Capitolo XI

231 1 0
                                    

[7 anni dopo]

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

[7 anni dopo]

Ecco che si trovava un'altra volta alle prese con la folle idea di una fuga.
Amelia stava dritta, il borsone alla mano, davanti la stazione del treno. Aspettava che ne passasse uno che la portasse il più lontano possibile da quel luogo. Ancora una volta si era costruita una risoluzione che tuttavia cominciava già a vacillare: si sentiva in colpa ad abbandonare Adam, ma ogni volta che arrivava al limite non poteva fare a meno che credere che quella fosse l'unica soluzione per restituirsi una vita che meritava di avere, e per fuggire dall'ombra di un passato che avrebbe dovuto ormai essere morto e sepolto.
Così quasi tutte le mattine da quando aveva finito il college, Amelia andava alla stazione, equipaggiata con una valigia pronta in mano, in attesa del momento in cui la sua risoluzione sarebbe stata totale e si fosse decisa a compiere quel passo.
Ogni mattina, tuttavia, il passato la ghermiva in una morsa stretta e crudele che le ancorava i piedi al pavimento freddo ed anonimo della stazione e le impediva di muoversi, di fare un passo verso la libertà, verso l'ignoto.
Un attimo prima era determinata, si vedeva già prendere posto sulla poltrona bitorzoluta del vagone, e via verso un'altra città; l'attimo dopo vedeva arrivare il treno, svuotarsi di passeggeri che correvano frettolosamente in tutte le direzioni e riempirsi di nuovi anonimi ospiti, mentre, come di lontano, udiva l'altoparlante annunciare un nuova corsa ed intimare di prestare attenzione alle linee gialle di sicurezza. Pochi minuti che si allungavano come un'eternità e che pure passavano con la frequenza di un lieve battito di ciglia. Ed Amelia era rimasta immobile, paralizzata, dilaniata dalla terribile scelta, da quel costante senso di colpa. Col tempo aveva imparato a vedersi come l'unica su cui Adam potesse fare affidamento perché era vero: lui non aveva al mondo che lei. E lei, torturata dai sentimenti contrastanti, aveva solo lui, unico baluardo in una notte oscura; figura di padre e di carnefice assieme.
E poi c'era quel momento... quello della quiete che si ode assordante dopo un forte e prolungato rumore: il treno partiva, la stazione ora era vuota e silenziosa, poche persone nei paraggi, ognuno troppo impegnato ai fatti propri per badare a chi avesse attorno.
Amelia lasciava andare il respiro che aveva inconsapevolmente trattenuto e rivolgeva lo sguardo verso lo spazio vuoto, prima occupato dalla locomotiva, e verso la direzione da essa intrapresa: sola, senza di lei.
Abbassava lo sguardo verso il borsone ancora saldamente trattenuto in mano e lo lasciava scivolare sul pavimento con un tonfo.
Questa era una scena che si ripeteva ormai spesso, quasi fosse diventata una routine dello stesso ambiente ferroviario, che la faceva propria.
Una di quelle mattine, tuttavia, Amelia non rimase – come suo solito – lì in piedi per qualche minuto per poi tornare stancamente a casa propria. No, quel giorno si trascinò su una panchina, l'ultima e la più isolata, a guardare fissamente l'infinito oltre le rotaie.
Dopo pochi istanti, la vista ondeggiò e si offuscò a causa delle lacrime che non riusciva più a trattenere. Lacrimò silenziosamente, quasi non ci facesse caso, poiché era passato da un pezzo il tempo del pianto arrabbiato, urlato, scosso da tremiti convulsi: aveva ormai capito che nessuno avrebbe mai potuto salvarla. Era intrappolata in una sorta di limbo e solo lei possedeva la chiave per uscirne una volta per tutte. Solo... non ne aveva la forza. Che fosse per paura di ciò che lasciava o di ciò che avrebbe trovato, non riusciva a fare un passo né nell'una né nell'altra direzione.
Adam non faceva domande su dove lei si recasse ogni giorno. Amelia aveva preso il pretesto di un lavoretto per assentarsi da casa e sperare, ogni volta, che quella fosse l'ultima volta che vi metteva piede. Ma finora non era successo: faceva puntualmente ritorno, quasi fosse diventata a sua volta un automa.
All'inizio Adam non capiva perché Amelia desiderasse lavorare, soprattutto non capiva perché lo facesse in un negozio di fiori (era quello, appunto, il pretesto): dal suo punto di vista, avevano già abbastanza denaro per poter vivere più che agiatamente – Adam, infatti, aveva avuto modo di accumularne un bel po' – e godersi semplicemente la compagnia l'uno dell'altra; ma in secondo luogo, pensava che la scelta avrebbe dovuto ricadere naturalmente su un lavoro in ambito scientifico.
Quale che fosse lo schema di comportamento che si aspettava, comunque, ormai Adam considerava Amelia come la sua vera creatrice: nel suo sistema, aveva integrato ormai del tutto l'immagine del vecchio e del nuovo per cui aveva progressivamente abbandonato tutti gli atteggiamenti che in passato erano stati simili a quelli di un "genitore" verso la propria figlia.
Amelia aveva dunque dovuto combattere contro tutti i tipi di avances di Adam, rifiutandosi sempre di cedere ad ognuno di essi. Adam non capiva ma accettava tutto ciò come il volere della sua Amelia e lo rispettava.
Ad un certo punto, un sfruscio alle sue spalle la costrinse a voltarsi. Dietro di lei stava un ragazzo coi capelli spettinati dal vento e la barba leggermente incolta. Aveva il colore degli occhi e dei capelli di un anonimo castano ma, stranamente, possedeva uno sguardo piuttosto penetrante. Bastò un'occhiata per far inquietare la ragazza, infatti, che si preoccupava soprattutto di essere rimasta sola con lui in quel posto desolato.
Il ragazzo restò per un po' in piedi in silenzio: prima la fissò negli occhi, leggendovi dentro con una profondità sconvolgente, successivamente osservò il viso rigato dalle lacrime appena versate, la bocca rosea, la figura snella un po' nascosta da vestiti ingombranti. Piegò il capo di lato, su una spalla, e la fissò ancora interrogativo.
Amelia era rimasta ferma davanti all'esame di quell'estraneo, lo guardava a sua volta aspettando che egli facesse o dicesse qualcosa per rompere quel momento che, in un altro contesto, sarebbe risultato un tantino imbarazzante.
Il ragazzo non proferì parola ma prese posto sulla panchina, vicino a lei. Amelia, dopo un attimo di confusione, distolse lo sguardo da lui e preferì a sua volta non dire niente.
Passarono così alcuni minuti, ma anche se Amelia voleva ignoralo e tornare a riflettere sul da farsi – o meglio, a rimproverarsi per la sua mancanza di coraggio –, non riusciva a cancellare dalla sua mente il momento in cui si erano guardati negli occhi e, anzi, si chiedeva con sempre maggiore curiosità, chi fosse mai quell'individuo e perché le si fosse seduto accanto e continuasse ostinatamente a tacere.
Seccata da quel moto di interesse per una persona che non conosceva, decise di alzarsi, raccolse le sue cose ed abbandonò la stazione. Sarebbe sicuramente riuscita a partire il giorno dopo.

The CreatureDove le storie prendono vita. Scoprilo ora