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La luce si riaccese, come ogni dannato giorno, il raggio che mi abbassava lo sguardo assonnato dopo la notte di riposo. Ero ancora tra due pareti tappezzate sempre di nuovo per attirare più pupille passeggere.
Nelle giornate ventose le tende rosse di cotone alle mie spalle mi accarezzavano la schiena rassicurandomi.
Soltanto un vetro mi divideva dalla via inondata ancora dal buio prima del mattino, nella quale s'intravedevano figure avvolte nei loro cappotti pesanti, che dirette chissà dove entravano e uscivano dal mio campo visivo. Era quel vetro, quel muro, di cui ormai negavo l'esistenza, che mi distaccava dal traffico cittadino e dai farfugliamenti della gente occupata dal disordine.
Ma la luce, il bagliore sopra il mio capo faceva diventare quella barriera trasparente e le persone si
avvicinavano al mio cospetto, guardandomi dal basso in alto, fissandomi, omettendo il mio viso e
scendendo per il mio corpo, concentrandosi su più punti. Ogni loro occhiata mi sembrava maggiormente esagerata, penetrante. Riuscivo a sentire le loro mani che attraversavano quel séparé e si azzardavano a toccare la mia superfice, ripercorrendo le mie giunture, sfiorandomi, abusando di me. lo, rigidamente immobile, scostavo lo sguardo e mi rassegnavo allo stupro, non potendo impedir loro di spalancare le orbite e far vagare i loro pensieri inappropriati.
Mi ritrovai lì con mille occhi addosso e un vetro inesistente, due stracci di seta pregiata, rifinita da un pizzo ricamato a mano, che accentuavano le mie intimità. Provavo una vergogna illimitata, che da fuori doveva dare un senso di vanità, di provocazione, ma mi sentivo scoperte le mie forme, scolpite da mani precise e delicate di cui sentivo la mancanza. Le mie nudità erano per gli occhi oggetto di desiderio, giorno dopo giorno, i loro sguardi mi consumavano togliendomi tutto ciò di cui un fantoccio di legno è degno e mancando la mia espressione di disprezzo sul viso, continuavano il
loro itinerario erotico lasciandomi
messa in mostra con merce che mi lasciava sempre più vuota.
Ed ero in quella vetrina come un quadro da esposizione senza rispetto, che in modo pavoneggiante, agghindata d'imbarazzo, lasciavo a chiunque di ammirare ciò che io più volevo nascondere.

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