Capitolo 1
Il sole era sorto da diversi minuti e Reavor non riusciva ancora a muovere un muscolo. Tutti gli scheletri erano già tornati sotto terra, mentre quelli fatti a pezzi dalla bestia rimasero sul terreno, appena sotto il manto di neve. Camminando nella vasta valle, l’uomo iniziò a cercare i corpi degli “esseri” della notte precedente, in modo da ricavarne armature o magari armi. Riuscì pian piano a trovare i pezzi mancati, a partire da un paio di spalline in cotta e dei guanti in cuoio, logorati dal tempo e dal freddo. Ora Reavor poteva considerarsi protetto, anche se ciò che lo copriva era mezzo distrutto. Tra la neve notò un leggero luccichio verso cui si diresse con passo celere, sperando di aver trovato qualcosa di utile. Sotto il manto bianco trovò un’elsa di spada con un piccolo pezzo di lama ancora attaccato all’impugnatura. L’altra estremità era finita chissà dove, immersa nella neve o fatta a pezzi durante una qualche battaglia senza nome, dimenticata da tutti. “ottimo, un’armatura mezza distrutta e un’elsa di spada. Che cosa potrei volere di più?”
< Cibo.>
Quasi non si rese conto di aver pronunciato quella parola. “giusto. Ecco di cosa ho bisogno… cibo.” Le gambe si flessero in modo da avvicinare la mano di Reavor al terreno, cercando qualcosa di utile tra i resti dell’ennesimo “essere” dal nome ancora indefinito. La mano sinistra si strinse su un osso, un femore probabilmente, e con l’altra iniziò ad inciderlo con l’unico pezzo di lama rimasto, per nutrirsi del midollo. Qualcosa di commestibile venne ricavato durante la disperata ricerca del prigioniero, ma il tempo passato in cerca di ossa era stato più lungo del previsto e oramai il sole era alto nel cielo. “ ho venti giorni e ne ho appena sprecato mezza giornata per mangiare”
< Sono un cretino > aggiunse Reavor, con profonda disapprovazione nei propri confronti. La mano destra, quasi inconsciamente, andò verso la sua tasca alla ricerca del foglietto che, contrariamente a quando lo aveva ricevuto, aveva solo un piccolo angolo bruciacchiato. Vide sul foglietto che la scritta, prima di allora sfocata e bruciata in parte, ora recitava a chiare lettere: “ il mio nome è Reavor, e sono un fabbro.”
< Fabbro… Perciò l’anello serve a farmi capire che cosa facevo nel passato? Perché un anello di ferro dovrebbe farmi capire che sono un fabbro?> Ma era un'altra la domanda che aveva in mente: “che cosa può aver fatto di sbagliato un fabbro?”. La risposta andava aldilà della sua comprensione e non aveva tempo per fermarsi. Prima sarebbe uscito da quella valle e prima si sarebbe salvato. Inizio ad incamminarsi, passando vicino a diverse buche nella neve con all’interno i corpi esanimi degli strani scheletri. I passi compiuti dall’uomo erano più vigorosi del giorno precedente, segno che i muscoli già tonici stavano tornando in forma dopo il lungo periodo di inattività. Il freddo palpabile formava solchi nella pelle seccata dalla brezza di Reavor, dandogli altri motivi per soffrire della sua insensata prigionia. Il sole velocemente tornava a calare, come se stanco di brillare sul mondo con la sua calda luce, mentre il prigioniero raggiungeva la soglia delle paludi: un luogo misterioso e strano, in cui delle pozze quasi perfettamente rotonde lasciavano un passaggio molto ristretto tra di loro. Piccoli ciuffi d’erba spuntavano dal terreno morbido e acquitrinoso, accompagnati, a volte, da qualche rametto. “ Ci deve essere un cespuglio da qualche parte allora!” Pensò l’uomo, rinvigorito dalla scoperta e dallo striminzito pasto. Reavor bevve un po’ d’acqua proveniente dalla neve che iniziava a sciogliersi, per poi inoltrarsi tra gli acquitrini malsani, dove l’uomo non riuscì comunque a scorgere i cespugli, evidentemente morti o completamente assenti. Una nauseante aria calda e maleodorante usciva dalle pozze di fanghiglia e, più si faceva scuro il paesaggio con il calare della notte, più gli acquitrini diventavano luminosi. Nonostante ciò, il fondo degli stagni circolari non era ancora visibile e questo non faceva che intimorire Reavor. “Come mai quei cosi non sono ancora usciti dal terreno?” Si domandò guardandosi attorno. Notò che i mostri erano fuoriusciti dal manto di neve, ma non osavano avvicinarsi alla palude, rimanendo lontani. “C’è qualcosa che li intimorisce in questa palude e non desidero scoprire cosa.” Pensò preoccupato mentre camminava a debita distanza dall'acqua. L’unico essere che si aggirava con circospezione tra gli acquitrini era la bestia della notte precedente, che si teneva comunque lontana dalle pozze più profonde. Sembrò provare del timore nel muoversi affianco all’acqua stagnante. Reavor concentrò il proprio sguardo nella direzione delle pozze più vicine, alla ricerca di una spiegazione, mentre con passi molto cauti retrocedeva. Uno degli stagni iniziò ad esser solcato da delle increspature, nonostante l’assenza totale di vento,mentre in un secondo stagno qualcosa stava scivolando sul bordo dell’acqua. In un attimo tutte le pozze attorno a Reavor iniziarono a ribollire e, dalle profondità degli acquitrini attorno a lui, emersero cinque artigli neri e appuntiti che crearono una specie di enorme gabbia. Le punte affilate si aprirono, dividendosi in due gusci altrettanto affilati che mostravano l’interno cavo delle bestie. Dalle cavità delle creature uscirono sei tentacoli muniti di piccole fauci appuntite e di una specie di bocca. Il primo dei cinque esseri attaccò, andando a vuoto, mentre il secondo sfiorò l’armatura di Reavor. Il panico colse il fabbro per un secondo, prima di venir sostituito dalla volontà di sopravvivere che lo aveva già colto la notte precedente. Una delle bestie tentò di attaccare, ma l’uomo schivò il colpo e menò un fendente che, guidato dall’emozione e dalla fretta, andò a vuoto. Un’altra creatura cercò di prenderlo alle gambe, ma il fabbro riuscì ad evitare la presa giusto in tempo. “Adesso!” urlò nella sua mente Reavor, mentre un secondo fendente si abbatteva su una delle teste della creatura, tagliandola in due e facendo imbestialire il mostro. “Sa che sono un pericolo adesso… Smetterà di giocare con me.” Pensò con estrema tranquillità l’uomo. Una calma quasi innaturale pervadeva adesso il prigioniero, che sempre più metodicamente evitava i colpi nemici. Altre due bestie partirono all’attacco, ma Reavor riuscì a schivare entrambi i colpi, per poi ferire con un affondo tre delle teste di una delle creature, facendo colare sangue blu sulla lama. Le tre mostruosità degli acquitrini non ancora colpite attaccarono all’unisono, solo per schiantarsi a pochi centimetri dalla gamba destra di Reavor e sul suo braccio. Il prigioniero trattenne a malapena un grido, sfogando tutto il suo dolore sulla creatura che era riuscita a intrappolarlo con i propri tentacoli, tagliando ognuno di essi e uccidendola. < Una in meno > “così come le mie braccia” pensò con una smorfia di dolore mentre l'artiglio cadeva sulla riva dello stagno. Cercò di attaccare due delle teste di una creatura, rimaste conficcate affianco a se, ma riuscirono a fuggire un attimo prima che l’elsa cadesse sui loro corpi viscidi. Le quattro bestie rimaste tentarono un ultimo attacco contro Reavor, senza sortire effetto e schiantandosi nel terreno. Approfittando della situazione, Reavor ebbe la possibilità di uccidere le due creature già ferite e rimaste bloccate nel terreno mordibo dopo l'attacco. “ Queste cose… sono praticamente cieche!” pensò gongolando il fabbro mentre staccava di netto le ultime teste. Le altre due creature, ancora integre, ritornarono negli acquitrini, scomparendo fra le acque verdastre e le bolle causate dal loro spostamento improvviso.
< Questo è il massimo che può offrirmi questa valle? Dovrete fare di meglio se volete uccidermi! > Disse con tono spavaldo l’uomo, mentre ruotava il busto come alla ricerca di una nuova sfida.
STAI LEGGENDO
Tales of Klimmeck
FantasiaMolte storie nascono e finiscono a Klimmeck, "la città infinita", ma molte altre continuano al di fuori dei suoi confini, giocando un ruolo importante e determinando il destino di coloro che vivono nella città ed al suo esterno. Tutte queste storie...