La felicità.

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Il sole quella mattina era un po' più grigio del solito, nemmeno lui voleva saperne di svegliarsi, o semplicemente, quel giorno, era così timido che preferiva nascondersi verso una nuvola cupa, per far si che la sua lucentezza venisse nascosta da quell'ammasso grigio, come le camicie di suo padre.

Fece un sorriso sghembo nel ricordare, mentre si mordeva il labbro inferiore e faceva una smorfia, tornando a guardare la finestra.

Ricordi, ricordi, ricordi, Fabrizio odiava i ricordi, sia belli che brutti.

Perché anche quelli belli, vi chiederete?

Perché ricordare, a prescindere, voleva dire che l'oggetto di quei ricordi era lontano da te per qualche strano motivo.

A volte faceva male, altre faceva bene, di un bene così speciale, che ti venivano gli occhi lucidi nel ricordare quei momenti in cui, l'unica cosa che facevi, era tenerti la pancia per le troppe risate.

L'unica cosa che hanno in comune, tutti i tipi di ricordi esistenti su questo universo, era ciò che ti lasciavano dopo: un senso di vuoto, più precisamente di mancanza.

"Ma tu non dovresti mancarmi, dovresti esserci."

Questo si ritrovò a pensare il romano, mentre piano si alzava dal letto e scosse la testa, aprendo il solito comodino e trovandoci dentro un orologio.

Ma non un orologio qualsiasi, quello era il suo orologio.

Lo prese fra le mani, accarezzandolo con cura, mentre gli occhi gli si facevano appena lucidi nel ricordare la sua infanzia, quella spensieratezza che non aveva mai avuto, che gli era sempre stata negata, ma che in quel momento ricordava con un velo di malinconia.

Non diventerai mai un cantante, Fabrizio.

Non avrai mai una famiglia, Fabrizio.

Non sarai mai amato, Fabrizio.

Non sarai mai felice, Fabrizio.

Non farai mai niente di buono.

Non aveva mai ascoltato quelle parole, mai, seppur un piccola parte di lui ci credette nel momento in cui rinunciò al suo sogno di cantare.

Non aveva più l'età per quelle sciocchezze da ragazzino, questo si era detto, doveva pensare alle cose serie, al suo piano B.

Insegnare, stare con i ragazzetti, era fatto per questo, aveva un dono nell'entrare a contatto con loro, non era difficile farsi volere bene e volere bene a sua volta.

Ma era davvero questo ciò che gli serviva per essere felice?

"Mi domando se la mia è una vita felice, e so rispondere solo che mi piace."

Seppellì quel sogno con la delicatezza più fragile che avesse mai provato nella sua vita, convinto che non sarebbe mai riuscito a spegnere del tutto quella piccola fiamma del suo cuore, che bruciava ardentemente nel punto in cui l'aveva nascosto, ogni ora di di ogni giorno.

Ma pazienza, si disse, perché era convinto che sarebbe riuscito ad andare avanti, a realizzarsi in qualche altro modo.

Poco dopo, però, iniziarono i primi litigi con Giada, le prime schegge di un amore finito, che però, sanno essere più taglienti di mille lame affilate.

Perché quando non ami più, quando non senti più quell'istinto di protrusione verso una persona, semplicemente non ti preoccupi più di ferirla, nemmeno te ne rendi conto.

Smetti di farci caso, perché ti rendi conto che non è un caso se in quel momento vi trovate lì, a litigare, e inizi a pensare che forse sarebbe il caso di chiuderla lì.

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