Capitolo due.

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Non sono molte, le cose che faccio ultimamente. Passo intere giornate a guardare gli alberi riflettersi nel lago vicino casa mia, domandandomi se non si sentano un pò diversi, ogni tanto. Se hanno mai pensato di odiare loro stessi. Lancio uno sguardo alla superfice dell'acqua, e vorrei tanto sentirmi solo un immagine. Un tempo non avrei mai immaginato che mi sarei ridotto a questo. Partì tutto quattro anni fa, quando mi resi conto che Nicola non era soltanto il mio migliore amico, ma qualcosa di più. Da quel giorno ho perso tutti i miei amici, compreso mio padre. Non riesce più a guardarmi neanche in faccia. Mia madre tenta di capirmi, ma non può che stare dalla parte di mio padre. E' sempre stata troppo debole per far valere i suoi ideali, e ormai ho smesso di sperare che ne sia in grado. Sono anni che mi sento completamente estraneo a tutti. Da quando ho confessato di essere gay, la mia vita si è completamente capovolta. Ho ancora il voltastomaco, non so come fermare questa giostra. E' troppo tempo che tutto va avanti così. Odio fare la vittima, ma sono rimasto solo. Ci sono solo persone che mi disprezzano, o che mi compatiscono. Nessuno riesce a vedere come sono realmente. Devono tutti filtrarmi attraverso la parola gay. Non sono nient'altro che questo. Di colpo sembra che non abbia nulla da mostrare. Invece si sbagliano tutti quanti, ma non so come farglielo capire. Da un pò di tempo ho iniziato a scrivere, qualche canzone niente di più. Mi piace rifugiarmi nei posti isolati e dimenticati, forse perchè mi somigliano. Ho imparato ad apprezzare il silenzio e la natura. Ho capito che il vento e gli alberi hanno una voce, e che tu li senta o no, loro ti parlano continuamente. A volte la cura è semplicemente smettere di parlare e inziare ad ascoltare. Non credevo che la mia vita potesse prendere una piega del genere. A volte ho odiato me stesso per quello che sentivo. Non volevo essere gay. Mi volevo uccidere, mi tagliavo. Era l'unica cosa che mi faceva stare bene. Era la giusta punizione che meritavo. E più mi tagliavo più gli altri mi guardavano storto. Allora provai a drogarmi, facendomi di cocaina. Ma sembrava andare sempre peggio, sembrava che tutti mi stessero guardando nel tentativo di cogliere il momento esatto in cui sarei caduto. Non aspettavano altro. Non gliela volevo dare vinta. Così ho capito che la vita è strana, è dolorosa, ma dipende comunque da quello che noi vogliamo farne. Potevo lasciare che trascorresse, dandomi contro e ripetendomi ogni giorno quanto fossi sbagliato e fuori luogo. Finchè un giorno ho capito che non c'è niente di più sbagliato. La tristezza è un energia che abbiamo dentro al corpo, ed è come l'energia. Non si può distruggere, ma si può trasformare. Ho capito che l'antidoto era evolverla in rabbia. Così smisi di tagliami,e ora a malapena ne riporto le cicatrici. Iniziai a picchiarla, la gente che mi faceva del male. Ho spaccato il naso a un ragazzo negli spogliatoi della scuola, e ho rotto la gamba ad una ragazza tirandola giù per le scale. Gli altri hanno inziato ad avere paura di me. Altri cercavano di starmi vicino come se fossi qualcosa da compatire, quando l'unica cosa che volevo è che mi guardassero come una persona normale. Ma ormai ho smesso di credere in tante cose. Se gli altri non mi apprezzano, non m'importa. Ho finito per allontanare tutti, persino mia madre. La solitutine è qualcosa che si paga a caro prezzo, ma preferisco cento volte essere solo che essere come tutti gli altri. Io sono gay, e mi ci è voluto coraggio ammetterlo, ma amo esserlo. L'ho urlato, scritto,e inciso dentro le mie labbra. Non c'è qualcosa che devo temere nell'essere me stesso. Ho imparato che quando gli altri ti disprezzono non è invidia. E' l'insicurezza che li fa parlare. Hanno bisogno di dimostrare di essere forti abbattendo gli altri. Non c'è cosa più triste ed evidente di questo per capire quanto la gente abbia paura di non contare niente. E la verità è che la maggior parte delle volte, queste persone si guardano allo specchio e odiano il loro riflesso più di quanto possono odiare me. E' questo che mi spinge ad andare avanti. Sapere che io dopotutto, non sono così infelice. Col passare del tempo ci ho preso gusto ad allontare gli altri. Ci sono cose che mi emoziano molto di più delle persone. Amo prendere la macchina e oltrepassare i 140 km/h nelle strade di campagna. Mi piace prendere le curve in velocità, e sentire l'adrenalina che mi scoppia dentro al petto. Amo correre sotto la pioggia, e andare a pescare lontano da tutti. Se ho passato del tempo ad odiarmi, adesso ho capito che l'unico che può prendersi cura di me sono soltanto io. Nel tempo libero scrivo anche canzoni. Ho una chitarra a casa, mi ci è voluto del tempo per riniziarla a suonare. Io e Nicola suonavamo insieme prima. Ripenso spesso a lui, e mi sento triste. A volte potrei precipitare dentro me stesso senza neanche accorgermene. Mi sento così vuoto, che dentro ho una voragine. Dimenticare qualcuno che si ama è più difficile di quanto mi aspettassi. Lui è l'unica persona per la quale nutro ancora la speranza che ritorni. Dove è andato a finire tutto il bene che ci volevamo? E' bastato talmente poco a distruggere tutto. Ogni cosa me lo ricorda. E' triste andare avanti così. Come se tenessi una corda al collo, e il nodo si facesse sempre un pò più stretto. Ho provato più volte a scrivergli una lettera. Volevo spiegargli tutto. Ma mi sono chiesto quanto ne valga la pena, se lui adesso a me non ci pensa neanche più. La cosa che fa più male è vedere i suoi occhi scrutarmi dentro fino alle ossa, e sapere che odiano ogni parte di me, quando una volta mi apprezzavano. La nostalgia non si può curare. Solo il tempo può aggiustare tutto. Getto un sesso nell'acqua. Mi sento andare a fondo e scomparire anch'io, a volte. Quando torno a casa, con mia sorpresa trovo entrambi i miei genitori seduti sul divano, e accanto a loro una persona. Mi prende all'improvviso una sensazione strana, e capisco fin da subito che è di lei che si tratta. Mi avvicino e la vedo alzarsi in piedi. - Stefano, quanto mi sei mancato! - mi circonda la schiena con le sue braccia. Io la stringo più forte che posso, scavando il mio viso nella sua spalla. Sono quattro anni che non la vedo. -Cris - pronuncio il suo nome e mi si riempono gli occhi di lacrime. Sono felice. Mia sorella mi asciuga le guance con le maniche del suo maglione. Tipico di lei. Siamo a Settembre e ha già tirato fuori la roba invernale dall'armadio. Sorridiamo entrambi felici di vederci. -Vieni ti porto in camera mia - le faccio vedere la mia stanza che non è affatto come l'aveva vista prima di partire. Ho tinto le pareti di verdeacqua, e ho appeso un pannello su tutta la parete ricoperto di foto. Ho spostato il letto e l'ho messo più vicino alla finestra. Su un'altra parete ho messo due mensole, e sopra ci sono tutte le mie collezioni di Cd. -E' bellissimo questo colore - carezza la parete. - Lo stesso dei tuoi capelli - sorrido e lei si guarda allo specchio come se avesse ricordato solo in quel momento di averli tinti. -Già - arrosisce -papà mi crede pazza. -Beh non ha tutti i torti - le rispondo. Lei mi guarda attentamente, e mi gira intorno cercando qualcosa sui cui prendermi in giro. -Sono sempre lo stesso - dico fiaccamente. -No, hai indosso una camicia. E hai cambiato taglio di capelli anche tu - alza gli occhi al cielo come se stesse riflettendo su qualcosa - hai un ragazzo? Mi chiede sorridendo, convinta di aver capito tutto. In realtà se mi trova cambiato è soltanto merito mio, e di nessun altro. Ho smesso di farmi piacere dalle persone. Non ne trovo più il senso. -Non esattamente. Sono successe tante cose da quando sei partita, non saprei da dove cominciare - sospiro. - Non mi sembri molto felice. Che è successo? Lo so che sono lontana - si siede sul letto accanto a me - e che pensi che non possa aiutarti, ma vorrei che tu me le raccontassi lo stesso queste cose. -Me ne vergognavo -Perchè dovresti? -Non lo so, perdere di colpo tutti i miei amici non è stato un granchè. E' stato piuttosto umiliante. Ed è ancora più struggente sapere che mezzo mondo adesso non riesce a vedere niente in me se non che sono gay. Da quanto te ne sei andata la mia vita si è strafottuta da sola. L'unico mio errore è stato amare qualcuno, e continuare a farlo pure adesso, di nascosto -Si tratta di Nicola, giusto? - Si vedeva così tanto? - le chiedo disperato. -No - mi sorride dispiaciuta - ma era l'unica persona che ti sarebbe dovuta restare accanto, una volta saputo che lo fossi. Mi guardo la punta delle scarpe. Mi manca talmente tanto che parlarne mi fa stare ancora peggio. -E tu? -Che vuoi che ti racconti? Madrid è meravigliosa. Ho conosciuto un sacco di persone, mi sono fatta tanti amici, conduco una vita normale, niente di più. -Non hai neanche un ragazzo nella testa? - Per me l'amore è limitante, lo sai. -Credevo che scherzassi quando lo dicevi. -No, nessuno mi ha mai preso molto sul serio. Amo i ragazzi, ma c'è molto più di questo. -Tipo? -Viaggiare, sperimentare, fare esperienze. Aiutare gli altri, fare feste, mangiare, ballare. Ci sono un sacco di cose che ci fanno vivere, l'amore è solo quella più semplice. Nel pomeriggio porto Cristina nel bosco insieme a me. Un tempo ero io a seguirla per i viottoli. Mi fa strano vedere quanto siamo cresciuti. Lei è comunque la stessa fin da quando era piccola. Scavalca le rocce con un'agilità che le ho sempre invidiato e scansa i rami degli alberi come se ricordasse a memoria le loro posizioni. I capelli raccolti in una coda di cavallo oscillano da una parte all'altra, sembra una bambina diventata improvvisamente troppo grande. Quando raggiungiamo il posto, ci sediamo sulle rocce e osserviamo lo specchio d'acqua. Si guarda intorno facendo una specie di piroetta. Allarga le braccia e guarda il cielo, e nel giro di qualche secondo mi ritrovo ad imitarla. -Mi ero dimenticata quanto fosse bello qui - dice. Dopo facciamo un giro per i sentieri. Sono sorpreso che Cris li ricordi ancora tutti. Siamo ad uno dei punti più alti. Ci sporgiamo su una roccia e guardiamo in basso, verso il lago. La guardo togliersi la maglia. -Che diavolo stai facendo? Lei continua a sfilarsi tutti i vestiti fino a rimanere in mutande e reggiseno. -Ci facciamo il bagno? -Cosa? Stai scherzando spero - No sono serissima. Non aspetta che io ribatta. Indietreggia, prende la rincorsa e si butta come se fosse la cosa più normale del mondo. Inizia a nuotare e si rilassa. -Dai buttati, quest'acqua è pulitissima! Sono fermamente contrariato a fare quello che mi chiede. Poi ripenso a quando è stata l'ultima volta che mi sono fidato di lei e capisco che ogni scelta che faccio, anche se azzardata, a volte può davvero rendermi felice. Mi tolgo i vestiti e mi butto. Mi sembra di volare, affondo nell'acqua e non mi sento più come un sasso schiacciato dal suo peso. Anzi, mi sento in grado di riemergere da qualsiasi cosa. Quando torniamo a casa tutti bagnati, vedo mia madre ridere finalmente dopo tanto tempo. -Si vede che sei tornata - dice a Cris e sorridiamo tutti e tre. Cris è sempre stata l'anima folle della famiglia. Non è mai stata un grande esempio da seguire. Non era il tipo di sorella maggiore cui miei potevano fare davvero affidamento. Ricordo che quando ero piccola e i nostri genitori erano fuori, mi lasciava guardare la tv fino alle due di notte. Guardavamo quattro film di fila e ci facevamo il solletico sul divano. Fu la prima a farmi guidare il suo motorino nonostante avessi appena dieci anni. Quando giocavo alla guerra con i miei amici lei mi procurava tutte le armi. Costruì un fucile con dei pezzi di legno, che sparava elastici. E mi regalò una fionda che aveva trovato tra i rami di un albero. Mi insegnava ad aggrapparmi ai rami, e a farci sopra gli addominali. Mi ripeteva che così la ginnastica era divertente. Ho sempre amato tutto di lei, perchè lei non è come me. E' istintiva, dolce, curiosa. Non può star ferma, ha sempre una soluzione per ogni cosa. A volte ho desiderato ardentemente di essere come lei. -Ti va di dormire fuori in giardino, stanotte? - Cosa? - Andiamo Stef, come sei diventato rigido! - mi prende in giro, facendo gli occhi dolci. - Più che passa il tempo e più mi sento io tuo fratello maggiore. Possibile? Lei fa una smorfia, apre un armadio e prende una catasta di coperte. Decido di aiutarla a portarle in giardino. Una volta che le abbiamo distese tutte, lei si sdraia e inzia a rotolarsi come quando ero piccola. Mi affianco accanto a lei, intrecciando i suoi capelli fra le mie dita. Lei si ferma, e si lascia sfiorare dalle mie mani. -Di che colore li tingerai la prossima volta? - le chiedo. Lei si ferma a guardarmi. -Li tocchi come Marco, sai? -Allora non sei così cinica - la ripendo. -Che c'entra? Me lo hai solo ricordato, tutto qui -Non ti manca? - No, non mi manca nessuno di quelli che hanno deciso di restare nel mio passato. Smetto di toccarle i capelli. Lei si rigira dal lato opposto. -Mi abbracci, Stef? Le circondo il corpo con le braccia, posando la mia guancia sulla sua. Non l'avevo mai stretta in questo modo. Penso a Nicola, e a quanto vorrei che fosse qui. Dentro di me sento la rabbia avvampare, e il mio corpo scaldarsi e flettere i muscoli. E' in questi momenti che sento la necessità di spaccare qualcosa. Inavvertitamente stringo i pugni contro la pancia di Cris, e lei se ne accorge. -Che hai? -Niente - rilasso le braccia. Lei si volta di nuovo a guardarmi in volto. I suoi occhi sono meravigliosi. Mi hanno sempre ricordato quelli di un cerbiatto. Per questo il suo soprannome da piccola era Bambi. Ci affondo dentro, sono limpidi e puliti. Innocenti e puri come lei. Mentre nei miei è nascosta la rabbia, il rancore, tutto quell'odio che non ho mai potuto sfogare come avrei voluto. I suoi occhi hanno la capcità di annegarmi e salvarmi al tempo stesso. Non credo di poterle mentire. -Pensieri. Mi poggia una mano sulla spalla. -Passerà - mi dice e vorrei crederle veramente. La mattina dopo vado in città. Ho intenzione di comprare qualcosa a Cris, anche se non so bene cosa. Passo per le vetrine dei negozi, e sento scorrere attorno a me una marea di gente. Non amo granchè star in mezzo alla folla. L'unica cosa positiva è che riesce a nasconderti meglio di quanto si creda. O forse mi sbaglio. Proprio a qualche metro di distanza vedo Mattia e Nicola avanzare nella mia direzione opposta. Sento una scossa dietro l'altra piombarmi sul cuore. Sono assalito dalla tensione. Non so dove posare lo sguardo, se cambiare strada, oppure se fingere di essere un altro. Quando all'improvviso ci ritroviamo a tre metri di distanza e non so neanche come abbiamo fatto. Mattia guardandomi si mette a ridere, e continua a scuotere la testa. Nicola sorride beffardo imitando l'amico. Ma i suoi occhi comunicano qualcos'altro. Mi scrutano profondamente e so che forse è pura illusione, ma mi guardano quasi a chiedermi scusa. Vorrei tanto parlarci, prenderlo da una parte e far tornare tutto come prima. Invece mi passano oltre e io mi sento impotente. Così rubo di mano a un passante, il casco della moto. Lo prendo e sotto gli occhi di tutti lo tiro contro una vetrina. Scoppia l'allarme e milioni di persone rimagono fisse a guardarmi. Ma io scappo col cuore che mi batte a mille di adrenalina, di energia, di disperazione. Vorrei rompere tutto, e colpire qualsiasi cosa. Vorrei prendere a pugni Mattia fino a farmi sanguinare le nocche. Calpestare la sua faccia fino a consumare le scarpe. Non so quanto ancora a lungo riuscirò a controllarmi. Quando ritorno a casa, trovo Cris in cucina con la mamma. Stanno preparando il tiramisù. Mi salutano e come loro solito mi chiedono se ho voglia di assaggiare, ma io non le guardo neanche in faccia. Corro per le scale e mi rinchiudo nella mia stanza sbattendo la porta talmente forte da far tremare il muro. Metto la musica al massimo, in modo da non sentire nessuno. Le vibrazioni del ritmo fanno ballare anche il pavimento. Prendo tutte le cose che ho intorno e inizio a scaraventarle contro il muro, urlando. Non riesco a controllarmi. Vorrei smettere, ma non ce la faccio. Le mie braccia sono più rapide e non riesco a fermarle. Grido con tutto il fiato che ho in corpo. Mi sento bruciare di collera, ed è tutto ciò che percepisco. Tutto si riduce in pezzi. Vecchi bicchieri di vetro, bottiglie di birra lasciate in giro per la scrivania. Rompo tutto ciò che mi capita fra le mani. Poi sento bussare violenetemente alla porta, ma non apro a nessuno. Soltanto quando sto sudando freddo decido di buttarmi sul letto e di spegnere la musica. Sento Cris e mia madre urlare il mio nome, ma io non ci sono per nessuno. Mi raggomitolo fra le lenzuola sperando di esser dimenticato anche da loro. In fondo, a nessuno è mai venuto difficile togliermi dalla testa. Qualche ora più tardi mi alzo e vedo un bigliettino passato da sotto la porta. -Sono al Punto Roccioso, quando ti va, vieni anche tu. Cris. Il Punto Roccioso è il nome che abbiamo dato a quel posto da cui ci siamo tuffati ieri. Nonostanti le mani mi tremino per il nervoso, decido di raggiungerla. Scavalco, correndo, i sassi e le erbacce fino a che la scorgo seduta su una roccia. Quando mi vede non mi dice niente. Mi siedo a fianco a lei con le ginocchia piegate, e la braccia posate su di esse. Guardo il lago sperando che mi calmi. Cris appoggia la testa sulla mia spalla. - Lo fai spesso? - mi chiede con la voce strozzata. Di scatto mi metto a fissarla. -Che cosa? Sembra quasi sul punto di piangere, poi si tira su. - Urlare, spaccare le cose... non smettevi più. Quelli che a me erano sembrati soltanto dieci minuti, per lei erano durati un'eternità. Sentii una fitta al cuore. Fino a che limite mi ero spinto? - Non è niente - le dico mettendole un braccio attorno al collo, e sfiorandole una guancia - non devi dargli importanza. -Non smettevi più - mi ripete come un disco rotto - non capisco che ti sia preso. Da quanto tempo stai così? D'un tratto ricordo che lei non conosce questa parte di me. Non conosce niente del nuovo me. E' partita prima ancora che tutto il bene mi venisse succhiato via. Non mi aveva mai visto perdere il controllo. -E' tutto okay... - le sussurro, baciandole la guancia, ma non sono credibile.La sera, quando Cris s'infila sotto la doccia, mia madre scivola silenziosamente in camera mia. Quando la sento sulla soglia della porta le parlo: -Non serviva che buttassi via i cocci delle cose che ho rotto. La prossima volta ci penso io. -Buttare via i cocci è il minimo che possa fare. Ci hai spaventate a morte oggi, di solito non duravano così tanto i tuoi attacchi d'ira. Che è successo? -Mi dispiace, non riuscivo a controllarmi. In realtà, è da un pò che ho smesso. Lei mi guarda comprensiva. Mi ha pregato più volte di andare da uno psicologo, ma le ho sempre chiuso la porta in faccia. Vorrebbe fare qualcosa, ma non ha idea di cosa possa farmi star meglio. Neanch'io lo so. Quando Cris esce dalla doccia, viene nella mia stanza , con indosso il pigiama. -E' da tanto che sei così? -Di che parli? -Di oggi. Non riesco a togliermi le tue urla dalla testa. E' un pensiero costante, non faccio che rimuginarci su. -Cris dovevo soltanto sfogarmi, non farne un problema okay? -Non farne un problema? Stavi distruggendo casa Stef, ma come pensi che dovrei prenderla? - Stai esagerando. Mi dispiace, non volevo che lo scoprissi in questo modo. Forse te ne avrei parlato prima se avessi avuto tempo, ma non preoccuparti. E' da mesi che va avanti così, ti ci abituerei come tutti gli altri - Mesi? Perchè nessuno mi ha mai detto niente ? - inizia ad urlare. -Ti prego non alzare la voce - sussurro - Non posso gridare? Ah, no? Mi sembra di capire che in questa casa sia normale farlo. Nessuno mi ha detto niente, non posso ancora crederci. Ti sembra normale tutto questo? - Ti prego smettila... - Invece io non smetto - mi spinge indietro violentemente- Non ci riesco a fingere che sia tutto okay, perchè non lo è! Dentro di me sento salire la rabbia. Cerco di comprimerla ma è ancora peggio. Non vorrei scoppiare, ma è qualcosa che prende il sopravvento. Lei continua ad urlare, non so come reagire. Le chiedo di abbassare la voce, ma lei non mi ascolta. Vorrei che sapesse tutto, vorrei che capisse , ma lei ignora ciò che le chiedo. Continua a parlare arrabbiata che nessuno le abbia detto niente. Non so più come fare. Di botto esplode tutta la mia ira, la prendo per i polsi e la scaravento contro al muro. - Chiudi quella cazzo di bocca, ti prego! Lei si immobilizza. Inizio a picchiarmi la testa, con degli schiaffi. E' l'unico modo per non prendermela con lei. Poi inizio a prendere tutti i trofei di quando ero piccolo che sono sulla mensola e li getto uno dopo l'altro addosso al muro. Vorrei fermarmi, ma non ci riesco. Rompo tutto per far placare quello che ho dentro. Ma è come gettare benzina su un fuoco già acceso. Dopo qualche minuto arriva mia madre, che mi prega di smetterla con le lacrime agli occhi. Anche mio padre appena arrivato da lavoro assiste allo spettacolo. Cris è ancora attaccata alla parete, da quando l'ho spinta. Sento i loro occhi accusatori sulla mia schiena, e ciò aumenta ancora di più l'ira che ho dentro. Quando mia madre si mette in mezzo fra me, e tutto ciò che vorrei spaccare, riesco a fermarmi. Mi piego in due, sento il respiro affannato. Mi accovaccio per terra col fiatone, tentando di ritrovare la calma. La testa mi fa malissimo, come se dentro qualcuno la martellasse. Mia madre mi si affianca mentre mio padre dice a Cris di andare al piano di sotto. - Clara, lascialo solo - dice a mia madre, spaventato che le possa fare qualcosa. -Io non... - cerca di ribattere lei. -Mamma, vai ti prego- sputo a terra, ho gli occhi lucidi. -No, stavolta non ti lascio solo - e per la prima volta non si lascia influenzare da mio padre. Per la prima volta la sento vicina veramente.

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