L'inizio di una fine

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Iniziò tutto così, quel sorriso, quel dannato sorriso

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Iniziò tutto così, quel sorriso, quel dannato sorriso...
Ah no scusate, ho sbagliato storia.
Inoltre, vorrei evitare di ricevere qualche avviso per aver violato il copyright di una delle serie più famose del mondo.
E poi, la mia storia è diversa da quella di Hannah.
È più bella, più intensa, più fantastica, più inaspettata, più misteriosa, più tutto.
Mi chiamo Lorenzo.
Lollo, in realtà.
Insomma, se dovessi guidare una Porsche decappottabile appena rubata (non posso permettermi una qualsiasi cosa che abbia un motore al posto della catena) a 200 chilometri orari, in una stradina sterrata di campagna, con la polizia alle calcagna e tre belle prostituite che mi accarezzano cercando di tranquillizzarmi, mentre l'effetto dell'erba presa alla festa per drogati alla quale sono appena stato inizia a fare effetto, e se quell'auto della polizia riuscisse a prendermi e chiedesse la mia carta d' identità, allora troverebbero scritto:
Nome: Lorenzo Maria Carmine
Cognome: Pino
Data di nascita: 25/12/00

So cosa state pensando.
Dio, i tuoi genitori devono odiarti per averti dato tre nomi, uno da femmina inoltre (anche se non sono molto sicuro che neanche Carmine sia molto maschile).
Già beh, mio padre si chiama Lucrezio. È stato lui a scegliere i nomi. Colpa sua, innegabile.
Mia madre invece detiene un'altra colpa: l'avermi fatto nascere.
Maria Dentoni, esattamente diciassette anni fa, decise che le avrebbe fatto piacere avere un altro membro in famiglia. Di membro, quella sera, ne ottenne un altro.
E quindi invece di farsi una bella corsa o andare a prendere un po' d'aria fresca di Marzo, ecco che un'orda di spermatozoi fa a gara per fecondare l'ovulo madre, casa prossima di Lorenzo Maria Carmine Pino.
Per nove lunghi mesi quella scellerata di donna si metteva per quattro ore al giorno delle cuffie intorno alla pancia per poi mettere a tutto volume le sinfonie di Mozart.
Fortunatamente, non ricordo niente e mi confondo ancora sulla scritta "spingere" o "tirare" sulle porte dei bar, quindi direi che il tentativo di ignettarmi un po' di sana materia grigia sia fallito miseramente.
Un po' come la mia vita, insomma.
Ma non voglio fare l'adolescente depresso (anche se, credetemi, ne avrei tutti i motivi).
Ve la dirò in breve, il giorno di Natale dell'anno 2000, mio padre mise mia madre in una carriola per andare verso l'ospedale più vicino di Borgetto gridando che il figlio di Dio stava per rinascere una seconda volta. Fu traumatico, ma me la cavai.
Ci vollero venti minuti per fare uscire il mio bacino, che sembrava essere incastrato. Il mio piripicchio stava già dando prova della sua enormità, eheh. In tutto questo, mia madre stava morendo dissanguata.
Scusa, mamma. Tvb.
Dopo il parto intensivo, il primo pensiero di mia madre Maria, religiosa fanatica, fu di chiamarmi Gesù. Mio padre non ci vedeva niente di sbagliato e anzi, voleva aggiungere anche "junior", quindi probabilmente mi sarei chiamato cosí se non fosse stato per mio zio Carmelo che si oppose con tutto se stesso.
A proposito, grazie zio. Però uno sforzo in più potevi farlo.

Così nacqui, subito circondato da tutti i miei parenti che si scannavano per vedere lo sgorbio che ero...ehi, tutti i bambini sono bruttini.
Inoltre, ho omesso un piccolo particolare. Zio Carmelo era sposato con una donna bulgara, zia Svetlana. Per lei vigeva una regola: più siamo in famiglia, meno fatica facciamo noi adulti. E quindi sfornarono sei belle fanciulle, tutte dotate di vagina.
I primi sei anni della mia vita furono alquanto imbarazzanti. Venivo truccato e vestito da principessina ogni volta che gli zii, Torinesi, venivano a farci visita. Il che era più o meno ogni volta che ne avevano l'occasione, vale a dire...troppo spesso.
Appena compiuti sette anni e iniziata la terza elementare (sì, mia madre mi iscrisse un anno prima. Non le andava proprio giù il fatto che i suoi nove duri mesi di impegno non avessero dato i risultati aspettati) conobbi Serjay, un ragazzino dalla pelle scura come i peli sotto le ascelle del nostro maestro di di matematica, mamma russa, papà africano.
Diventammo subito amici, il mio primo amico. La nostra prima conversazione fu più o meno così.
"Ehi, faccia bianca"
"Dici a me?"
"Sì, capelli radioattivi. Come ti chiami?"
"Ehm..Lorenzo Maria Carmine Pino..tu?"
"Frena frena, mi sono perso"
"I miei genitori mi chiamano Lollo, quindi se vuoi.."
"Che nome di merda"
"Hai detto una parolaccia"
"Senti allevamento di pidocchi, se provi a dirlo alla maestra mi rubo la tua penna"
Strinsi la mia biro impaurito, la mia adorata biro blu e scossi la testa per far capire che non avrei detto niente.
"Bene. Io sono Willson, puoi chiamarmi Will e sono un principe"
"Cosa? Davvero?"
"Ovvio. Viviamo in una bellissima ed enorme reggia, con camerieri bianchi ovunque. Mia madre è la regina"
"Di cosa?"
"Ehm..meglio se non lo sai"
Lo guardai interrogativo non cogliendo la sua allusione sessuale. Cavolo, avevo sette anni! Ma la voce della professoressa ci richiamò. Era la prima volta che venivo ripreso. E l'anno era appena iniziato.
"Lorenzo e Serjay, silenzio"
"Ci scusi professoressa" dissi abbassando la testa e sistemandomi la grande e oscena montatura di occhiali sul naso.
"Pensavo ti chiamassi Will" sussurrai all'orecchio del mio compagno di banco
"Sì beh, Serjay è il mio cognome"
"Serjay Ajeje!"
Il ragazzino si girò verso la maestra e sorrise, mostrando a tutti i suoi denti bianchi e perfetti. Le chiese gentilmente scusa e quando si girò mormorò un insulto che non so come sia potuto uscire da una bocca di un bambino di dieci anni, sono ancora troppo sconvolto per riportarlo. (Aveva iniziato la scuola molto tardi, per via di problemi familiari che non sto qui ad elencare ora).
"Questa puttana bianca ha fatto saltare la mia copertura" brontolò, afferrando la mia biro e infilandosela tra i denti.

Quel giorno imparai che Will in realtà non era Will ma Serjay. E non era un principe, né viveva in una reggia, ma in una casina modesta vicino alla piazzetta. Si era appena trasferito con suo padre ed era solo, proprio come me.
La nascita di un'amicizia fu inevitabile.
Un'amicizia che andò avanti negli anni e che tutt'oggi è ancora solida.
Finimmo le elementari, ce la cavammo alle medie e per miracolo siamo arrivati all'ultimo anno del liceo artistico.
Sì, mia madre non la prese molto bene quando le comunicai la mia scelta. Anzi, non so se "prese bene" è il termine giusto.
Andò così:
"Mamma, papà. Io e Serjay vorremmo iscriverci ad un liceo"
"Amore della mamma!"
"Ottima scelta Lollo, classico o scientifico?"
"Ehm..artistico"
I miei si guardarono per un secondo e poi mia madre iniziò a far schioccare l'osso dell'alluce. Lo faceva sempre quando stava per sclerare. Era abbastanza inquietante.
Si alzò di scatto prendendo una ciabatta mentre mio padre afferrò il suo braccio trattenendola
"Lollo, scappa!"
Non me lo feci ripetere due volte e mi chiusi in camera mia, piena di disegni che avevo creato io stesso quell'anno. Sul mio letto era steso Serjay, con in mano il mio IPod e le mie cuffiette nelle orecchie.
"Amico, seriamente? C'è solo Taylor Swift qui!"
Glielo strappai dalle mani spegnendolo.
"Non è colpa mia se fa belle canzoni"
"Non è colpa mia se hai gusti di merda"
"E poi l'hai vista? È bonissima!"
"Se ti piacciono le bianche biondine anoressiche stupide come un cane che insegue la sua stessa coda, allora okay"
Rimasi abbastanza offeso dal commento, ma mi limitai a sedermi sulla mia scrivania abbassando la testa.
"Allora? Non ho sentito gridare, come è andata?"
"Bene"
In quell'istante entrò mio padre.
"Lollo...oh ciao Serjay"
"Che succede papà?"
"La mamma è svenuta. Vado a prendere la carriola"
La portò in ospedale.

Mia madre non mi parlò per un buon mesetto, poi però andai da lei e le recitai tutta la Divina Commedia a memoria e mi perdonò.
Detto tra noi, non mi va di studiare e poi non fremo dalla voglia di sudare sangue per una lingua morta o per trovare una stupida "x" in un'espressione.
E poi mi piace disegnare, anche se non sono bravo quanto Serjay.

Ed ora eccoci qua. Manca un anno alla fine. Sta per iniziare l'ultimo anno.
Conoscevo già tutti i miei compagni e professori.
Conoscevo tutta la teoria dei libri a memoria.
Conoscevo le tecniche di disegno, pittura e di lavoro con la ceramica (anche se non so come nella mia mente uscivano sempre meglio che dal vivo).
L'unica cosa che apparentemente non conoscevo, era me stesso.

Barcollo ma non molloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora