In your head

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Camminava a grandi falcate diretto verso l'aula in cui si sarebbe tenuta la prima lezione, passo sicuro e sciarpa bordeaux che fluttuava al seguito, reggendo a stento l'andamento del ragazzo.

Ma era davvero così grintoso, come voleva far credere alle altre matricole del suo corso che - con tanto d'occhi - osservavano quell'affascinante giovane dalla capigliatura ribelle e la sigaretta fra le labbra?

Per niente, stava gridando il suo cervello con le mani a coppa e le gocce di sudore per l'agitazione: di certo nessuno poteva notare l'impercettibile tremore delle dita mentre gettava il mozzicone della sigaretta in un cestino e lanciava un ultimo veloce sguardo all'orologio da polso (in realtà sapeva benissimo che ora fosse, semplicemente aveva testato che quello era un ottimo modo per guadagnare tempo o, in quel caso, perderlo).

Molte delle poltrone rosse erano ancora libere, quindi - per grazia divina - non incespicò nei piedi di nessuno, inimicandoselo già il primo giorno di università.

Non era male come posizione, quella che aveva scelto: centrale ma non troppo, sensibilmente sbilanciata a sinistra, in modo tale da non incrociare in alcun modo possibile gli occhi del professore.

Insomma, era ben chiaro che ad Eren Jaeger, di essere notato da degli sconosciuti, gli importasse quanto la Formula 1 a confronto con una partita di calcio - perfino un'amichevole - di Spreedfield.

Incrociò le gambe e sbottonò il parka, liberandosene con un movimento fluido delle spalle; bene, ora non gli restava che sistemare i quaderni sul tavolino striminzito infilato fra i braccioli, prendere una penna e...

E ora? Attendere l'inizio della lezione?

Per l'ennesima volta in quella giornata guardò il quadrante del G-shock nero: mancavano almeno dieci minuti dall'inizio della prima ora.

Per quale infimo motivo si trovava lì in anticipo, quando era nato con la parola ritardatario tatuata sulla fronte, in bella vista?

Bofonchiò qualcosa che neanche lui riuscì a distinguere chiaramente, un ibrido fra un'invocazione e una bestemmia, e ritornò a fare ciò che gli riusciva meglio: temporeggiare.

Sbrogliò le lunghe gambe e scrisse lentamente - con il volto inclinato per avere un'ottima prospettiva del foglio, come se potesse tutto ad un tratto essere folgorato da una saetta di demenza - il suo nome sulla testata del quaderno.

Ora che anche quel compito era stato svolto, non gli restava che controllare di aver portato le chiavi di casa con sè, come la bottiglina dell'acqua - che si premurò di stappare e risigillare per bene, proprio come farebbe un qualunque individuo affetto da disturbo ossessivo compulsivo - e ricalcare la scritta con tanto di stella al seguito.

Doveva certamente sembrare impegnato nel rassettare quell'angusto rettangolo che stava occupando, ciononostante vi fu qualcuno che non vi badò minimamente.

-E' occupato questo?-

Non mi dilungherò oltre sul profilo di questo ragazzo, anche perchè non vi sarebbe molto da dire al tal proposito, visto che il soggetto in questione era Connie Springer: cute rasata, un sorriso beffardo - che fece prudere i palmi di Eren come affetto da un'orticaria improvvisa - e la statura che vagamente gli ricordava quella di-

-Allora?-

A breve gli sarebbero spuntate delle enormi vesciche sulle mani, tanto era intenso il desiderio di dare una lezione a quel ragazzo, sul cui viso era scritto a caratteri cubitali tanto mi siederò lo stesso (ma forse non intravedeva ciò che gli stava tentando di comunicare Eren, qualcosa che assomigliava ad un fallo, basta che stai zitto ed uno scherzi? Ci sono solo io qua dentro.)

Beyond the white cloudDove le storie prendono vita. Scoprilo ora