Aprii gli occhi sperando di ritrovarmi alla luce del Sole, ma non fu così, era tutto buio, solo una flebile luce biancastra illuminava i miei occhi grigi, anche se non sapevo da dove provenisse. Anzi, al dire il vero, non capivo nemmeno dove fossi, faceva freddo e nell'aria c'era una quantità strabiliante di umidità, sapevo solo che ero spaventata. Terribilmente spaventata. Avevo il respiro corto, annaspavo e le mie mani tremavano, sicuramente non per il freddo. Gocce di sudore freddo mi bagnavano la fronte; provai ad alzarmi, ma sbattei il capo contro una superfice ruvida e fredda.
Fino ad allora non me ne ero accorta, ma ero distesa, la mia schiena sfiorava una lastra gelida e umettata. Riprovai ancora, ma qualcosa mi impediva di alzarmi: una parete compatta, che si trovava a pochi centimetri dal mio naso. Provai a muovere le braccia, ma ancora una volta delle superfici madide e gelide ai miei lati mi impedivano di proseguire. Sentivo la paura crescere, mi sentivo in gabbia.
In effetti, pochi attimi dopo, capii di esserlo, ero rinchiusa all'interno di qualcosa, forse una cassa. Ma in cuor mio sapevo che non era così. Non era una semplice cassa: era una bara. Una bara sotterrata a chissà quanti metri sotto terra. Non so dire come facevo a saperlo, lo sapevo e basta. La paura si insediò in ogni cellula del mio corpo, iniziai a dimenarmi e a sferrare pugni contro le pareti che mi circondavano, ma era tutto inutile; volevo gridare, ma le mie corde vocali sembravano non voler emettere alcun suono.
D'un tratto, nel gelido silenzio, balenò un rumore ancora più agghiacciante: un sussurro. Girai il capo, fin dove me lo consentiva la mia scomoda posizione; presi a guardare in ogni direzione, in cerca di qualcuno nei paraggi. Beh, il campo era molto ristretto a dir la verità, ma quel rumore doveva averlo prodotto qualcuno. Doveva. Ma, con sguardo terrorizzato, mi accorsi che stavo fissando il vuoto, ero sola, non c'era nessuno in torno a me. Ben presto mi accorsi che, effettivamente, non c'era nessuno intorno a me, al contrario, c'era qualcosa. Il sussurro, dapprima lontano, sembrò avvicinarsi sempre di più, ma non solo, le voci iniziarono a moltiplicarsi. Mille sussurri indistinti sembrarono perforarmi il cranio. Il respiro irregolare, la sudorazione eccessiva, la mani tremanti... non era semplice paura, era terrore.
Qualcosa si stava avvicinando a me. Le voci, a mia sorpresa, d'un tratto cessarono. Cercai di capire cosa stesse succedendo, sicuramente non era un buon segno; percepivo che quella cosa era ancora lì, lo sapevo; chiusi gli occhi, sperando che tutto finisse al più presto, accompagnata solo dal rumoroso silenzio. Poi le sentii... le sentii afferrarmi con forza le caviglie: mani gelide e squamose, mani di rettile mi strinsero violentemente i polpacci. Con esse sentii anche il sangue gelarsi nelle vene, sentii il terrore... terrore puro, come mai provato prima.
Poi, in un breve istante, in un millisecondo, senza nemmeno concedermi il tempo di capire cosa stesse succedendo, quelle mani mi trascinarono via con loro, nel freddo e umido terreno. Il mio urlo squarciò il silenzio gelido come una lama affilata.
Mi svegliai di soprassalto al suono della sveglia, anche quella notte un incubo. Continuavano da settimane ormai, ogni sera avevo il timore di addormentarmi per paura di fare altri incubi. Ricordavo perfettamente tutti gli attimi, tutti gli istanti di quel sogno, ma la cosa che ricordavo più limpidamente era la sensazione di angoscia e di terrore che mi assaliva ogni volta. La gocce di sudore freddo mi ricoprivano il volto e annaspavo, mi ci volle un po' per riprendermi, sentivo ancora quella terrificanti mani squamose sulle caviglie, percepivo ancora gli artigli conficcati nella carne.
Stentai a muovermi tra le coperte, ancora mezza intontita. Mi girava la testa, non riuscivo proprio a concepire di non stare più sognando e di ritrovarmi più nello stato di incoscienza che possiedi quando ti addormenti. Poi compresi di trovarmi nella mia camera a New York, nel mio letto, e di aver fatto il solito incubo. Mi alzai cauta dal materasso e rivolsi il mio sguardo ai primi raggi solari, che filtravano timidi dal vetro della mia finestra. Strizzai gli occhi per la luce e, dopo qualche momento che mi ci volle per ambientarmi, mi resi conto di dovermi preparare per andare a scuola. Di gran lunga avrei preferito continuare a fare incubi! Eravamo in pieno inverno, proprio nel mezzo di Febbraio. Mancavano diverse settimane all'inizio della primavera, ciò significava che uscire senza giaccone e sentire un po' di calore era un concetto astratto, irraggiungibile per il momento. In fondo era così New York. Mi ritenni perfino fortunata a vedere il Sole, solitamente era oscurato da una fitta nebbia che ne impediva la vista.
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Somnium- Il Confine
FantasiaIncubi. Immaginate di addormentarvi e fare solo terrificanti incubi. Reed, una normale quindicenne di New York, estroversa e con una battutina sarcastica sempre pronta a qualsiasi evenienza, i suoi amici e tutto il Mondo si ritrovano intrappolati ne...