Sei tornato

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23 dicembre: il Natale riempie i grandi magazzini di luci scintillanti e di gente infastidita. Decori rossi e oro scendono a fiumi ovunque, dall'alto dei soffitti, a colpire gli sguardi distratti dei più e i cuori delle anime semplici. Canzoncine rassicuranti dovrebbero convincere agli acquisti, ma il tintinnio della musica è solo un sottofondo, coperto da un rumoreggiare confuso e diffuso: voci, passi, fruscio di cappotti in poliammide, di sacchetti e di banconote. Marcella si è fatta largo a fatica tra la folla nervosa e insofferente, ha raggiunto il bancone degli accessori in pelle e ora lotta per riuscire ad agguantare un portafogli in vacchetta di vitello color testa di moro da regalare a uno qualsiasi dei suoi parenti maschi, e potersene così finalmente tornare a casa a farsi un bagno caldo. Caldo e aromatico: l'odore di sudore che emerge dai cappotti aperti tra cui si dibatte a tratti riesce a coprire persino quello dei litri di profumo che commesse avventizie spruzzano poco lontano addosso a clienti non del tutto consenzienti. Ma sono pagate per questo. Mentre Marcella si allontana verso la cassa con il portafogli e altri quattro o cinque oggetti altrettanto eleganti, costosi e anonimi tra le braccia, sente l'umidità e il calore di una mano che le si posa tra il collo e la spalla destra, e senza violenza la trattiene.

"Marcella

(Elettricità. Letti sfatti.) "

Marcella si gira e lo vede: "Federico

(Ah. Acque verdi. Vortici. Con te. Tienimi con te. Sei tornato.)"

Si guardano in silenzio, troppo a lungo.

(Federico. Non sei cambiato.)

(Ma quell'odore, l'odore del sangue, lo senti anche tu, ancora sulle mani?)

Poi decidono nello stesso istante di fare uno sforzo, e riescono a iniziare una conversazione qualsiasi. Parlano accuratamente del più e del meno, cercano di sorridere, sbagliano i tempi. Ma dopo un po' Federico fa un errore più grave e dice ciò che avrebbe dovuto tacere:

"È passato molto tempo.

(Cinque anni fa. Te lo ricordi? Eravamo amanti. Te lo ricordi? Ma tuo marito non era abbastanza stupido: se n'era accorto.)"

"Cinque anni.

(Come si può dimenticare? Neppure tu hai dimenticato. Lo trascinavi dai piedi.)"

"Come stai adesso?

(Stava per toglierci l'unica cosa che lui aveva e noi no, i soldi. Cioè, non solo: anche il prestigio, il lusso, il potere.)"

"Tutto bene. Tu?

(A me non importava, con te avrei potuto vivere anche sotto i ponti, sopra le panchine. Libera e felice. Per te era diverso, non eri nato per essere povero.)"

"Hai tempo per un caffè? Saliamo su al bar?

(Lavoravamo tutti e due per lui. Io in azienda, tu a letto e alle cene di rappresentanza. Non avremmo mai potuto trovare un'altra situazione così perfetta e così remunerativa.)"

"Certo. Sì. Volentieri.

(Sei stato così bravo a trovare un rimedio, e così stupido. Dicevi che potevamo avere tutto, passione e soldi. Solo bisognava fare presto, prima che lui parlasse a qualcun altro di noi due.)"

Ora sono seduti a un tavolino davanti alla vetrata che dà sulle guglie illuminate del Duomo. Bevono in silenzio un caffè con la panna. Troppo freddo, troppo dolce.

(Cinque anni fa. Era la vigilia di Natale. Ti ho aperto la porta e ti ho accompagnato in salotto. Mio marito stava leggendo una rivista, aspettava che io finissi di prepararmi per uscire.)

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