Odio i matrimoni.
Li odio come un vegano odia le bistecche. Non sono un vegano e se vedo il seitan fuggo come se avessi un mastino alle calcagna, ma il paragone è calzante.
Odio i matrimoni.
Ci sono venuto solo perché si sposa il mio migliore amico e, ehi, non potevo perdere l’occasione per prenderlo in giro!
Mi sono vestito di nero. Pantaloni neri, giacca nera, cravatta nera, occhiali da sole scuri. Sembro un becchino ed è esattamente la mia intenzione. Non gli farò gli auguri, ma le condoglianze.
Sono seduto sulla panca della chiesa e cerco di non notare le occhiatacce che mi rivolgono gli invitati. Sembro talmente macabro che qualcuno fa le corna di nascosto. Pensa che non lo veda, ma io vedo tutto. Dietro i miei occhiali scuri osservo ogni scena di questa stupida farsa.
Cosa spinge un uomo a scegliere la monogamia? Non so rispondere, per me è una domanda priva di senso.
Perché dovrei farmi tormentare da una sola donna per tutta la vita? Cosa ne ricaverei in cambio?
Sono più che convinto di essere nel giusto. Del resto, non mi sembra di aver mai sbagliato niente, nella mia vita. Sono un esempio di uomo felice e me ne vanto, me ne vanto parecchio. Un’improvvisa gomitata mi strappa alle mie considerazioni oziose. Mi sono forse addormentato?
«Teo, almeno oggi, un po’ di contegno!», mi redarguisce Matteo, il cugino dello sposo.
Gli sbadiglio in faccia senza nemmeno curarmi di coprirmi la bocca. «Questa cerimonia è uno strazio. Tra un po’ mi vado a nascondere nel confessionale e schiaccio un pisolino».
«Mi pare che tu stessi già dormendo, poco fa», precisa lui. Odio anche le persone puntigliose.
Un applauso mi scuote. Siamo arrivati alla scena madre.
«L’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito», sentenzia il prete con voce stentorea.
Be’, ma se a separare ciò che Dio unisce ci fosse una donna, sarebbe meglio?
Il mio pensiero sarcastico non manca di farmi venire idee malsane: non posso sopportare di aver perso il mio compagno di sbronze e allegre scopate.
Ora con chi andrò a rimorchiare le oche del sabato sera? Non sarà la stessa cosa senza di lui. Devo trovare un diversivo degno di questo nome.
Lo strazio cerimoniale giunge finalmente al termine. Ora ci aspetta il lancio del riso.
«Prendete una manciata di chicchi!», grida una donna dal sedere grosso, immagino una parente della sposa, con i capelli di un rosso imbarazzante. Tra le mani ha una cesta piena di coni di riso appoggiati su un letto di confetti.
«Posso prendere anche i confetti?», chiedo mellifluo, utilizzando la mia tattica strappamutande.
La donna cannone mi sorride e mi fa l’occhiolino. Rabbrividisco, ma non cambio l’espressione.
«Serviti pure, zuccherino. Attento a dove lo lanci, però».
“Certo, starò attentissimo”, penso, mentre nella mia mente si fa strada il desiderio di giocare al tiro al bersaglio con la testa degli sposi. Magari un colpo di confetto ben assestato potrà far ritrovare loro il senno.
Mentre questa intenzione si fa spazio nella mente, mi preparo al lancio come se fossi un giocatore di baseball. Il proiettile mortale e ricoperto di zucchero fa un volo notevole, talmente notevole che prende di striscio gli sposi e prosegue sulla sua traiettoria, sparendo dietro di loro.
Si sente un «Ahi» distinto e io mi nascondo dietro la chioma vaporosa di una che ha pensato, forse, di creare un rifugio per piccioni sulla propria testa.
«Si può sapere chi è l’incosciente che lancia confetti in questo modo?», sento dire. Ridacchiando mi infratto di più dietro alla donna-siepe. Qua dietro non mi scoprirà nessuno.
«Teo!», mi chiama in causa una voce che riconoscerei ovunque: il mio amico Silvio, il condannato, avanza verso di me con espressione belligerante. Vorrei scappare, ma sono incastrato nella marea umana degli invitati.
«Ti avevo avvertito, Teo. Niente cazzate al mio matrimonio!».
Vengo fuori con le mani alzate e un sorriso. «Andiamo, Silvio! Non l’ho mica fatto apposta!».
Lui mi fulmina con lo sguardo. «Come se non ti conoscessi! Prima russi come un trombone durante la cerimonia…».
«…Russo?»
«Sì… russi. Si stavano sgretolando i muri per le vibrazioni, eri peggio dell’organetto! Attenti alla nostra vita con i confetti e, come se non bastasse, ti vesti come se fossi a un funerale!».
Mi tolgo gli occhiali e gli mollo una pacca sulla spalla. «Ti ho già detto che non l’ho fatto apposta. E poi, riguardo al mio abbigliamento… credo non ci sia niente di più adatto. Sto piangendo la perdita di un amico».
«Tu hai qualcosa che non va in quella testa bacata! Oggi è un giorno di festa!».
«Per te, forse», ribatto facendo spallucce. Non ho più voglia di continuare questa conversazione.
Silvio non insiste, anche perché è reclamato dagli altri ospiti che vogliono coprirlo di baci e strofinarsi addosso alla sposa come fosse una reliquia della Madonna di Pompei da cui attendere miracoli. Le zitelle già stanno adocchiando il bouquet. Patetiche!
Un dito deciso mi picchietta la spalla. Girandomi, non vedo nessuno di fronte a me. Ma che…? Oh, sì, devo guardare in basso. Parecchio in basso.
La donna-tappo che mi ha artigliato la spalla è al di sotto del mio campo visivo.
Brandisce il confetto come un’arma non convenzionale.
«Avresti potuto accecarmi con questo coso!», esclama con la voce ricolma di astio.
La osservo bene. È bionda, ma è l’unica caratteristica di pregio: per il resto, oltre a essere bassa, è piuttosto in carne e ha un viso anonimo. Per di più è occhialuta e… un momento, cos’è quello?
Noto che la lente destra è incrinata e le dà un aspetto vagamente da nerd.
«Sei abituata ad andare in giro con occhiali così malmessi?», osservo con disgusto. Se c’è una cosa che non sopporto in una ragazza è la sciatteria. Non mi piacciono le donne poco curate. Non che questa sia il mio tipo. Non si avvicina nemmeno lontanamente al mio tipo.
«Fai anche lo spiritoso? Sei tu che mi hai distrutto gli occhiali!».
Cerco di mantenere un’espressione serafica, senza muovere un muscolo, ed è davvero difficile perché vorrei scoppiarle a ridere in faccia.
«Secondo te sarei un mago? Come avrei fatto a romperti gli occhiali senza nemmeno toccarli?»
«Con un maledetto confetto, ecco come!».
La ragazza è diventata parecchio rossa, il che rende il suo aspetto ancora più sgradevole. Le scocco il mio sorriso da mascalzone. Ma sì, un po’ di gioia anche per lei. Oggi mi sento buono.
«Spiacente, ma credo che tu ti stia sbagliando».
«No che non mi sbaglio!».
«E io ti dico di sì», sbotto allontanandomi. La conversazione comincia a farsi noiosa per i miei gusti. Io non parlo mai con donne bruttine. Anzi, io non parlo mai con le donne e basta. Mi limito a farle parlare, o meglio a far loro invocare tutto il calendario mentre sono sotto di me. Sono un talento naturale, in questo.
«Ehi, tu», continua il tappo, spingendomi a girarmi di nuovo.
Alzo gli occhi al cielo. Che male ho fatto per meritare questa punizione? Non mi pare di essere tanto cattivo.
Un tuono in lontananza sembra voler smentire questo mio pensiero blasfemo. Anche il cielo, oggi, si prende gioco di me.
«Cosa c’è?».
Non nascondo il mio tono condiscendente. Ho già perso troppo tempo con questa… questa… questa qua.
«Una persona educata chiederebbe scusa e si offrirebbe di riparare il danno».
Trattengo a stento una risata. «Be’, orgoglioso di non essere una persona educata, bambola».
“Bambola”? Oddio, l’ho sparata grossa. Bambola da rigattiere, forse.
«Bambola… a me?», sibila. Sembra quasi offesa.
«Guarda che era un complimento», le faccio notare. Cose da pazzi. Si offende pure. Quando le ricapita?
«Sei un cafone!».
Non è certo la cosa peggiore che mi abbiano detto. Non sono per nulla offeso.
«Me ne farò una ragione», concludo voltandomi.
Ci mancava solo questa!
Sto festeggiando il giorno in cui il mio migliore amico perde la libertà, e già questo è un controsenso. Devo far finta di divertirmi e, come se non bastasse, devo anche tollerare la vicinanza di improbabili esemplari femminili.
Quella bionda è davvero inquietante. Meglio mettere più distanza possibile tra me e lei. Non vorrei che fosse una di quelle che ai matrimoni va a caccia.
Non c’è niente da cacciare, carina. Non sei proprio il mio tipo.
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Spiacente, non sei il mio tipo [Estratto]
ChickLitprimi due capitoli del mio romanzo editi Newton Compton Descrizione Lo vorrai rileggere altre mille volte Romantico, ironico e sorprendente Sara e Teo non potrebbero essere più diversi. Lei lavora come ricercatrice all’università, lui è un figlio...