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Le palpebre pesanti, cariche di neve ormai sciolta. Era arrivata la primavera, ma a quegli occhi non era permesso di far spazio tra le ciglia per far scorrere quelle lacrime, sentirle scendere per il viso consumato, lasciando che al loro passaggio solcassero la pelle sbiancata dalle troppe notti insonni. Volgeva lo sguardo all'insù, cercando di riassorbirle, facendo rientrare il dolore, ridurlo fino a farlo scomparire. S'immaginava il cielo notturno, sicura del fatto che oltre quel soffitto, il buio esisteva ancora, ma che ogni notte tornavano a risplendere quelle
lucine così lontane che i grandi chiamavano semplicemente stelle, sminuendo la loro importanza. Seppur così distanti si portavano via tutta la sua paura dell'invisibile oscurità e di ciò che essa nascondeva. Sospirava al pensiero che se non esistesse quel buio, nessuno avrebbe mai avuto il piacere di vedere ed apprezzare tanta meraviglia. Quella visione che ora rimpiangeva e si limitava a ricordare con fatica le faceva provare una rabbia interiore che intensificava le sue sofferenze. Il cielo era sempre sopra agli occhi di tutti, ma il mondo nel frattempo si era scordato di camminare a testa alta, schiavo di una libertà da cui stava scappando.

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