Capitolo III

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  Le giornate si succedevano veloci e gli stessi schemi di comportamento venivano ripetuti

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  Le giornate si succedevano veloci e gli stessi schemi di comportamento venivano ripetuti. E mentre la lista dei tabù aumentava, il suo rapporto con Amelia si faceva sempre più disteso e felice. Erano sempre di meno le volte in cui lei si rabbuiava per qualcosa che diceva o faceva, perché Adam si adattava a tutti i comandi e a tutti i suggerimenti della sua ragazza.
Egli, infatti, viveva unicamente in funzione di lei. Amelia era il suo inizio e la sua fine, lo scopo ultimo di tutti i suoi pensieri. Il benessere della ragazza e la sua felicità venivano prima di qualsiasi altra cosa per lui.
Sapeva che Amelia aveva bisogno di continue attenzioni e traeva ispirazione dai suoi strani ricordi per imitarne le azioni ed il comportamento. Era infatti giunto a capire che ella era di gran lunga più contenta se agiva imitando quei ricordi.
Allora Adam apriva sempre la braccia per accoglierla, quando lei rientrava a casa; le sorrideva spesso e la baciava con frequenza. La toccava carezzandola dappertutto, facendo pressione in particolari punti e strofinandone altri quando si trovavano sul loro grande letto. Più Amelia ansimava e si contorceva, più lui capiva di stare facendo un buon lavoro e continuava.
Non passò ancora molto tempo, però, che quell'apparente soddisfazione si incrinò e Amelia tornò ad essere cupa e di carattere scostante. Adam cercava, come sempre, di accontentarla in tutto, ma non aveva abbastanza ricordi su cui basarsi per farle piacere.
Ora, quando la toccava, lei si scostava; quando le diceva "ti amo" lei rispondeva: "davvero?" ma aveva sul volto un'espressione scettica, quasi crudele, che tuttavia Adam non sapeva come spiegare.
Un giorno, mentre lei era ai fornelli, provò ad afferrarla per i fianchi e a sussurrarle sull'orecchio: «Cosa prepari di buono? C'è un bel profumino! Ed io sono molto affamato!»
Nei suoi ricordi, Amelia si girava e gli intimava di stare alla larga dal loro pranzo e gli ingiungeva di non fare il selvaggio come al suo solito, quindi Adam si aspettò che reagisse proprio in questa maniera. Ma lei si irrigidì e le cadde di mano il mestolo. Poi scoppiò in un pianto angoscioso e disperato e si accasciò su se stessa.
«Amelia! Amelia! Amore mio, sono qui con te! Perché piangi? Perché? Amelia...!»
Ma più Adam cercava di parlarle, più lei singhiozzava e prendeva a spingerlo con le mani per allontanarlo da sé.
«Smettila! Smettila! Tu non sei lui! Tu non sei il mio Adam! Non chiamarmi mai più! Non pronunciare più il mio nome! Vattene! Vattene!»
Così gridava, rendendo Adam sempre più confuso. Quel comando, impartito con tanta animosità, faceva contrasto con uno dei principi generatori del suo sistema. Si rese conto che non poteva eliminare la voce 'Amelia' dalla lista dei modi con cui poteva appellarla. Il suo nome era scritto dentro di lui così diffusamente che eliminarlo avrebbe significato menomare irreparabilmente se stesso. Avrebbe significato annullarsi.
Disse l'unica cosa che poteva: «Non posso. Non posso smettere.»
Ma Amelia non gli badava e continuava ad annegare nel suo dolore. Ripeté ancora una volta: «Vattene via da qui!»
Ed Adam uscì dalla stanza, lasciandola sola. Ma rimase dietro la porta socchiusa e l'ascoltò piangere. Allora provò di nuovo ad eliminare il suo nome, proprio come lei aveva richiesto, ma fallì una seconda volta: era inutile, non aveva accesso alla memoria madre, dove erano contenute tutte le impostazioni di base. Era completamente impotente.

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