II

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Erano appena finiti tre giorni di fuoco. In azienda stavano facendo dei tagli al personale, e io sono stata la prima ad essere licenziata, forse perché sono una donna che lavora in una falegnameria, forse perché sono una degli ultimi arrivati. Fatto sta che avevo perso il lavoro, e il mio ragazzo non è mai riuscito a tenersi il suo visti i risultati sempre positivi ai test antidroga. Avevamo in progetto con gli inquilini al piano di sotto di ristrutturare casa, visto che è completamente in legno, ormai marcio, storto e pieno di schegge, e finalmente isolare il pavimento per poterci fare un po' meno gli uni i fatti degli altri. Un altro progetto che avevamo era sposarci a luglio, ma senza lavoro ho dovuto annullare tutto e farmi ridare le caparre, ho anche venduto il mio abito, non che ci abbia ricavato molto... Purtroppo in un paesino disperso in una valle tra le montagne, dove tutti sanno che abiti in una casa infestata, con una vera e propria strega al piano di sotto e un compagno drogato, non è proprio semplice trovare lavoro.

Comunque, ero appena tornata a casa , erano le due del pomeriggio e dovevo dirgli che dovevamo stringere i denti e che si sarebbe dovuto dare una raddrizzata e trovare lavoro. Però dovevo essere cauta: non sapendo più cosa si prende, se lo trovo ubriaco o meno, se ha una brutta giornata o solo una giornata in cui spegne il cervello, avrei dovuto pesare bene le parole. L'ultima volta che non l'ho fatto ho scoperto quanta forza è in grado di darti l'eroina.

Ho appena parcheggiato la mia Camaro del '72 sotto la quercia che d'estate ci ospita sotto la sua folta chioma, regalandoci un po' d'ombra e fresche brezze. Mi avvio verso la scala, guardo attraverso le finestre, i miei vicini devono essere appena rientrati dal lavoro e si stanno coccolando in divano. Sono proprio la coppia perfetta: lei, bionda, occhi color ghiaccio, un fisico slanciato con lunghe gambe affusolate, la pelle di porcellana, è il desiderio invidiato di chiunque, nonostante sia considerata strana da tutti perché veste sempre di nero e ha sempre almeno un simbolo satanico addosso. Lui, quattro anni in più di lei, alto quanto la sua compagna, il fisico ben piazzato, tornito, e anche se lo supero abbondantemente in altezza, è perfettamente proporzionato, ha due occhi verdi enormi, che ho sempre visto di una sfumatura diversa. Non c'è niente da dire, sono fatti l'uno per l'altra, non c'è mai stato un litigio, una discussione a voce troppo alta proveniente dal piano di sotto, al contrario, si sentono tante risate, buona musica, e profumo d'incenso e prelibatezze culinarie. Tutte cose che posso solo sognarmi ogni volta che che attraverso la soglia di casa. Mi compare un sorriso forzato, quasi malinconico, quando mi accorgo che mi hanno vista e mi stanno salutando con i loro sorrisi calmi e felici. Mentre salgo le scale rovisto nella borsa alla ricerca delle chiavi, che non trovo, e mi vedo costretta a bussare, nella speranza che non si sia addormentato in divano. Due colpi, secchi e annoiati. Sento dei passi pesanti arrivare dal soggiorno, una mano che fa scattare la serratura, la porta viene lasciata socchiusa. I passi si allontanano. Prendo un respiro ed entro. Il "Buongiorno" non potevo dirlo in modo più svogliato. Appoggio borsa e chiavi, tolgo le scarpe e vado in cucina. Lui mi raggiunge e mi sventola davanti una busta rosa, chiedendomi con un sorriso malvagio cosa fosse, ma lui sapeva già cosa dice, perché il lato è strappato, quindi non rispondo. Però ci ripenso, potrebbe essere il momento giusto per parlargli. Gli racconto di quello che ho fatto nella mattinata, dell'aver disdetto il matrimonio, e venduto il mio abito. Che ci restano pochi soldi e che dobbiamo cercare entrambi un lavoro. Ho sottolineato forse troppo la parola "entrambi" e questo lo ha fatto scattare, una cascata di parole mi è piovuta addosso, mi sono sentita bloccata sotto una presa gelida e pungente, dolorosa. Ho abbassato gli occhi, delusa da me stessa e dalla situazione che non ero in grado di cambiare. Arriva il primo schiaffo, gratuitamente forte, mi centra in pieno la guancia facendomi rovesciare testa e occhi all'indietro. Digrigno i denti dal male. Non avevo risposto a nulla fino ad ora, ma questo gesto ha fatto perdere la pazienza anche a me. Entrambi urliamo troppo, urliamo tutto e di tutto. "Guardami! GUARDAMI!" mi urla contro. Devo cercare i suoi occhi gelidi, tenendo i miei bassi. Mi afferra un braccio e mi trascina fino al salotto, in un silenzio troppo rumoroso. Mi prende per i capelli e mi tiene ferma, inginocchiata davanti a lui, la morsa è sempre più fredda e rigida. Vedo il disastro che ha fatto durante la notte: lattine di birra, accendini, mozziconi di sigarette, cucchiai, pipe. Ora so che è ubriaco e fatto di cocaina e crack. Vengo lanciata per terra, e inizia il nuovo litigio. Sono ore che urliamo. Inizia a dirmi di trovare lavoro al più presto, e di dargli i suoi soldi per potersi mantenere i suoi vizi malsani. Rispondo che sì, sto già cercando un altro posto, e che i soldi che abbiamo ci bastano per almeno due mesi se riesce a contenere le spese. Ed ecco che ho detto quella parola di troppo. Mi copro inutilmente il volto per proteggermi dai calci che mi tira, mi sanguina il naso e probabilmente ho un braccio rotto e qualche costola incrinata. D'improvviso smette, si china per tirarmi su, e mi pulisce il rivolo di sangue dal naso. Con voce demoniaca, rauca e secca, afferma che io devo essere trattata col rispetto che merito in quanto donna, e finché queste parole escono dalla sua bocca, il suo sorriso diventa un ghigno di puro piacere nell'infliggere dolore. Mi stringe il braccio, il dolore mi fa lacrimare ma la voce mi si strozza il gola. Mi studia, mi squadra dall'alto in basso, e mi trascina in cucina sbattendomi sul tavolo, e se ne va verso il bagno. Silenzio. Forse per oggi è finita. La speranza di essere sopravvissuta un altro giorno si riaccende. Una dolce melodia di basso accompagna la voce del mio vicino al piano inferiore, trasportata dall'aroma di incenso attraverso le assi del pavimento. Vado al lavello a sciacquarmi dal sangue, e passo davanti ai cassetti. Mi balena in mente l'università, abbandonata per colui che doveva essere l'uomo della mia vita, il nostro primo anno lo era veramente, poi tutto è degenerato. Una malsana idea segue questi pensieri. Apro il secondo cassetto e prendo il coltello per sfilettare il pesce. Click, la luce del bagno si spegne e lui cammina verso di me, io dolorante vado verso di lui, nascondendo il coltello lungo il braccio ancora sano. Mi guarda poi si volta, mi da le spalle, completamente indifeso. Faccio un passo in avanti, tutta la forza che riesco a raccogliere la uso per un solo colpo centrato sulla colonna vertebrale, tra le scapole. La lama entra di qualche centimetro, ma è sufficiente. Mezzo giro all'impugnatura e le sue vertebre si staccano, mi sono liberata di lui. Urlo, un urlo misto tra dolore e felicità. Estraggo la lama e lui cade a terra, supino, senza un solo gemito. Rispolvero quello che ho imparato anni orsono, giro il suo corpo e inizio a incidere la sua pelle lungo le vene. Ripagherà le mie lacrime e il mio dolore versando il suo sangue. Faccio in modo di non lasciare nemmeno un millimetro di vasi sanguigni intatti, il sangue inizia a scendere copioso dal braccio, riversandosi sul pavimento. Mi sento bene, e questa sensazione si trasforma in una foga, furiosa necessità di non far restare niente di lui. Taglio, taglio tutto quello che posso tagliare, faccio pezzi, e dei pezzi brandelli, solo le ossa mi fermano. Lascio il coltello, felice, soddisfata del mio lavoro. Le mie mani sono completamente rosse, e ormai il liquido rosso sarà arrivato fino al piano di sotto. Sorrido, mi passo le mani sul viso, per inebriarmi dell'odore ferreo di morte.

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