Socievole, amichevole ed impulsivo oltre ogni limite, e nelle sue giornate migliori mostrava anche un luminoso e genuino sorriso che sembrava potesse procurargli da un momento all'altro una paralisi facciale.

Ma quella, come è ben chiaro, non era una delle sue giornate migliori, e la risposta era da ritrovarsi in quel mezzo di trasporto sotto i suoi piedi, che odorava di deodorante e detersivo.

-Pensavo che potes-

Non gli lasciò il tempo di rispondere, che inserì nuovamente le cuffiette nelle orecchie in risposta alla sua mancata proposta.
Pensava fin troppo male quell'individuo per i gusti di Eren, che era motivato da un'unica ed immodificabile intenzione: dormire finchè non fosse arrivato in stazione e sapeva che, data la stanchezza che lo avvolgeva come una coperta, il suo cervello sarebbe andato in black out nel giro di poco.

Era più che sicuro che gli sarebbe bastato soltanto serrare le palpebre e trovare la giusta posizione per evitare di far addormentare e formicolare gli arti, e ogni parte del suo corpo sarebbe entrato in un ostinato sciopero fino al traguardo.

Ma se, invece, il suo cervello fosse andato in cortocircuito per ben altro?

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