Marta.

173 1 0
                                    

«Non ho detto che non mi è piaciuto, cristo».
«Hai detto o no 'carino'?»
«Eh, appunto. Allora?»
I Martini-Castoldi percorrono la strada di casa gettandosi addosso veleno.
«Carino è un commento del cazzo».
«Allora in un discorso con te è perfetto».
«Marta, ma vai a cagare».
La signora Martini di nome fa Marta, Marta Martini. Quanto possono essere stronze le madri, alle volte.
«Grazie, gentile come sempre».
É ubriaca, ha sonno, lo stomaco pieno, e vorrebbe solo buttarsi a letto, aspettare che quella merda del marito vada a farselo mettere in culo da qualche brasiliano pervertito per cominciare a masturbarsi una, due, tre, quattro volte, finché non le tremeranno le braccia e godrà tanto quanto quella merda di uomo non l'ha mai fatta godere. Strano che ogni volta, nelle sue fantasie, ci sia sempre e soltanto lui. Quanto possono essere stronze le fantasie, alle volte.
Mentre la macchina svolta nella via di casa, Marco è concentrato sul darsi dell'omosessuale represso per via del pensiero rivolto alla nonna e non sente il rumore del motore né vede i fari.
Quando la macchina arriva davanti al cancello, Marco ha gli occhi chiusi, la Ford Fiesta dei Martini-Castoldi entra e fa quel piccolo sobbalzo attraversando il cancello telecomandato, e le luci anteriori dell'auto rimbalzano contro di lui che, proprio in quel momento, apre gli occhi e rimane accecato.
Si gira di scatto e, nel farlo, si dimentica di dove si trova e mette un piede in fallo. Si sente cadere e comincia a roteare le braccia cercando un appiglio, ma non lo trova. Nel frattempo il gatto Ugo si è spostato sul davanzale della cucina della signorina Gentile e Marco, prima di cadere, vede due occhietti fissarlo nel buio, come a dire: «Ben ti sta!».
Marco cade in avanti, verso il cemento, e pensa, no, anzi, sa che sta per morire. Non può farci niente, non combatte nemmeno, può solo lasciarsi andare. Non ha neanche voglia di sprecare questi ultimi attimi per dirsi che per una botta di cocaina, forse, non ne valeva la pena, che per evitare i vigili del fuoco, forse, non ne valeva la pena, che per dimostrare qualcosa a sé stesso, che nella vita si era sempre deluso, forse, no, nemmeno per questo, ne valeva davvero la pena.
Non ha voglia, il povero Marco, di pensare a quante cose avrebbe potuto fare diversamente, di quanto le cose sarebbero potute andare meglio se solo... solo se...
No, non ha davvero voglia di sprecare questi attimi, che cominciano a sembrargli interminabili, per pensare a cose che lo renderebbero triste anche da trapassato.
Quindi, mentre si lascia cadere e guarda Ugo negli occhi, si rilassa, come un tuffatore olimpionico, e ascolta il proprio respiro. Sente l'aria di aprile scivolargli tra le dita, rinfrescargli la ferita sul petto attraverso la camicia strappata, e cerca solo di sentirsi, almeno per una volta, libero. Solo per una volta, e mentre quasi ci riesce, la sua testa tocca il suolo e si rompe, con un colpo secc,o e il sangue comincia a uscire per tutto il cortile e lui, semplicemente, non c'è più.
Niente più chiavi di casa, né macchina, né telefono, niente più tv accesa, cani, gatti, vicine, niente di niente.
I coniugi Martini-Castoldi vedono tutta la scena dall'auto e si precipitano sotto il balcone, ma Marco è già atterrato.
«Cristo!» dice Castoldi «Ma che cazzo...»
«Chiama un'ambulanza» dice Marta «Presto, chiama un'ambulanza!»
«Ma è morto?» ribatte Castoldi, che a onor del vero di nome fa Giacomo.
«Eh, secondo te?» risponde a sua volta Marta.
Giacomo Castoldi viene preso da uno sconforto che lo trascina in una specie di nostalgia, malinconia e, inaspettatamente, amore, quindi si gira a guardare sua moglie e, per la prima volta, in tanti anni, la vede. Lì, accanto al corpo morto di Marco, protagonista sfortunato e cieco di questo singolare improvviso romanticismo.
Marta si sente osservata e si accorge che il marito le sta di fronte con lo sguardo alto, non sfuggente o colpevole e sprezzante, come ha di solito, e proprio in quel momento si rammenta, anche se non capisce perché, della felicità che la pervadeva mentre attraversava la navata al braccio del padre, per sposare lui, il ragazzo più bello che avesse mai visto.
Si abbracciano, i due, mentre il sangue che sgorga dalla testa di Marco sporca le décolleté a punta di Marta e le scarpe lucide di Giacomo.
Lui la tira a sé e la stringe, la bacia sulla bocca quasi senza fiato e la guarda negli occhi ancora una volta.
Così, davanti al raccapricciante spettacolo di uomo morto, con la spalla spezzata che disegna un angolo innaturale con il braccio, una coppia di sconfitti riesce a trovare un momento di pace.
La lampadina del salotto di Marco, proprio in quel momento, si fulmina e il gatto Ugo, stanco di stare acciambellato, fa qualche passo fuori dalla finestra e salta giù, con aria sicura, di cornicione in cornicione, e atterra ai piedi dei due innamorati, strusciandosi tra le loro gambe.

Fine

Il Gatto UgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora