Love Chat| CAPITOLO 1

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I suoi occhi brillavano di un azzurro intenso,
come le profondità dell'oceano,
bagnati da lacrime amare che scendevano lentamente sulla sua guancia rosacea. Era pur sempre un bambino.
La guancia destra arrossata gli andava a fuoco, come un tatuaggio si estendeva il marchio rossastro della mano di colui che l'aveva procreato. Non riusciva a sopportare le urla e gli schiamazzi dei suoi genitori, piangeva perché non aveva idea di cosa fare, si sentiva inutile e impotente. Le urla emanate dal suo gracile e minuscolo corpicino non bastavano a fermare quella bestia feroce. Picchiava sua madre con una rabbia disumana e lui era lì, fermo, guardando la fronte della povera madre -colei che donò se stessa per accudirlo- sanguinare. Le lacrime si mischiavano a quell'inferno rosso dandogli lucentezza,
come perle dipinte di rosso.
Lui rimaneva fermo, immobile aspettando una fine.
Quell'agonia ebbe una fine.
I fari della polizia, colorarono la parete bianca della cucina, già dipinta da strisce rosse. Le minacce di quell'uomo riecheggiavano nelle orecchie del piccolo Mario. Non gli davano pace.
Ancora all'età di sedici anni poteva sentire le sue parole nitide attraversare le sue cavità uditive, prima di andare a dormire o durante una gara di nuoto.
Quelle parole tormentavano il ragazzo perché erano rivolte a lui. Quel mostro odiava suo figlio, e come possiamo biasimarlo? Un essere uscito dalla pancia della sua lurida amante. Una sporca puttana accalappiata, grazie al suo fascino, in una discoteca tre anni prima.
Uno sbaglio della natura. Un peso sulle spalle.
Lui aveva già una famiglia, non poteva lasciare tutto -il lavoro, sua moglie, i suoi due bambini- per un errore come Mario.
E lui giurò vendetta nei confronti di quella donna, giurò di tornare e di uccidere con tutta la forza che aveva in corpo quella punizione di Dio. Quell'errore del peccato. Suo figlio.
E lui piangeva vedendo la madre, la sua cara mammina, portata via su una barella da pronto soccorso.
Colei che, invece, aveva dato tutto: tutto il suo amore, il suo tempo, i suoi risparmi per l'università, tutto per suo figlio. La sua ragione di vita.
Gli assistenti sociali minacciarono quella donna di sottrargli suo figlio, l'unica cosa, l'unico bene che gli era rimasto.
Ma grazie a Dio questo non accadde mai.
Lei riuscì a trovare lavoro come cameriera in una tavola calda lontana dalla sua città natale, affinché il suo passato restasse lontano da ciò che avrebbe voluto diventasse un nuovo inizio.
Andare avanti, a vent'anni  -con un figlio di due anni- è difficile, ma lei ci riuscì. L'amore che provava per Mario era più forte di quelle stupide minacce di morte, di quelle forti percorse e di una cicatrice che gli percorreva metà volto, come un tatuaggio.
Tutto questo solo per Mario, e lui non lo dimenticherà mai.
Qualche anno dopo, lessero sul giornale la fuga di un pericoloso carcerato trovato morto sulle sponde di un lago adiacente alla vecchia abitazione della donna.
Si dice essere morto per mano di un pirata stradale che, guarda il caso, guidava ubriaco in quelle vicinanze travolgendo il "pover'uomo" che camminava lungo la strada di fronte al laghetto.
Le paure cessarono, ma le ferite dell'anima rimasero nel cuore di quella piccola famiglia distrutta da un uomo.

<A cosa stai pensando?> Gli chiese Sonia che sedeva di fronte a lui.
<A quanto ho speso per una stupida giacca di pelle.> Rispose Mario, ovviamente mentendo. L'unica cosa che Sonia non era a conoscenza sul suo conto, era il suo passato.
<Nessuno ti ha obbligato a comprarla, idota.> Gli rimproverò lei, sorseggiando dalla cannuccia di carta il suo frappè al gusto di fragola chimica, faceva schifo, ma allo stesso tempo univa quei due ragazzi seduti a un tavolo del primo bar che trovarono all'interno dell'immenso centro commerciale. <Ascolta, che ne dici se camminassimo un po', magari incontriamo Luca!> Ammiccò con fare perverso.
<Chi ti da tutta questa sicurezza di incontrarlo? Magari semplicemente non è qui, a volte mi spaventi.> Gli rispose sorseggiando il suo frappè al cioccolato che era nettamente migliore di quella schifezza alla fragola.
<Fidati di me.> Disse alzandosi di scatto e trascinando l'amico fuori da quel piccolo bar.

E così fù.
Camminando per, circa, mezz'ora incrociarono Luca -che ormai, agli occhi dei due amici, non era altro che una statua greca scolpita su marmo- mentre parlava con due ragazze abbastanza alte, entrambe bionde, vestite in modo succinto. Mentre al suo fianco si reggeva un'altra ragazza, nettamente più bassa con lunghi capelli rossi, che osservava le due con fare minaccioso.
I due amici si sedettero su una panchina che permetteva loro una magnifica visuale dritta su Luca.
<Mi spieghi come hai fatto?> Disse Mario quasi spaventato.
<È proprio bono.> Esplicò Sonia appoggiando la testa sulla spalliera della panchina, in modo abbastanza maschiaccio, assolutamente in contrasto col suo outfit da 'brava ragazza'. Ovviamente ignorando le parole del suo amico.
<Bono ma etero, quindi inutile.> Replicò Mario alzando quei bellissimi occhi azzurri fino al cielo.
<Sei troppo pessimista. Invece secondo me gli piaci. L'altra sera, quando stavamo in discoteca con Maria e Lucrezia, non ti scollava gli occhi di dosso. Al posto tuo ci proverei!> Disse dandogli una piccola spinta sulla spalla.
<Sarà, ma rimane comunque ben lontano dai miei standard, almeno mentalmente.> Replicò.
<Non ci hai nemmeno mai parlato, ti basi troppo sulle apparenze. Almeno parlaci.>
<E se si scopre omofobo?>
<E se invece si scopre gay?> Disse lei ridendo.
<Hai rotto i coglioni, andiamocene, ho bisogno di lavarmi, quel tuo stupido frappè mi ha macchiato la felpa.> Rispose alzandosi dalla panchina di ferro.
Sonia però notò bene lo sguardo di Luca, ancora una volta non abbassava un occhio alla visione di Mario, e a quella scena lei sogghignò, per poi seguire il suo amico verso la macchina nera.

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