Prologo

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È strano come tutto ciò che mi circonda mi appaia così familiare e, nel contempo, così estraneo. E come i colori si accendano, davanti ai miei occhi, assumendo sfumature tanto vivide da sembrare artificiali: il verde smeraldo dell'erba appena tagliata, e quello brillante della minuscola rana che cerca di scapparmi dalle dita, il blu delle ortensie esploso nei cespugli che risaltano contro il bianco luminoso del muro della mia casa, l'azzurro e il rosso delle libellule che vedo scivolare nell'aria, con le ali che battono in sincronia, in modo semplicemente perfetto.

Il rosso... delle libellule...

Mi incanto a seguire il volo di una di loro, con il corpo carminio, e sono talmente concentrata che la piccola rana che ho tra le mani riesce a sfuggirmi; borbottando tra me e me, mi butto sull'erba, carponi, per cercare di riprenderla. Giro intorno all'acero che fa bella mostra di sé nel giardino e, inavvertitamente, lo urto con una parte del mio corpo, anche se non capisco se si tratti della schiena o delle spalle. Io... sono confusa... Mi guardo indietro e allora le vedo: grandi ali d'oro scuro che aderiscono quasi perfettamente al mio dorso.

So che sono le mie ali e, tuttavia, so che non mi appartengono. Un profondo senso di inquietudine mi spinge a raddrizzarmi e resto così, con le ginocchia nell'erba e gli occhi socchiusi, annusando l'aria, mentre avverto, intorno a me, i rapidissimi battiti delle ali trasparenti delle libellule che mi trasmettono vibrazioni che fanno tremare il mio corpo e le mie piume affilate.

C'è... qualcosa che stona con il paesaggio, con il silenzio rarefatto in cui è immersa la mia casa, con il lieve, ma persistente, ronzare degli insetti. Mi guardo le mani dorate dal sole, la terra sotto le unghie. Mi osservo il palmo, il dorso: ho le dita lunghe, sottili, ma forti, con i polpastrelli leggermente induriti da un qualche tipo di attività fisica.

Sono così intenta a osservarmi, che quasi non mi accorgo della rana che ho inseguito a lungo e che, adesso, mi passeggia tranquillamente tra le ginocchia. La ignoro e mi alzo in piedi, volgendo il viso al vento che viene da Est: le raffiche mi scompigliano i capelli, gettandomeli sugli occhi. Eppure non ne sono infastidita. Devo essere abituata a guardare la realtà attraverso i neri ciuffi ribelli dietro i quali mi riparo, quando non voglio essere fissata. Visto in questo modo, frammentato in un reticolo irregolare formato dai miei capelli, di solito il mondo mi appare quasi più sicuro, accogliente.

Ma non adesso. Adesso mi libero la fronte dai capelli e scruto in lontananza, dove il cielo si riflette negli specchi d'acqua delle risaie, e mi avvio lentamente in quella direzione. È solo avvertendo la ghiaia che mi si conficca nella pianta dei piedi che mi rendo conto di essere scalza: guardo giù, fissando per un attimo le mie gambe magre e lunghe, ma troppo muscolose per essere quelle di una ragazza. Rialzo lo sguardo per seguire il volo della libellula rossa che taglia l'aria avanti e indietro e, alla fine, mi ritrovo con i piedi immersi nell'acqua stagnante di una risaia. La sensazione di bagnato mi trasmette per un istante i brividi e poi, d'improvviso, guardando il mio riflesso, mi accorgo che è un viso che non è il mio, quello che scorgo sulla superficie tremula dell'acqua: è il viso di un ragazzo molto giovane, con i capelli neri che gli arrivano fin quasi alle spalle e gli occhi color dell'ametista.

Non sono io quel ragazzino, eppure, in questo momento, sono io.

Alzo la testa improvvisamente, avvertendo dei rumori che infrangono la quiete in cui è immersa la risaia. Il vento mi porta l'odore di persone che non conosco, di sudore, di metallo... di fumo.

Spiego le ali e comincio a batterle freneticamente. Ho paura e il mio volo ne risente. Perdo quota diverse volte e risalgo a fatica, cercando di alternare il volo battuto a quello planato, e, alla fine, riesco ad atterrare, perdendo quasi l'equilibrio quando i miei piedi toccano nuovamente l'erba del mio giardino.

Dark Wings - Ali di FuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora