La prima cosa che vide fu la neve. Cadeva lentamente attraverso le sbarre che conducevano all'esterno, trasformando quel luogo oscuro e umido in uno spettacolo magnifico. Reavor rimase a guardare i bianchi fiocchi a lungo prima di chiedersi dove fosse finito; iniziò a girarsi procurandosi fitte di dolore così insopportabili che dovette fermarsi a prendere fiato un paio di volte, riempiendo i polmoni che sembravano non riuscire a trattenere l'aria al proprio interno. Nel girarsi a pancia in giù l'uomo vide che il pavimento ricoperto dalla paglia terminava a poco più di due metri dal suo corpo, dove si stagliavano quattro mura altissime, senza appigli e senza porte o finestre. Impossibile dire come avesse fatto a finire lì dentro, l'unica cosa che riusciva a vedere come possibile entrata erano le sbarre sul soffitto da cui cadeva la neve. Nel vano tentativo di chiedere aiuto cercò di urlare qualcosa, ma le uniche cose che riuscì a far uscire dalla sua bocca furono dei versi raccapriccianti, fastidiosi e acuti; versi che nonostante tutto attirarono una guardia che si affacciò sulla grata ringhiando un insulto, per poi sparire di nuovo, aldilà delle sbarre. Qualche minuto dopo, al posto della guardia, arrivarono una borraccia ricoperta di ghiaccio e una pagnotta piena di vermi, lanciati entrambi con noncuranza attraverso le sbarre. Dopo aver mangiato e bevuto, nonostante il ribrezzo per i vermi, Reavor si alzò con lentezza per evitare altre fitte e riprovò a parlare:
< guardia! Perché sono qui? Che cos'è questo posto? >
< Secondo te? Questa è una prigione, lurido bastardo, e il perché non ti è dato saperlo > disse la guardia dopo essersi affacciata di nuovo, seguita da un secondo insulto.
Reavor avrebbe voluto aggiungere la domanda " chi sono io?", ma non voleva sentire la risposta, doveva ancora abituarsi al non sapere nient'altro se non il proprio nome e sarebbe stata una cosa dura da accettare. " Come mai sono in una prigione? Che cosa ho fatto?" la mano destra di Reavor si avvicino alle tasche rovinate cercando un possibile indizio ma tutto ciò che trovò fu un anello di ferro grezzo, perfetto per il suo dito, e un paio di monete in rame; niente che potesse rivelargli la sua provenienza o il motivo per cui si trovava lì.
< Guardia! Sarò giustiziato? >
L'unica cosa che lo raggiunse fu una risata sommessa e le parole "... che senso ha rispondere ad un morto che cammina?". La risposta a quanto pare era "si".
Passarono due orribili giorni in cui l'uomo sentì la fame e il dolore dato dai muscoli ricoperti di lividi vecchi di chissà quanti giorni. L'oscurità e l'umidità della cella fecero perdere lentamente la sanità mentale all'uomo e la cognizione del tempo, lasciandolo in un continuo stato di dormiveglia. Quando Reavor vide di nuovo un'altra persona non riuscì a capire se stava ancora sognando o se era abbastanza sveglio da poter parlare e capire cosa succedeva intorno a lui. Lentamente l'uomo appena arrivato, riconoscibile come boia grazie al nero abito, tolse la grata e calò nella prigione una piattaforma di legno attaccata ad un argano in legno. Reavor si alzò dal freddo terreno, facendo un po' di fatica, per poi salire sulla piattaforma appena scesa. Con estrema lentezza e con la mente ancora alla deriva Reavor salì fino all'esterno, aggrappandosi alle corde per evitare di cadere, per poi vedere finalmente dov'era finito: era una pianura, un'immensa valle circondata in parte da paludi e infine da montagne. Un luogo così grande che l'uomo dovette fare un grande sforzo per vedere le vette più lontane, mentre ciò che stava ai loro piedi era ricoperto da una spessa cortina di nebbia. La valle stessa era una prigione, un luogo che non lasciava alcuna speranza di fuga ai poveri prigionieri. La prima cosa che notò fu la totale assenza di abitazioni in tutta la valle, mentre la seconda fu la sola presenza del boia, nessun animale o umano erano nei paraggi così come nessun albero o arbusto.
Il boia tirò a se le mani del prigioniero e le aprì a forza per poi poggiarci un foglietto mezzo bruciato, caratterizzato da una frase praticamente incomprensibile, in quanto sbiadita. Dopo aver mollato la presa sulle braccia di Reavor gli disse:
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Tales of Klimmeck
FantasyMolte storie nascono e finiscono a Klimmeck, "la città infinita", ma molte altre continuano al di fuori dei suoi confini, giocando un ruolo importante e determinando il destino di coloro che vivono nella città ed al suo esterno. Tutte queste storie...