La timida luce del sole entrava dalla finestra socchiusa, mentre le tende svolazzavano mosse dalla prima brezza estiva.

Aprì gli occhi e, come d'abitudine, si girò verso la sveglia per guardare l'ora con le palpebre ancora socchiuse. Le otto.

Poi un dubbio le entrò in testa. E se... Si voltò e Lei era lì. Sdraiata prona, con la lunghissima chioma color fuoco che dipingeva fiammelle sul cuscino bianco come la sua pelle cosparsa di mille bellissime lentiggini. Sorrise. Un sorriso dolcissimo.

Lei si mosse e il lenzuolo scivolò fino a coprirle a malapena le natiche.

Non aveva voglia di svegliarla. Era così bella quando dormiva. Ma gli ormoni non andavano d'accordo con il cervello: timidamente le fece scorrere l'indice sulla schiena. Sentiva le protuberanze della spina dorsale e la morbidezza della sua pelle che profumava di rose.

La vide rabbrividire. Senza svegliarla spostò delicatamente le coperte e, in punta di piede per non far rumore, raggiunse la cucina.

L'ampia finestra si affacciava sulla confusione di Londra regalandole ogni giorno uno scuocio illuminato da una luce sempre diversa del Tamigi.

Prese la moka, aprì il frigo e prese il barattolo del caffè: vuoto. Allora afferrò irritata una penna e, ripassando più volte, scrisse sul post-it attaccato all'asta della dispensa COMPRARE CAFFÈ.

Con un sospiro aprì un cassettone del mobile e prese due bustine di caffè solubile, mise un pentolino con dell'acqua sul fornello più piccolo e, mentre aspettava di veder comparire le prime bollicine sul fondo di Alluminio, segno che stava per iniziare a bollire, ripensò al suo arrivo quella cittá. Si rivide il primo giorno di università, fallire il primo esame ma non mollare e riprovare, riuscendo finalmente a passarlo. Sembrava tutto così lontano ora. Aveva finito da tre mesi ormai l'ultimo corso riuscendo a prendere il massimo dei voti, ma si era trovata catapultata in una città che andava troppo veloce per fermarsi ad aspettare lei, stringendo in una mano solamente la laurea in belle arti e nell'altra le dita affusolate e pallide di Isabell. Isabell, che dormiva nel suo letto e che le era compagna dal suo secondo anno lì. Chiuse gli occhi e pensò ai suoi occhi del colore della speranza, gli unici che le erano rimasti vicini, insieme ad altri tre o quattro di vecchi amici, dopo che si erano baciate per la prima volta in pubblico. Il borbottio dell'acqua che bolliva la riportò alla realtà, versò l'acqua e il caffè solubile in due tazze azzurre e tornò in camera da letto. Isabell dormiva ancora, ma si era girata nel sonno. Ora le sue lunghissime ciglia, sporche di mascara dalla sera prima, erano rivolte verso il soffitto, che un paio d'anni prima avevano verniciato di blu e giallo pallido simulando un cielo stellato. Il seno scoperto della ragazza la fece arrossire. La baciò delicatamente svegliandola. «Hazel?» sussurrò Isabell. «Sono io. Ti ho preparato il caffé». Lentamente, appoggiandosi sulle braccia, la ragazza coi capelli rossi si mise a sedere e le sorrise: «sei un'amore» «se non te lo avessi preparato non lo sarei stata?» ribattè ridendo l'altra. Isabell le strizzò l'occhio. Bevvero il caffè in silenzio.

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