The chain

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Omar camminava. Avanzava a passi lenti come un disilluso per la Casbah di Algeri, una medina celebre per la sua bellezza, le strade ripide e tortuose e, dulcis in fundo, palazzi ottomani bianchi e freddi come la neve in Siberia. La notte avvolgeva col suo manto stellato la città intera, come volesse proteggerla dai pericoli che si aggiravano per l'universo, assassini smunti in cerca di un posto dove alloggiare. Il rumore dei passi faceva l'amore con quello delle risate di famiglie speranzose verso il domani, rinchiuse in quelle pittoresche dimore che sembravano volessero togliere il respiro ai passanti, costringendoli a perdersi in un dedalo tanto bello quanto fatale.
Bagliori lucenti si affacciavano tra le vie con spavalderia, illuminando le strade fredde e strette che ogni giorno vedevano così tanti volti da non ricordarsene nemmeno uno.
Omar pensava a Latifa e sorrideva sotto il baffo turco. Lei era una ragazza chiusa, la si vedeva in giro da sola con lo sguardo di chi non si sente a casa, con quella sfumatura di follia che luccicava dal fondo delle scavature. Fin da bambina era stata una solitaria, aveva sempre preferito stare da sola con quell'aria di superiorità che caratterizza gli emarginati. Si sentiva come se fosse nettamente più intelligente della media, distinguendosi per le sue espressioni indifferenti e noncuranti. Aveva sempre odiato portare il velo, preferendo metterci la faccia e mettersi in gioco. C'era chi la odiava e chi, segretamente, la ammirava. Nell'immaginario collettivo, quella donna era considerata una donna coraggiosa e ambigua. Varie leggende giravano su di lei, chi diceva che la notte si recasse sola in riva al mare, parlando con le onde e la sabbia. Taluni la descrivevano come una pazza e altri come una strega. Nessuno sapeva con certezza chi si celasse dietro quella donna metà eremita e metà tentatrice. Omar ne era innamorato da tempo, all'incirca dalle scuole elementari, quando parlava solo per correggere gli errori dei maestri. Quella sera ogni stella gli ricordava una parte di lei, lasciandogli sulla pelle il tepore di una passione perversa e non consumabile. Ogni tanto passava una notte con una donna ma finiva sempre che, alla mattina, si trovava abbracciato alla donna con lo sguardo sul soffitto, in cerca di un appiglio metaforico o letterale.
Nessun altra persona gli faceva quell'effetto e questo lo spaventava. Sopra di lui si stendeva come un mantello quel cielo così strano, tela di colori eterogenei e cangianti. La luna, timidamente in un angolo, proiettava luce sui mattoni e sulle porte d'ingresso come un faro illumina l'oceano in una notte d'Agosto. Improvvisamente, qualcosa fece trasalire Omar. In fondo alla strada, vicino ad un lampione c'era una donna senza velo. Sentì il cuore trasalire e una morsa metallica gli attanagliò la gola come un sicario determinato ad uccidere qualsiasi cosa si sovrapponesse ai suoi piani, precisi quanto crudeli.
Il ragazzo si fermò, in preda ad una paralisi temporanea e, incredulo, iniziò a strizzare gli occhi cenerini, pensando che la sua mente gli stesse giocando uno scherzo di cattivo gusto. Strizzava e strizzava ma la donna rimaneva lì, presenza ansiogena illuminata dalla tenue luce di un lampione posto qualche metro dietro alla sua testa. Dalla testa si barcamenava, selvaggiamente mossa, una chioma di capelli color carbone facente da cornice ad un viso in penombra nel quale si disegnava un'espressione sorniona e ferma come un vecchio orologio dimenticato dal proprietario in un qualche cassetto della sua dimora estiva. La sua posa era statuaria, come sedimentata nel terreno. Tra le mani della donna, una catena arrotolata al palmo scintillava nell'oscurità. Perchè quella catena? E soprattutto, era veramente chi Omar credeva che fosse?
-Chi sei? Hai bisogno?- chiese il ragazzo con voce tremante
Nessuna risposta. Lei, inaspettatamente, aprì la mano lasciando che la catena si srotolasse e ne cadesse un'estremità, provocando un sordo rumore metallico al momento del contatto con il suolo. Omar iniziò a sudare freddo, quella situazione così ambigua lo metteva a disagio e gli incuteva timore affascinandolo allo stesso tempo. La donna sollevò lentamente il braccio e fece segno al ragazzo di seguirla, per poi dargli le spalle ed incamminarsi in una stradina posta lateralmente alla moschea di Ketchaoua trascinando la catena di modo che l'uomo non perdesse le sue tracce. Passare a quell'ora di notte affianco ad un tale esempio d'eclettismo lo riempì d'uno strano tepore misto a paura e curiosità dovuti alla situazione surreale che si era andata a creare. Le due torri della moschea, grattacieli spirituali, si sviluppavano in altezza come se avessero voluto fare il solletico al cielo. Lo strascichìo metallico si perpetuava tra quelle stradine labirintiche e Omar, seppure a fatica, tendeva un orecchio e percorreva la strada che pochi secondi prima era stata probabilmente percorsa dalla donna che aveva preso le chiavi del suo cuore, come conservate in un antico forziere corsaro apparentemente impossibile da aprire. Omar, osservando la figura della donna farsi strada davanti a lui, notò con piacere il suo incedere, degno d'una donna d'altri tempi, sagoma evanescente ed insidiosa nei sogni di un ragazzino chiuso in cameretta. Improvvisamente, la femme fatale qualche metro davanti a lui, rallentò, girò la testa e sorrise, indicando la baia davanti a lei. Successivamente, abbandonò la catena sul terreno freddo e si mise a correre verso la spiaggia. A questo punto, lui la emulò e in pochi secondi la raggiunse sulla riva del mare, guardandola finalmente da vicino. Strano a dirsi, ma era proprio chi lui credeva che fosse: Latifa.
-Perché mi hai portato qui?- chiese Omar
Non rispose, si limitò a sorridere e lambirgli una guancia con il dorso della mano destra, guardandolo negli occhi con un'intensità in grado di crepare la Stele di Rosetta in pochi secondi. Farfalle nello stomaco. Non gli sembrava vero che tutto ciò stesse accadendo.
Dopo alcuni secondi, lei lo prese per i fianchi stampandogli un bacio a piene labbra sulla guancia come se sapesse che era tutta la vita che lo aspettava.
La donna gli diede le spalle ed iniziò a svestirsi; prima la veste e poi mutandine e reggiseno.
La luce della Luna le illuminava la schiena magra e ben eretta, sorretta alla base da un lato B che avrebbe fatto impallidire Cleopatra. Le sue forme erano perfette nei minimi particolari e avrebbero reso credente anche il più ferreo degli atei. Una tale bellezza doveva obbligatoriamente essere stata disegnata da un'intelligenza superiore, non c'era altra spiegazione.
In men che non si dica, mentre Omar ancora guardava quelle forme ipnotizzanti, la donna si mise a correre di nuovo, questa volta verso il mare, per poi tuffarsi con la stessa foga di una bambina che vede il mare per la prima volta. Una volta riemersa con la testa, alzò il braccio sinistro e fece cenno con la mano a Omar, che si era già svestito per raggiungerla.
L'acqua era fredda ma i due corpi a contatto generavano uno strano calore, scaldando persino le onde che li attraversavano come se volessero dividerli. L'atmosfera era elettrica, e gli sembrava di prendere la scossa ogni volta che si toccavano. Le loro lingue guizzavano nelle bocche come serpenti tra un mucchio di foglie e ad ogni secondo che passava Omar la stringeva sempre più forte, troppa era la paura di lasciare andare quel momento. I loro corpi si intrecciavano in acqua come meduse eternamente innamorate, nonostante i movimenti pelvici fossero rallentati dal moto dell'acqua. Aveva capito tutto di lei in pochi secondi, come se le loro anime si conoscessero già da prima della scuola e avessero passato una vita insieme, amanti di vecchia data che si incontrano di nuovo dopo decine di anni. Non era una strega o una pazza, aveva semplicemente bisogno d'affetto e di qualcuno che la facesse sua sotto la luce della Luna, dando colore ai gemiti di piacere che si accavallavano l'un l'altro.
-Scusi, tutto bene? Ha bisogno?-
Omar aprì gli occhi a fatica, scoprendo di essere adagiato col viso sul selciato e di avere un martelletto metaforico che gli batteva sulle tempie. Fece per sollevarsi e congedò lo sconosciuto che lo scrutava con sguardo incredulo e diffidente per poi guardare davanti a lui. Affisso sulla parete in sassi di fronte a lui un annuncio mortuario:
Latifa Khammassi

Caligine e caosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora