3, 2, 1...
Il lampeggiante rosso schiarì il cubicolo in cui Jeff Blanque era sul punto di prendere la parola per rivolgersi al pubblico trepidante che dall'altro capo della comunicazione non attendeva altro che sapere quali fossero i nomi dei fortunati prescelti.
Prescelti dalla sorte, si intende. Pescati per caso nel mare magnum di iscrizioni al concorso più stravagante di cui si conservasse memoria.ON AIR
Jeff Blanque si schiarì la voce al fischio sibilante della linea che veniva ripristinata dopo i ripetuti tentativi non andati a buon fine. Non era ben chiaro perché proprio al momento della proclamazione dei tanto sospirati nomi il generatore principale fosse saltato tre volte, e perché poi fossero andate in corto due delle quattro reti che consentivano alla comunità tutta di avvalersi degli ultimi ritrovati per le telecomunicazioni. Ormai era evidente sotto gli occhi di tutti il forte legame intercorrente fra benessere, corretto funzionamento degli impianti primari e controllo centralizzato dell'energia elettrica. Il fatto che in determinati momenti specifici qualcosa andasse storto, che il mondo si oscurasse e fosse preda dell'aria stagnante, del buio più totale, del suono metallico e indistinto della gente che scontrandosi l'un l'altra tentasse comunque in ogni modo di raggiungere i propri alloggiamenti, ormai non era un mistero: era divenuta una pratica coatta utilizzata per sedare gli animi più intraprendenti nei momenti in cui la tensione sociale dovuta a qualche evento insolito o imprevisto lo rendesse necessario.
Dunque accadde anche quella volta, nonostante tutta la Nazione presa nella sua totalità fosse sintonizzata sul canale da cui venivano trasmessi i comunicati ufficiali di una certa rilevanza, nonostante tutte le orecchie fossero attente a carpire anche il minimo sussurro proferito dallo speaker ufficiale che potesse finalmente svelare i nomi dei cinque fortunatissimi estratti che avrebbero vissuto sulla propria armatura l'indescrivibile esperienza di compiere qualche passo fuori dal mondo conosciuto e normalmente abitato dai membri della comunità. Il mondo si fermò allo spegnersi dei generatori e soffrì l'asfissia giusto il tempo per ritornare nei ranghi e smorzare gli animi dei più facinorosi.
La questione in effetti era alquanto complessa: il solo pensiero che potesse essere aperta una delle innumerevoli porte chiuse da sempre, saldate al punto da perdere nel tempo le fattezze e le fessure intorno ai propri cardini, aveva creato un'incontrollabile euforia isterica condivisa, ma anche mista al timore di sfidare i propri limiti alle spese di tutti.
Ormai era credenza diffusa pensare che per le vie del centro storico ci fossero svariate porte e finestre, serrate e termofuse, inchiodate e totalmente cancellate, inglobate nel corpo metallico degli edifici. C'era persino chi periodicamente, ma solitamente in coincidenza con i momenti più bui e critici sul piano politico e della pubblica sicurezza, riusciva a riesumare e rimettere in circolo antiche credenze popolari, leggende metropolitane, dicerie da corridoio, chiacchiere da centro commerciale, secondo cui andando a picchiettare, bussare, urtare con violenza contro alcune di queste porte cieche e dimenticatamente chiuse nel tempo, si potessero ricevere in risposta suoni 'discordanti' rispetto a quanto previsto dalla versione ufficiale fornita dalle autorità, come anche in contrasto ad ogni logica degna di raziocinio.
Infatti non erano in pochi a sostenere che in certi casi, al netto di ogni velleità religiosa, il rumore ottenuto in risposta quasi lasciasse immaginare che al di là ci fosse stata una zona cava, come una stanza, un'area nascosta e dimenticata, chiusa dietro ad una porta che poteva essere considerata serrata da sempre. Ma la qual cosa era di per sé impossibile anche ad essere solo immaginata: in un mondo privo di spazi inutilizzati, così concentricamente concentrato ad occupare ogni anfratto disponibile, chi mai avrebbe avuto l'idea, l'intenzione e non ultimo il vantaggio a sottrarne metratura? Se solo questo spazio ci fosse stato, e qualcuno ne fosse stato a conoscenza, per quell'individuo sarebbe diventato moneta corrente, strumento di potere, prestigio, egemonia, prevaricazione, controllo sociale. Pensare di possedere dello spazio e poterne disporre a piacimento avrebbe conferito a chiunque un'autorità indicibile al punto dal poter rendere impossibile anche lontanamente l'idea che volutamente se ne potesse fare a meno, murandolo dietro un numero infinito di porte, infinito e chiuso da sempre. Era molto più logico concludere che ciò che le dicerie popolari definivano porte in realtà altro non fossero motivi decorativi dal significato ormai perso nel tempo, una sequenza di decorazioni a rilievo dalla forma quadrangolare come pare ve ne fossero spesso in passato ad abbellire pareti, controsoffitti, sottobalconi. Cornici dalle grandi dimensioni, come una greca stravagante posta a scandire la base di alcuni edifici piuttosto che di pareti scoscese, crinali, stazioni di servizio.
Il crepitio del microfono lo fece sobbalzare. Jeff Blanque era accovacciato su una cassa in disuso, aveva d'avanti l'asta cerchiata di metallo che fischiava, e che gli ricordava che sarebbe stato il caso di aprire la capsula che gli era stata appena consegnata e finalmente dare lettura del suo contenuto a tutta la Nazione. O quantomeno approfittare della disponibilità elettrica per provarci.
Ma le mani sudate non riuscivano a tener salda la superficie sgusciante dell'involucro di vetro, che continuava a pulsare della luce rosso neon riflessa. Lievi rumori metallici e vibranti in lontananza lo riportarono alla realtà. La luce rossa continuava ad accendersi e spegnersi senza che nulla di nuovo accadesse.
Fino a quando un colpo di piatto contro la lamiera all'ingresso lo riportò definitivamente attento al gesto che di lì a poco avrebbe dovuto fare: rompere il vetro e dare lettura del messaggio all'interno.
― Allora!
Da fuori dalla stanza qualcuno cercava di riportare Jeff Blanque alla realtà.
Jeff Blanque tornò presente. Impugnando la capsula diede un colpo netto contro il bordo della mensola a suo fianco quasi fosse un varo in grande stile e raccolse da terra un corposo pacchetto costituito da parecchi fogli di carta ripiegati gli uni dentro agli altri.
Iniziò a dispiegarli e via via li separò cercando di capire da quale fosse il caso di iniziare la lettura. Scelse l'articolo di un giornale, ritagliato con cura e infilato in mezzo agli altri appunti. Si schiarì la voce, fece un cenno all'operatore che cercava di mettere a punto il volume delle casse e non pensando al testo che avrebbe letto, iniziò a declamarlo senza prima averci dato un'occhiata.
STAI LEGGENDO
Inumana gens
Science FictionPerché l'ignoranza è frutto dei tempi, in ogni campo, disciplina, sentimento. Thanks to Giger, Ballard, Harlock and salted almonds.