II.

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La verità abita dentro l'uomo-
Sant'Agostino

II.

14 febbraio 20**

«Alessio, tu lo sapevi?» un'altra domanda. Solo domande. Mio fratello, lo vidi, abbassò lo sguardo senza fiatare, si strinse nelle spalle nella sua titubanza, caratterizzante. Tommaso invece, d'altro canto, bevve un sorso d'acqua. Forse era vino. Anche lui evitava di guardare negli occhi mamma. Mia madre.
No, cosa ne sapevano loro? Io non ne avevo parlato. Non ne avevo proferito parola. Impaurita, indifesa. Ero stata brava nell'insabbiare la verità che mi portavo dentro, sulla pelle mia. Neanche Lorenzo –oh, lui...- avrebbe spiattellato a qualcuno quello che sentiva. In fondo, sentivamo uguale. Il nostro cuore si era riunito quella notte di metà autunno, qualche tempo prima, tra il caldo saporito della casa e la frescura del cielo scuro.

No, lui non aveva detto niente a mio fratello, al suo ragazzo, alla mia famiglia. Voleva che fossi io a fare una tale scelta, così importante e, nel nostro immaginario, liberatoria.

«RISPONDIMI!» imperativa, tremenda, la voce della donna squarciò quel silenzio che tenevo stretto caramente al petto.
Fulminea, lanciai un'occhiata ai due ragazzi. Mi ero ripromessa di star calma ma era una promessa vana, difficile da rispettare.

«La gente parla, a scuola, nei bagni...»

«Oh, Alè, sono solo voci di corridoio, smettila» fu glaciale l'interruzione di Tommaso alle parole del suo ragazzo.

Era scuro in viso, abbastanza contrariato. Risi. "Voci di corridoio". Le mie emozioni erano delle semplici voci, che sarebbero state meglio se lasciate morire con lentezza nei cessi.
«Beh, è stato un piacere confermarle queste voci». Mormorai.

«Cosa dicono?» riprese lei, la donna che mi aveva partorito in clinica, stringendo la mano della mia seconda madre. Loro che conoscevano così bene il significato dell'amore ma che avevano finito per odiarsi e farsi del male, senza il minimo senso.

«Sì, dai, cosa dicono, Tommaso? Dillo cosa dicono. Perché non parli? Dillo quanto sia perversa e inconcepibile amare una persona del sesso opposto. DILLO!» uno scatto improvviso. Urlai con tutto il fiato in gola fino a sentirmela bruciare. Sbattuta, alterata, mi alzai, rovesciai il bicchiere, spaventai Alessio che sobbalzò, spaventai il gatto che scappò.

Avevo le lacrime proprio sulla punta delle palpebre e non sapevo bene perché i miei nervi avevano già così precocemente ceduto. Non sapevo spiegare cosa provavo realmente, ero anestetizzata.

"Sono innamorata di un ragazzo".

Fu una condanna.

Ne avevamo parlato molteplici volte io e Lorenzo, in auto, nei parchi, tra un caffè ed una risata, nei nostri nascondigli. A cosa era servito? Non c'era la sua forza, la sicurezza di quei momenti si era disintegrata sotto quella giuria, incapace di attraversare quei pregiudizi scottanti, talmente radicalizzati.

Pronunciare quella frase a tavola, tutto ad un tratto, aveva avuto lo stesso sentore di quando si innesca una bomba ad orologeria.

Tic tac.

Bum.

«Perché te la prendi con lui? Non è colpa sua!» Alessio, mio fratello, lo difese. Colpa. Colpa. Era tutta una questione di colpe se decidevi di non lasciarti plasmare come gli altri avrebbero preferito; da quando il mondo aveva memoria propria, gli uomini erano caduti in un baratro profondo, naturale, di continue dispute, rotture eterne, stupidi fraintendimenti e la colpa era divenuto un elemento immancabile, persistente.

CapovoltoWhere stories live. Discover now