«MI SONO STANCATO DI TE E DELLE TUE SCAPPATELLE! NON HO DATO DELLE CAZZO DI REGOLE A QUESTA CAZZO DI CASA TANTO PER FARE QUALCOSA, HAI CAPITO?! NON È UN FOTTUTO GIOCO MALIKA, NON STIAMO PARLANDO DEI TUOI VESTITI, DEI TUOI CAPRICCI, STIAMO PARLANDO DELLA TUA VITA E DELLA MIA FOTTUTA CARRIERA! HO MEZZO MONDO SULLE SPALLE, NON MI FARO' ROVINARE DA UNA RAGAZZINA!»
La conversazione telefonica di Vladimir stava andando avanti da più di un'ora ormai ed aveva preso un andazzo sempre più negativo e violento. Le urla del padrone di casa avevano completamente invaso tutta la proprietà. Avevano litigato, di nuovo, ma ultimamente succedeva così spesso che non se ne stupiva più nessuno.
C'era sempre qualcosa che non andava.
Una volta lei faceva troppo tardi, un'altra lui era troppo assente.
Sembrava quasi che, a quel punto, ogni pretesto fosse buono per attaccarsi e sbranarsi come lupi.
Ne uscivano entrambi lesi, certo, ma la maggior parte delle volte la cosa si risolveva, Vladimir la risolveva.
Quella volta no, invece.
Era stanco, era troppo.
Troppo e tutto insieme, e nessuno dei due volle più ignorare o negare la realtà: doveva finire.
Forse non erano nati per stare insieme, forse non si sarebbero mai neanche dovuti conoscere.
Malika: «vengo a prendere le mie cose questa sera. Addio.»
Vladimir: «molto bene, le farò preparare. Ah, le troverai fuori dal cancello, ovviamente.»
La linea venne bruscamente interrotta dal rosso, che le chiuse il telefono in faccia. Nessun rimpianto, nessun problema.
Poi lo lanciò contro il muro.
Akira aspettava davanti la stanza di Vladimir, con una brutta sensazione che le stringeva la gola, non la lasciava respirare.
Ma non volle entrare.
Quando finalmente calò il silenzio nella casa, Akira decise che la cosa migliore sarebbe stata continuare ad aspettare un altro po': gli avrebbe dato giusto il tempo di calmarsi e poi sarebbe entrata, che lui volesse o meno.
La mano della ragazza, già pronta a bussare dal suo arrivo, si posò pesante sul legno massiccio della porta, chiusa in un pugno, dando segno all'uomo della sua presenza.
Akira: «Vladimir, sono io. Fammi entrare.»
Il tono della ragazza era letteralmente il contrario di dolce e pacato e, nonostante nascondesse in sé un velo di preoccupazione, non riusciva a non sembrare nervosa.
Attese in silenzio, anche solo un sospiro, per un permesso di cui non aveva veramente bisogno.
Altri cinque minuti di silenzio ed avrebbe buttato giù la porta.
Sì, sì l'avrebbe fatto.
Avrebbe buttato giù la porta, lo avrebbe preso per i capelli e l'avrebbe riempito di schiaffi.
Poi se ne sarebbe andata, ecco.
E poi sarebbe tornata, solo per rinfacciargli il fatto di aver sempre avuto ragione.
Lei non le era mai piaciuta, nossignore. Era finta, troppo attaccata ai soldi e troppo poco a lui.
E Vlad era troppo stupido per capirlo.
Certo, non era stata così delicata quando gli aveva esposto il problema, però il senso era quello.
Ecco sì, gli avrebbe riferito questo: te l'avevo detto.
Era rimasto a fissare i frammenti del telefono per cinque minuti buoni.
Passava così lentamente il tempo, gli erano sembrati anni.
Anni lenti e pesanti, quasi soffocanti.
Perché tradirlo?
Non aveva niente da vendicargli.
Non era abbastanza?
Eppure a letto era bravo.
Non le dava abbastanza affetto? Attenzioni? Regali?
No, no c'era qualcosa che non andava in lei.
Lui aveva sfiorato l'impossibile.
Si era spaccato la schiena per quella relazione, aveva fatto quello che per altri non avrebbe mai fatto.
Aveva raccolto tutti i pezzetti, ogni volta, ed aveva cercato di ricucirli insieme senza farle male. Preferiva passare l'ago nella propria carne piuttosto che vederla soffrire.
Eppure, non era comunque servito a nulla.
Gli era finalmente arrivata conferma che era sempre stato lui l'unico coglione a tenere veramente a quel "noi".
"..Fammi entrare."
Una voce irritata lo svegliò dalla sua trance.
Era Aki, si, era lei.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Ma voleva davvero vedere qualcuno in un momento come quello?
Vladimir: «entra pure»
Si, voleva.
Voleva vedere lei.
Forse ne aveva quasi bisogno.
Quasi eh.
La porta fu aperta di prepotenza da un'impaziente testolina rosso fuoco. Non fece un passo in più, ma rimase a fissare il russo a braccia conserte, un piede nervoso che batteva a terra e lo sguardo di chi sta per prenderti a ceffoni e sa già che sarà così.
Akira: «che cazzo hai intenzione di fare?»
Nah, non gli lasciò il tempo di rispondere. Il passo lo fece questa volta, anzi ne fece due, tre, cinque, e gli mollò un pizzone in pieno viso.
Non era quello lo sguardo di Vlad. Lui non le avrebbe mai rivolto quegli occhi in cerca di pietà, da cucciolo bastonato, da "ti prego, salvami".
Akira: «vuoi farti ridurre così da quella? Vlad tu le puttane le vendi, non stai male per loro. Dovresti saperlo ormai!
Pensi davvero che proverò pietà per il povero cerbiatto ferito? No. Dovresti già aver preso una calibro 45 ed essere andato a piantarle una pallottola in mezzo alla fronte. Che faccio, ci devo andare io? Va bene ci vado io.»
E... ed effettivamente ci stava andando lei. Si era girata di colpo ed era partita in quarta, decisa a vedere finalmente la bionda andarsi a fare un giro tra le nebbie eterne sulla riva dell'Acheronte.
-- In parole povere, la voleva morta. --
Neanche due passi compiuti e venne presa per il polso dal rosso stesso, che con uno strattone se la spalmò sul petto. Sempre delicato lui, sì sì.
Vladimir: «smettila di rompere il cazzo.»
Tra i due calò un silenzio assordante per alcuni minuti.
Nessuno osava parlare, nessuno osava muoversi.
Sembrava che tutto si fosse fermato: il tempo, il mondo, il loro respiro.
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Orgoglio & Vodka
RomanceNo, non è un sequel di Orgoglio e Pregiudizio, quindi se ne cercate uno avete sbagliato storia. Però è una cosa bella, ve lo promettiamo. E' una storia un po' diversa (si spera), nè serissima nè stupidissima (in realtà è entrambe). Vladimir è un uom...