Tic toc tic toc. Le lancette del mio orologio da polso arrugginito si spostavano stanche, percorrendo ogni tacchetta con piccoli saltelli tremanti.
Plop plop plop plop. Le gocce scivolavano sulla superficie metallica sotto cui ci eravamo messe al riparo, cadendo rovinosamente sui fili di erba fresca.
Crack crack crack crack. I miei stivali scricchiolavano, calpestando il suolo fangoso e pietroso per via della grandine precipitata poco prima.
Lo straccio nelle mie mani percorreva la lunghezza del coltello, avvolgendolo completamente ed impregnandosi di sangue scuro. Una serie di macchie, simili alla corolla di papaveri fioriti, dipingeva il tessuto grezzo e biancastro, ravvivendolo con colori intensi.
Una debole melodia famigliare risuonava nel luogo desolato e scandiva ogni nostro movimento, accompagnata dall'orchestra di suoni prodotti dalla natura trafitta dalla pioggia.
Quella voce, tanto armoniosa quanto rasserenante, rompeva il silenzio opprimente che ci inghiottiva ormai da giorni, rilassando i muscoli tesi dall'angoscia.
Riposai il coltello pulito a terra, passandomi una mano, ruvida per via dei calli, tra i capelli annodati. Sbuffai, guardando il mondo povero e grigio che mi circondava.
Il dolce canto cessò ed una mano fredda si posizionò sulla mia spalla.
"Risolveremo tutto. Te lo prometto." fece, in un sussurro.
Poi, senza aspettare una risposta che non sarebbe mai arrivata, si allontanò, interrompendo quel contatto freddo quanto accogliente, e sorrisi, quando ricominciò il suo canto.
Un ronzio proveniente dall'alto ruppe la quiete che si era creata. Mi sporsi il meno possibile fuori dal nostro piccolo riparo per osservare da cosa fosse prodotto quel suono incessante.
Una macchia nera, con lunghe pale rotanti, lacerava, intrusa, il ricamo dorato e roseo del cielo al tramonto, sorvolando quello scenario lividaceo ed astratto e squarciando il mantello lanoso delle nubi filamentose che striavano la volta celeste.
Mi nascosi, raccogliendo in fretta tutto ciò che potesse destare sospetto della nostra presenza, mentre due braccia mi circondarono il busto, scosso dai singhiozzi che cercavo di trattenere.
Il ventre scuro del mezzo si schiuse, liberando in aria una serie di pesanti masse affusolate. Erano delle bombe.
"Dobbiamo andarcene da qui, ora!" la mia voce venne sovrastata dal boato delle esplosioni, che scossero la terra sotto i nostri piedi.
Preparai in fretta lo zainetto munito del necessario per la sopravvivenza e feci per uscire ma la donna accanto a me mi trattenne per il polso.
"Non possiamo uscire ora. Sarebbe un suicidio. Non è detto che quelle bombe siano per noi, probabilmente staranno solo controllando non sia rimasto nessuno nella città. Dobbiamo aspettare...e pregare.".
Scossi la testa freneticamente, sentendo il cuore pulsare all'interno delle mie orecchie.
"Non starò qua con le mani congiunte, ad aspettare che una bomba mi cada in testa!"
Inserii il coltello nel fodero dietro la schiena e, con il pesante zaino sulle spalle, uscii dal riparo, seguita a malincuore da mia madre.
Rivolsi lo sguardo al cielo, coprendomi il capo con entrambe le mani, notando tristemente come le bombe si fossero moltiplicate e l'elicottero avvicinato.
Gli edifici rasi a terra, in un inferno di fiamme e fumo scuro.
Di colpò un faro ci illuminò, dall'alto, accecandoci.
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Don't call the police! - Min Yoongi (SUGA)
FanfictionAnno 2048, Corea Del Sud. La Polizia ha compiuto un colpo di stato, salendo al potere e seminando terrore tra la gente. Squadre di agenti raggiungono ogni città e sterminano chiunque si ribelli al loro controllo o non rispetti le leggi dettate. Una...