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Neo aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu l'espressione preoccupata sul viso di Riley. Si passò una mano sugli occhi, sbuffando irritato per aver dato nuove preoccupazioni alla persona che gli aveva dato ospitalità. Si rese conto che Riley non era solo quello, altrimenti non gli avrebbe mai chiesto di rimanergli accanto. Nonostante avesse deciso di recidere ogni tipo di legame, si era ritrovato a formarne uno nuovo e a cui non sapeva dare un nome con quell'uomo dal cuore buono.
«Come ti senti?» chiese Riley, aiutandolo a mettersi seduto.
Neo si sistemò contro lo schienale del divano un attimo prima che l'altro gli poggiasse una mano sulla fronte, per accertarsi che non avesse più la febbre.
«Mi dispiace arrecarti tutto questo disturbo», sospirò per il piacere di quella carezza fresca, che aveva cancellato le ultime tracce di quel violento mal di testa. Lo guardò stancamente, scorgendo un piccolo sorriso sollevargli gli angoli della bocca.
«Nessun disturbo», mormorò a bassa voce, accarezzandogli le guance. «Va meglio?» Neo annuì piano. «Ti capita spesso?» chiese, riprendendo posto sulla sedia che aveva messo davanti al divano.
«Abbastanza», ammise Neo e trattenendosi dall'allungare la mano per cancellare quella ruga di preoccupazione che gli solcava la fronte, strinse con forza la stoffa dei pantaloni.
«Mi dispiace», disse sinceramente Riley, poggiando le mani sulle sue e lasciando affiorare un piccolo sorriso. «Ma sono felice di esserci stato. Non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere se fossi stato per strada, da solo», proseguì, accentuando quell'ultima parola in un modo strano, come se il solo pronunciarla gli costasse fatica.
«È già capitato», ammise Neo e rilassandosi sotto il tocco delle sue dita, lasciò andare la stoffa.
«Beh, non dovrebbe succedere. Dovremmo preoccuparci di più per gli altri invece di pensare solo a noi stessi», disse con un'amarezza che Neo non si seppe spiegare. Sembrava quasi che stesse parlando di qualcosa che aveva vissuto sulla propria pelle.
«Sarà il caso che vada», mormorò Neo quando all'improvviso sentì il bisogno di abbracciarlo. Si mise in piedi, notando la confusione sul viso dell'altro. «La tua famiglia starà per tornare. I tuoi figli...», aggiunse per giustificare quel bisogno di allontanarsi.
Riley strabuzzò gli occhi e reclinò il capo per guardarlo in viso. «Figli?»
Neo si passò una mano tra i capelli scuri. «Ho visto le foto.»
Sul viso di Riley si affacciarono diverse emozioni, poi scoppiò a ridere; questo richiamò nella stanza il piccolo Kawaii che volò sulla spalla di Neo, fermo accanto al divano.
«Sì», ammise, quietando le risa e rivolgendogli un sorriso. «In un certo senso sono tutti figli miei, ma non vivono qui con me». Si mise in piedi e gli si avvicinò. Neo si ritrovò a perdersi in quegli occhi viola così sinceri. «Sono i ragazzi che abbiamo raccolto dalla strada e a cui abbiamo dato un futuro. Ragazzi che sono stati scartati perché non corrispondevano all'ideale degli altri», mormorò amaro.
«Quindi non sono il primo», commentò Neo, strappandogli un sorriso.
«No, non lo sei. Ma sei il primo a cui concedo il mio letto», disse Riley, per poi rendersi conto che quelle parole fossero fraintendibili. «Intendevo che il letto dove hai dormito in questi giorni era il mio», aggiunse frettolosamente con un leggero imbarazzo.
Neo sorrise. «Quindi la stanza dell'unicorno è la tua», constatò.
«Adoro gli unicorni», ammise, lasciando che quell'imbarazzo si accentuasse, cosa che l'altro trovò adorabile.
«Me ne sono accorto», mormorò Neo, scostandogli un ciuffo castano dalla fronte e sfiorando il piercing al sopracciglio sinistro; ritrasse velocemente la mano quando si rese conto di quello che aveva appena fatto.
Riley l'afferrò e la strinse. «Non ho nessuno che vive con me, quindi puoi restare senza farti tutti questi problemi», sorrise e l'altro provò nuovamente l'insulso desiderio di volerlo abbracciare.
«Sono rimasto anche troppo», disse Neo neanche tanto convinto, mentre Kawaii gli strofinava il musino contro la guancia.
«Kawaii non vuole che tu vada.»
I loro occhi si incontrarono e la sensazione di volerlo abbracciare si fece ancora più forte, lasciando stordito Neo.
«E nemmeno io», bisbigliò Riley, lasciandogli andare la mano per accarezzare Kawaii, sfiorando così la guancia dell'altro.


«Hai gli occhi buoni.»
Neo sollevò lo sguardo, la forchetta con i fagiolini ferma a mezz'aria.
Riley sorrise. «È il motivo per il quale ti trovi qui. Non stavi per chiedermelo?» Appoggiò la posata sul bordo del piatto e lo guardò serio. «Io sono sicuro che ci sia stato un motivo serio a spingerti per strada, qualcosa che non puoi o non vuoi dire. Ma comunque importante. Non voglio costringerti a parlarmene, ma sappi che io sono disponibile ad ascoltarti, quando te la sentirai.»
«Grazie!» disse semplicemente Neo. «Ma sono ancora del parere che dovrei andarmene il prima possibile.»
«Perché?» chiese deluso.
Neo bevve un lungo sorso d'acqua. «Perché è meglio così, credimi.»
«Non ho intenzione di farti del male», se ne uscì subito Riley con enfasi.
Neo sgranò gli occhi, poi gli fu impossibile trattenere le risa.
L'altro lo fissò stranito. «Si può sapere cos'ho detto?»
«Scu-scusa», mormorò, tornando serio. «È che dovrei essere io a rassicurarti.»
«E perché mai?» chiese, prendendo il panino davanti al proprio piatto, spezzandolo e usandone un boccone per aiutarsi nel raccogliere quei pezzi di fagiolini che non era riuscito a infilzare con la forchetta.
«Perché sono nero, grosso e vivo per strada», disse semplicemente, prima di mettersi in bocca l'ultimo pezzo di carne.
«E questo dovrebbe spaventarmi?»
«Beh, le persone normalmente si spaventano solo per una di queste, quindi...»
«Ma io non sono normale», lo interruppe con un grosso sorriso, mettendosi il pezzo di pane in bocca.
Neo scosse piano il capo e sorrise. «Questo è certo, altrimenti mi avresti già mandato via. Ti ho quasi distrutto una stanza.»
«È stato Kawaii e per quanto sia dolce e coccoloso, fa dei disastri enormi.»
Neo finì quanto aveva ancora nel piatto, lanciando un'occhiata allo scoiattolo che, seduto sul bordo del tavolo, continuava a consumare la propria cena, fatta di pinoli e germogli. Poi riportò l'attenzione su Riley che attendeva ancora una sua risposta.
«Posso pensarci?»
Riley annuì, felice.


Riley si preparò il divano letto per la notte, prima di spegnere la luce e infilarsi sotto le coperte, dato che aveva ceduto nuovamente il letto a Neo. Afferrò il cellulare, che poco prima aveva appoggiato sul bracciolo, per controllare di aver impostato la sveglia per l'indomani.
In quel momento arrivò un messaggio.

Eddie: "Ciao! Volevo scusarmi per essere stato un coglione."

Attese alcuni secondi prima di decidersi a rispondere.

Riley: "Scuse accettate."
Eddie: "Ti ho detto quelle cose perché ti voglio bene e non voglio che qualcuno si approfitti di te."
Riley: "Non sono una ragazzina indifesa."
Eddie: "Volevo solo essere sicuro che stessi bene."

Sospirò rumorosamente, mettendosi a pancia in giù.

Riley: "Io sto bene. Ma quelle non sono parole che mi aspettavo da un amico."
Eddie: "Hai frainteso le mie parole."

Strabuzzò gli occhi. «Mi sta pigliando per il culo?!»

Riley: "Eddie, non ho voglia di discutere per messaggio. Ne riparliamo di persona."

Fissò lo schermo per un po' e quando non arrivò nulla, decise di riappoggiarlo sul bracciolo e provare a dormire, dato che era da poco passata la mezzanotte e la sveglia era stata impostata per le sei. Non fece in tempo a poggiare la testa sul cuscino che il telefono vibrò, avvisandolo dell'arrivo di un nuovo messaggio.

Eddie: "Avete scopato?"

Si trattenne dal rispondergli e spense il telefono, infilandolo sotto il cuscino con una serie di imprecazioni, prima di appoggiarvi la testa, con addosso un nervoso che non gli avrebbe permesso di avere un buon sonno.



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