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...Si avvicina e mi chiede
"Non hai freddo?"
"No, no, sto bene" Rispondo, anche se non è vero.
Si avvicina sempre di più e cerco di asciugarmi le lacrime il più velocemente possibile, riesco a vederlo meglio, ha un volto già visto anche se non capisco dove lo abbia già visto.
"Invece hai freddo" dice, appoggiandomi la giacca alle spalle.
"Grazie ma non la voglio la tua giacca, chi sei?" Gli dico, alquanto scazzata, mentre la tolgo.
"Se non la metti tu rimarrà lì per terra" Dice facendomi un sorriso di sfida.
Così decido di indossarla. Di solito non lo avrei mai e poi mai fatto, ma sto veramente gelando.
"Meglio?" Mi chiede in un tono più serio di quello precedente.
Annuisco, senza dargli la soddisfazione della risposta.
Cosi lui si siede affianco a me, a poco meno di un metro di distanza.
Dopo qualche minuto di silenzio gli richiedo:
"Chi sei?" continuando a guardare il pavimento.
"Mi chiamo Justin." Dice, girando la testa verso di me, nonostante questo continuo a non guardarlo.
Ora ho capito chi è, lo avevo intuito già dal suo mancato senso d'ironia e da quella voce fastidiosa, e il mito che è riuscito a discutere con la vice preside sin dal primo giorno.
"Ahh, ho capito chi sei, il nuovo Kenn della scuola, giusto?" Gli dico, facendo spiccare il mio tono ironico.
"Così dicono." Risponde, ridendo.
Rido anch'io, anche se mi ricompongo subito per non farglielo notare.
"Tu invece, chi sei?" Mi chiede.
"Che ci fai qui?" Cerco di raggirargli un'altra domanda, sperando che non se ne accorga vista la sua grande autostima in se stesso. Sicuramente amerà parlare di se, figuriamoci.
"Ero alla festa di una ragazza della scuola" - Ecco, avevo ragione - "ma avevo bisogno di stare un po' per conto mio per cui ho deciso di farmi un giro e sono capitato qui." Finisce la frase.
Mi ero completamente scordata di quella stupida festa. Ma se lui era lì che ore sono.
"Che ore sono?" Gli chiedo spedita, per poi rendermi conto di quanto sembri stupida questa domanda.
"Non ce lo hai un telefono?" Mi chiede in tono sarcastico.
A questo punto gli degno del mio primo sguardo girando completamente la testa.
"Simpatico. L'ho lasciato a casa." Controbatto.
"Che cos'hai sul viso, hai pianto?" Mi chiede appoggiando la mano sul mio volto ed ignorando la mia domanda sull'ora.
Appena la sua mano tocca il mio viso mi scanso all'indietro, senza nemmeno farlo a posta, ho sviluppato un riflesso.
"Che cos'hai?" Mi chiede, sembra stranamente preoccupato.
"Niente." Dico alzandomi.
"Puoi dirmi che ore sono?" Richiedo per la terza volta.
"Prima dimmi che cosa hai." Alza il tono della voce.
"Cosa vuoi tu, nemmeno mi conosci e fai il finto preoccupato. Non ho bisogno di te come non ho bisogno di nessun'altro nella mia fottutissima vita. Fammi il piacere di dirmi che ore sono e di andartene." Urlo, forse ho esagerato.
"Mi sto solamente preoccupando per te e questo non significa che io voglia far parte della tua vita." Mormora in un tono insolitamente basso.
Queste sue parole, senza saperne la motivazione, mi feriscono. Provo a non pensarci e rimango zitta."
"Sono le due e trenta quattro del mattino." Dice, girandosi verso il lato dal quale era provenuto, e andandosene lasciandomi li, sola.
Ho ottenuto ciò che volevo, no? Se ne è andato, già.
Mentre lo guardo andarsene via, noto la mia capacità immensa nel farmi abbandonare dalle persone. Ci sono sempre riuscita e sto continuando a riuscirci. Nessuno fin'ora è mai rimasto con me, nemmeno Matt, nemmeno lui.
Ricomincio a camminare verso casa, persa nei miei soliti pensieri.
...
Il rumore assordante della mia sveglia suona senza ritengo. La spengo, mi alzo, e comincio a camminare verso il bagno. Mi guardo allo specchio e ricordo di ciò che successe ieri.
"Ma oggi è Sabato" dico ad alta voce correndo verso il mio cellulare. Guardo, è Sabato.
Mi sono scordata di togliere la sveglia che uso durante i giorni di scuola, per cui sono le 7:10 e sono già sveglia. Guardo fuori ed il cielo sta cominciando a svegliarsi anche lui.
Non riuscendo a riaddormentarmi decido di scendere al piano di sotto ed entrare in cucina.
Apro il frigorifero, prendo il latte, faccio un caffè e prendo qualche biscotto dalla dispensa.
Mia madre è già uscita, fortunatamente il sabato comincia il turno alle sei del mattino. Sinceramente non so come faccia ad essere già in piedi a quell'ora perfino il Sabato.
Esco sul portico con il mio caffè latte e mi siedo sulle scale per accendermi una sigaretta.
Ho il solito maglione che ormai mi fa da pigiama che mi copre le cosce, per cui ho solamente la parte inferiore delle gambe scoperta. Tengo le ginocchia strette e comincio ad aspirare in attesa di quella magnifica sensazione di rilassamento.
...
Arriva l'ora di pranzo e nemmeno me ne accorgo, passando la mattina a studiare è volato il tempo.
Così decido di andarmi a prendere un panino nel mio bar preferito in centro. Sono circa quattro chilometri di strada e decido di prendere la bici.
Telefono, cuffie, qualche canzone di sottofondo ed inizio a pedalare.
Passo di fianco a molte strade tra cui quella di ieri sera, in cui avvenne l'incontro con Justin. Ripenso alla sua mano sul mio volto e a quella sensazione strana, così dannatamente strana. Continuo a pedalare e passo affianco alla casa di Margot, che sarà sicuramente sfasciata dopo la festa di ieri sera.
Dopo una centinaia di metri arrivo presso un parco che decido di attraversare per fare prima.
Comincio ad osservare le persone che passeggiano, la maggior parte insieme a bambini.
Vedo molte coppie sedute sulle panchine, già di prima mattina a sbaciucchiarsi.
Che schifo. Io il sabato mattina preferirei passarlo a letto sinceramente. E con mattina intendo tutto ciò che avviene prima delle tre del pomeriggio.
Ad un certo punto vedo una ragazza con una minigonna rosa ed una maglietta trasparente sopra, che lascia un visto non visto ad un reggiseno bianco in pizzo, con dei capelli lunghi e ricci biondi che le coprono mezza schiena in piedi di fianco ad un ragazzo alto, con i capelli di un colore castano scuro.
Li fisso per un po' finché riconosco il viso della ragazza, è Margot. Cerco di identificare il ragazzo ma la mia miopia in questi casi non aiuta.
Sto per superarli quando ad un certo punto mi giro e vedo Margot prendere il ragazzo e baciarlo. Lui alza lo sguardo e così lo riconosco, è Justin.
Presa dal bacio, non presto attenzione al manubrio, ne tanto meno alla strada e finisco per sbattere ritrovandomi con la faccia su dei sassi.

Spazio autrice:
Trovo che questo capitolo sia alquanto noioso, però giuro che stanno per arrivare tanti colpi di scena che vi lasceranno con molto suspence! Grazie alle persone che stanno continuando a seguirmi e a leggere ciò che scrivo.

Ti ho amato, davvero.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora