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Neo aprì gli occhi quando il profumo di caffè si insinuò all'interno della stanza nella quale si trovava. Sbatté alcune volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco un soffitto sconosciuto e non il cielo tempestato di stelle, che ricordava di aver contato per potersi addormentare. Disorientato, si mise seduto e si guardò attorno, scoprendo un ambiente troppo confortevole per appartenere a un ricovero per senzatetto.
La fioca luce che proveniva dalla lampada a forma di unicorno sul comodino illuminò l'ambiente senza risultare fastidiosa e gli permise di far vagare lo sguardo sul vario mobilio, sul quale erano attaccati adesivi che raffiguravano quella creatura magica.
Scostò la coperta e, chiedendosi quale persona sana di mente avesse potuto mettere un vagabondo nella stanza del proprio figlio, si sedette sul bordo del letto. Un movimento troppo veloce che gli causò un improvviso capogiro.
«Con calma», si disse, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Li riaprì pochi attimi dopo per constatare che indossava un pigiama dal quale gli sorridevano vari unicorni. «Dove sono capitato?!»
Si mise in piedi e quasi incespicò su un paio di ciabatte bianche a forma di unicorno. Scosse il capo e sorrise divertito quando si rese conto che, a causa del pavimento ghiacciato, sarebbe stato costretto a infilarsele.
Aprì la porta e mise fuori la testa per sbirciare in quello che si rivelò essere un corto ma ben illuminato corridoio, che si affacciava su altre quattro stanze, tre delle quali chiuse. La richiuse piano e proseguì con cautela, seguendo quell'invitante profumo di caffè.
Da quanto non ne beveva uno decente? Sorrise, quando un nuovo capogiro lo costrinse a poggiarsi alla parete e quello fu l'esatto istante in cui vide uscire un uomo dall'ultima stanza del corridoio.
Riley gli si avvicinò immediatamente. «Come ti senti?» La palese preoccupazione nel tono della sua voce lasciò Neo disorientato. «Sai, pensavo non ti svegliassi più», mormorò, poggiandogli una mano sulla fronte per constatare che la temperatura si fosse abbassata. «Almeno questa se n'è andata», sorrise.
Neo lo fissò come se davanti avesse una qualche creatura mitologica. «Tu chi sei?»
«Sono colui che si prenderà cura di te», rispose, per poi aggiungere: «Ce la fai a camminare?» e senza lasciargli il tempo di rispondere, gli circondò i fianchi con un braccio e lo condusse in cucina. Nonostante la loro differenza d'altezza e il fatto che Neo fosse decisamente più robusto, Riley riuscì a guidarlo sino al tavolo ovale al centro della stanza; con il piede spostò una sedia e lo aiutò a sedervisi.
«Grazie!» biascicò Neo, imbarazzato.
Riley gli rivolse un sorriso genuino. «Hai voglia di fare colazione?» chiese, avvicinandosi a uno dei pensili che componevano la cucina in stile country, dal quale tirò fuori quanto vi fosse di commestibile, riempiendo in men che non si dica il piano di marmo.
«Tu chi sei?» chiese nuovamente Neo.
Riley si voltò, tenendo nella mano destra una scatola di cereali al cioccolato e nell'altra una di cereali alla banana. «Io...?» Guardò l'altro e sorrise, ammettendo che forse presentarsi sarebbe stata la prima cosa che avrebbe dovuto fare. Si avvicinò al tavolo, sul quale appoggiò le due confezioni. «Effettivamente, credo di non essermi ancora presentato», rise imbarazzato, tendendogli una mano. «Sono Riley, piacere» e sorrise in un modo così genuino che l'altro allungò la propria e gliela strinse.
«Cosa ci faccio qui?»
Riley prese posto sulla sedia di fronte a lui. «Credo che questa sia una domanda più che lecita. E vorrei saperlo pure io». Notò l'espressione confusa dell'altro e si apprestò ad aggiungere: «Io ti ho semplicemente trovato tra i rifiuti e portato a casa mia.»
«Semplicemente?» chiese Neo, ricevendo in risposta l'ennesimo sorriso.
Lo stomaco di Riley brontolò. «Ora, che ne dici di fare colazione?» domandò nel rimettersi in piedi e avvicinarsi al frigo accanto alla porta. «Tu invece come ti chiami?» Riempì un bricco di latte e lo mise sul fornello più piccolo. Neo seguì ogni suo minimo movimento, ma non rispose. Riley accese la macchina del caffè, poi gli rivolse una veloce occhiata da sopra la spalla. «Guarda che non mordo, puoi anche dirmelo il tuo nome. Prometto che non lo userò per ricattarti», sorrise, mettendo su un piccolo vassoio due tazze stracolme di caffè e tra loro una zuccheriera in vetro.
«Neo, mi chiamo Neo.»
Riley sorrise soddisfatto. «E cosa ci fai da queste parti, Neo?» chiese, macchiandone uno con il latte caldo, prima di ritornare al tavolo.
«Dove siamo?» ribatté Neo, passandosi una mano tra i capelli neri, che in quei mesi di girovagare senza una meta erano ricresciuti abbastanza da permettere alle punte di sfiorare le sopracciglia scure.
«A casa mia», rispose Riley, mettendogli davanti la tazza di caffè fumante, che l'altro strinse subito con entrambe le mani, ispirandone l'invitante aroma. «A Inverness», aggiunse quando Neo gli rivolse un'occhiataccia.
«Inverness...?» Bevve un lungo sorso di caffè e si lasciò sfuggire un gemito di piacere. «È buonissimo!»
Riley gli sorrise. «Sono contento che ti piaccia!» Poggiò il vassoio sul bordo del tavolo e afferrò la propria tazza, dopo avervi messo due cucchiaini di zucchero. Scoperchiò la scatola di latta che usava come centrotavola, contenente i biscotti avanzati dal bar, e la spinse verso di lui.
Neo afferrò un biscotto e se lo infilò in bocca, sotto lo sguardo divertito dell'altro. Bevve un altro lungo sorso di caffè, che unito al sapore del biscotto alla cannella creò nella sua bocca un'esplosione di gusto. Gli sfuggì una lacrima.
«Non devi mangiarli se non ti piacciono», si affrettò a dire Riley.
«Sono buonissimi!» bofonchiò Neo, dopo essersene infilato in bocca altri due.
Riley sospirò di sollievo. Afferrò lui stesso un biscotto e lo mangiucchiò, senza staccare gli occhi dal viso dell'uomo, intenerito dall'espressione che faceva a ogni morso.
«Tu accogli in casa tutti quelli che trovi tra i rifiuti?» chiese all'improvviso Neo, tra un morso e l'altro. Questa cosa del buon samaritano che raccoglieva le persone dalla strada non lo convinceva per nulla!
L'orologio a cucù, appeso sopra la porta, suonò in quel momento e Riley borbottò qualcosa che l'altro non comprese.
«Sono già le sette», disse poi, alzandosi e avvicinandosi al lavandino, vi mise dentro la propria tazza. Poi sbuffò contrariato, lanciando un'occhiataccia all'orologio quando l'uccellino uscì nuovamente fuori. «Avrei tanto voluto sentire la tua storia», aggiunse, appoggiandosi contro il piano di marmo e, quando incontrò lo sguardo dell'altro, sbuffò ancora. «Purtroppo devo andare a lavorare anche se è domenica.»
Neo finì di bere il caffè e si alzò a sua volta.
«Dove stai andando?» chiese un divertito Riley, afferrando il grembiule nero appoggiato sulla spalliera della sedia.
«Vado via, no?»
«E perché?» ribatté Riley nell'uscire dalla stanza. Prese le chiavi del bar da un piccolo vassoio in vetro, posto sopra il mobile del corridoio, e si riaffacciò in cucina. «Che ne dici di andare a riposare ancora un po'? Ti sveglio io una volta tornato a casa, così pranziamo assieme. Ti va?» e, senza attendere risposta, uscì di casa, lasciando Neo in balia di mille domande.

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