La mia parte più debole.

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La tensione all'interno della stanza era a dir poco assordante, aveva vita propria e si insinuava sempre di più nelle menti dei due uomini che, da ormai qualche minuto, si erano seduti ai due lati opposti della stanza.

Da una parte c'era Fabrizio, combattuto con se stesso perché aveva cercato di mostrarsi uno stronzo senza cuore, ma poi se ne era pentito e adesso si ritrovava chiuso in una stanza con il riccio.

Lo stesso riccio che fino a qualche istante prima non voleva vedere neanche in fotografia, e che ora, invece, avrebbe voluto avere per sempre con se in quella stanza chiusa, lontana da tutti, dove nessuno poteva portarglielo via.

Perché, se c'era una cosa che Fabrizio aveva capito in quegli istanti, è che non sarebbe servito a niente eliminare ogni più piccola traccia di Ermal dalla sua vita, convincersi ad odiarlo e "a non vederlo neanche in foto", perché come la cancelli una galleria di foto nascosta fra le varie parti di un cuore?

Non puoi, semplicemente restano lì inascoltate e silenziose, finché un ricordo non le sfiora e ti si piantano nella mente per tutto il giorno, fino a sparire di nuovo.

Non sono permanenti, no, ma sono incancellabili, e il solo pensiero che fossero lì lo mandava fuori di testa.

Come quando guardi un paesaggio, e poi quando lo fotografi, anche se la foto ti viene bene, sorridi malinconico nel pensare che la realtà, che la visione di quello stesso paesaggio non viene espressa al meglio in quel formato digitale.

"Se solo si potessero fare delle istantanee con gli occhi, magari con un occhiolino al posto del tasto delle macchine fotografiche."

Che bello che sarebbe, eh?

In un attimo, a Fabrizio venne in mente la scena del film che sua sorella tante volte lo aveva costretto a vedere: Bianca come il latte, rossa come il sangue.

Si ritrovò a voler avere lo stesso "potere" immaginario di Leo, che ogni giorno si divertiva a fingere di fotografare Beatrice con un battito di ciglia.

Ermal era la sua Beatrice.

Anche se, pensò il moro, Beatrice non avrebbe niente da insegnargli.

Fabrizio però non ha bisogno di foto, né fisiche ne mentali, per immaginarsi tutti i momenti passati con Ermal.

Non facevano parte del libro, ne erano la copertina di un'autoproduzione, quella copertina che scegli tu per cercare di far capire al lettore la trama di una storia.

Ermal era la copertina, la trama, il libro intero.

Avrebbe fotografato lui mentre cantava, suonava, anche semplicemente sorrideva.

Aveva avuto il piacere di vederlo poche volte quel sorriso, ma tanto gli era bastato per capire che, per cancellare quelle istantanee, non sarebbe servito neanche una formattazione mentale.

Avrebbe scordato il suo nome, forse, ma il suo sorriso no, perché quando una cosa ti scava dentro così tanto, quando segna il tuo percorso come fanno i fiumi o le gocce sul finestrino in una giornata di pioggia, non te lo scordi più.

Ermal, dall'altra parte, si era seduto contro il muro della stanza e aveva lo sguardo basso, mentre continuava a pensare a tutte le parole che il romano gli aveva rifilato.

Sapeva di meritarle dopo ciò che gli aveva fatto, ma la cattiveria che aveva letto negli occhi dell'altro lo aveva destabilizzato.

Lui lo aveva ferito per primo, sì, ma aveva un motivo ben specifico, qualcosa che nemmeno dipendeva da lui, però c'era e Ermal lo conosceva bene.

Ma Fabrizio? Fabrizio che motivo aveva per continuare a ripetere quelle cose?

Ermal aveva capito la sua reazione istantanea, quando lo aveva aggredito in quel modo in mezzo al corridoio, perché era stata una reazione istintiva, dettata dall'impulso di un momento.

Nascondi la parte migliore || MetamoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora