Allora Marco entra nella stanza e va verso il tavolo. Lascia le chiavi di casa vicino alla porta, nella ciotola di rame, poggia il cellulare sul davanzale della finestra, si svuota le tasche e lancia i soldi sul tavolino di fronte alla tv che accende subito dopo, senza guardare, senza sentire, preme il tasto 'muto'.
Prende la busta di cocaina dai calzini e si siede. Raccoglie lo specchietto che ha di fronte, ci rovescia sopra un po' di roba e cerca la carta di credito per stendere due righe, si tocca le tasche, non trova il portadocumenti, bestemmia. Si alza, cerca sopra il tavolino della tv, poi torna al davanzale e infine alla ciotola porta chiavi.
«In macchina».
Maledice tutti i nomi dei santi che ricorda, va verso la porta ed esce, tirandosela dietro.
Appoggia la mano sulla tasca destra, si tasta i pantaloni: non ha preso le chiavi della macchina. Sbuffa, si gira di centottanta gradi, mette una mano sulla maniglia tonda della porta blindata e bestemmia quattro volte: una per dio, una per la madonna, un'altra per dio, un'altra per la madonna. Pari, per non rischiare di scontentare nessuno.
«Mi sono chiuso fuori di casa».
Vorrebbe chiamare la sua ex, che avrebbe le sue chiavi di riserva, ma non ha il telefono e nemmeno una ex. Nulla di fatto.
Potrebbe bussare alla vicina, ma «quella puttana» pensa, «si limiterebbe a guardarmi dall'alto in basso e chiamare i vigili del fuoco, che troverebbero la bamba sul tavolo». Altra bestemmia.
Fermo sul pianerottolo disadorno del palazzo dove abita, in provincia di Milano, Marco non sa proprio che fare e l'ansia comincia a salire.
«La portafinestra del balcone in salotto, però» dice tra sé e sé, «è aperta».
Il secondo dopo, nella sua testa, Marco è un ladro super-eroe che salva i bambini arrampicandosi a mani nude fino al secondo piano.
«Si può fare».
Andiamo.
Scende le scale, arriva al primo pianerottolo e incontra la signora del quinto piano col cane in braccio. La saluta e lei stringe il cane a sé, come fanno per strada tante mamme con i loro figli, quando passa loro accanto uno straniero. Non risponde se non con un piccolo cenno del capo, accompagnato da un'espressione disgustata, e tira dritto.
«Prima o poi ti entro in casa e te lo metto in culo, come si fa con le troie di merda come te. Cane di merda, giuro che te lo ammazzo, cane di merda, troia del cazzo».
Per spezzare una lancia nei confronti di Marco, bisogna precisare che dai tre ai diciannove anni – terzo anno di liceo ripetuto due volte – ha frequentato una scuola cattolica, di suore francesi.
Apre il portoncino a vetri dell'ingresso ed esce in cortile.
Non c'è nessuno, è buio, la portinaia è andata via da ore. Può farcela.
«Ce la posso fare» pensa.
S'incammina sotto la sua finestra e guarda in alto. Quanti metri saranno? Otto? Dodici? «Di geometria non c'ho mai capito un cazzo».
Il balcone di un appartamento a pianterreno, in effetti, non è poi così alto. «Ce la posso fare» pensa di nuovo, mentre fa leva su un piede per fare un salto. E in un batter d'occhio è sul terrazzino dei Martini-Castoldi che, proprio in quel momento, stanno chiedendo il conto della cena nel ristorante più costoso della zona. Lei guarda il cellulare stanca e un po' alticcia e lui pensa a Jenna, il trans che tra un'ora glielo succhierà per trenta euro, non molto lontano da casa.
Marco è fiero di sé. «Fanculo mondo, non mi fermerai!» pensa, mentre si arrampica sul davanzale, tendendo le braccia verso il basamento del balcone in alto, il balcone accanto al suo. Si issa per la seconda volta, ma lo fa troppo velocemente, e si lacera camicia e petto.
Questa volta le bestemmie si sentono fino in fondo alla strada. Marco si pente subito per quello che ha fatto, le grida potrebbero aver richiamato qualcuno, così resta appeso, dolorante e impaurito al bordo del balcone, con le gambe penzoloni, ad ascoltare il silenzio.
«Merda, se arriva qualcuno che cazzo gli dico?» pensa. «Idea di merda. Vaffanculo».
Dopo qualche minuto, i nervi si distendono un poco e si fa coraggio. «Hai fatto trenta, fai trentuno, cristo». E si tira su, strusciando la pancia contro il pavimento del terrazzino della Gentile, una ragazza dalle sembianze modeste, sui trentacinque anni, che lavora come commessa in un negozio di animali. Due volte al giorno va a far visita a sua madre che fatica ormai a camminare per le vene varicose, e tornando verso casa passa da Gigliola, una donna molto più vecchia di lei che sa di fumo di sigaretta e patchouli scadente e che le sta insegnando ad amare.
Marco urta con la testa contro qualcosa che gli si rovescia addosso e sente il collo della camicia inzupparsi: é la ciotola d'acqua del gatto, Ugo, che al momento dorme acciambellato sul cuscino della sua padrona.
«Lesbica di merda, vaffanculo. Gatto del cazzo...» pensa Marco, scrollandosi alla bell'e meglio l'acqua di dosso.
Un po' frastornato, si alza in piedi sopra il balconcino e finalmente guarda il suo salotto illuminato, la portafinestra aperta, la tenda che svolazza leggera verso l'esterno e casa sua che, per un attimo, sembra quasi bella.
Quasi, perché ora deve raggiungerla e per farlo gli manca ancora un salto, dal balcone della Gentile al suo, quanti metri siano non lo sa. Non è nemmeno del tutto convinto, ma «tanto, ormai per tornare giù farei la stessa fatica che ho fatto ad arrivare fin qua» si dice.
Non vuole guardare in basso per non spaventarsi, ma si sa che più una cosa fa paura e più si finisce per sbatterci contro a cento all'ora, e lui non è tanto stupido da dimenticarla, una cosa come questa.
Marco chiude gli occhi per cercare un po' di coraggio, una volta gli pare di aver letto su una rivista dal barbiere che i pensieri positivi rilassano la respirazione e la muscolatura, e allora prova a farsene venire in mente qualcuno.
Si ricorda di quella volta, a Parco Sempione, che sua nonna lo teneva per mano mentre le foglie cominciavano a cadere e il vento di ottobre gli faceva fresco al viso... Ma, immerso in questo pensiero, inaspettatamente, un senso di disperazione lo pervade. «Ma che cazzo stai pensando?! Ma sei frocio, per dio? Vaffanculo, uomo di merda, pensa a quando ti sei scopato quella puttana di Michela in macchina e gliel'hai messo in gola che quasi soffocava, quella zoccola. Pensa a quando sei andato a pippare al matrimonio di quella frigida di Lucia con quel coglione di...» il nome gli sfugge «chi se lo incula, lui. Vaffanculo. A che cazzo stai pensando, coglione? A quella vecchia di merda?».
Strano come la vita, quando meno te lo aspetti, ti metta di fronte alle cose che più avresti voluto dimenticare.
«Basta con queste stronzate del cazzo, salta e facciamola finita» pensa, e apre gli occhi per lanciarsi.
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