Capitolo 2

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Mi sveglio in una pozza di sudore, strattonata da mani troppo delicate per farmi male, ma abbastanza motivate da riscuotermi dal sonno. Mi trascinano via da altre braccia, massicce e impetuose, che spingono sul mio collo e non mi permettono di gridare, implorare o respirare. <<Emma, è solo un brutto sogno>> sussurra, e basta la voce della mia migliore amica a calmarmi. <<Come ti senti?>> sento domandare, ma i miei pensieri sono proiettati altrove e il suono della sua voce mi sembra quasi un rumore lontano. Quegli occhi glaciali mi perseguitano e mi sembra di averli davanti anche ora. <<Scappavo da un’ ombra. Vedevo solo una sagoma rincorrermi, ma sapevo che era lui. Per quanto mi sforzassi per correre veloce non riuscivo a seminarlo e quando credevo di esserci riuscita tornavo nel posto dove è cominciato il sogno, questa casa, e lui era ogni dannata volta sopra di me, i sui capelli biondi, bagnati di sudore, sul mio petto nudo e le sue mani attorno al mio collo. E stringeva….>> riprendo fiato, interrompendo per un attimo il vomito di parole <<Rideva e faceva male…>> scoppio a piangere, i singhiozzi spasmatici quasi non mi permettono di respirare. La mia migliore amica mi abbraccia e inspira profondamente, dopo avermi detto di seguire quello stesso ritmo.

Il professore guardava contrariato ormai da cinque minuti il mio braccio rotto. Mi aveva chiesto di rimanere dopo la lezione per avere delle spiegazioni <<Le ripeto che era buio e che nella mia folle corsa verso il bagno ho preso in pieno la mensola.>> ruppi il silenzio, esasperata. <<La settimana scorsa era la porta di casa. Stai mentendo a me o a te stessa? Perché accetti che ti metta le mani addosso?>> era sinceramente preoccupato, ma io non ero abbastanza lucida per capirlo. O forse mi convenne, in quel momento, prendermela con il mio interlocutore per essersi intromesso nella mia vita piuttosto che con me stessa. <<Lui non è violento>> risposi dura <<non so perché lei sia arrivato a questa assurda conclusione, ma le assicuro che vaneggia>> non fui fredda come avrei voluto, anzi faticai addirittura a guardarlo negli occhi. <<Siamo esseri umani, in fondo. Mentiamo per natura, ogni giorno, e siamo così bravi da convincere gli altri e noi stessi>> da un insegnante di filosofia non potevo aspettarmi un approccio diverso al problema. <<Cosa intende?>> chiesi d’impulso, dimenticando per un attimo che quella che stava avvenendo era una ramanzina e non una lezione. La risposta non tardò ad arrivare <<Che per non sbugiardarci a volte preferiamo non guardarci dentro. Tu come ti senti?>> pensai che mi stesse prendendo per i fondelli. Chi si credeva di essere? Il mio psicoterapeuta? <<Bene. Lo amo e sono felice con lui>> mi interruppe immediatamente <<Non ti ho chiesto la frase standard che propini a tutti gli altri. TU come ti senti? Amata? Maltrattata? O forse gli sei troppo fedele per rispondermi?!>>, mi sentii braccata ed esplosi in una perfetta dimostrazione di logorrea di stadio avanzato <<Io non riesco ad andarmene, a lasciarlo solo con i suoi demoni. Capita che sia di cattivo umore, ma la maggior parte delle volte è l’uomo più dolce del mondo, mi rende davvero felice. Stiamo insieme h24 ed è diventato la mia unica ragione di vita. Io non voglio lasciarlo perché sono qualcosa solo con lui, senza non esisterei, sarei il nulla. Non stare con Giorgio farebbe più male delle percosse>>. Non rispose. Mi guardò con compassione e fece scivolare un bigliettino da visita nella tasca della mia giacca <<Chiamala.>> disse semplicemente ed io non potei fare altro che annuire.
Mi ci vollero settimane per decidere di chiamare quel numero. Inizialmente non ero disposta a vedere una strizzacervelli che, sicuramente, come il professor Fiore, non avrebbe capito l’amore che univa me e Giorgio o, peggio, lo avrebbe condannato. Fu una decisione sofferta quella di prenotare una seduta ma, in un momento di debolezza, decisi che avevo bisogno di aprirmi con qualcuno. Ogni volta che l’uomo che amavo sfogava la sua rabbia su di me  mi sentivo sempre più annientata, benché il mio amore non accennasse a diminuire. Il mio era un sentimento irrazionale e cieco, è vero, ma questo non implica che non soffrissi. Anche se non volevo ammetterlo davanti ad altri, stavo malissimo. Ed il dolore più grande non era fisico, ma psicologico: la consapevolezza di amare il proprio aguzzino stava per uccidermi, letteralmente. Ho pensato più di una volta di farla finita, ma il pensiero del dolore che avrei dato alla mia famiglia, alla mia sorellina, era più spaventoso dell’incubo in cui vivevo, delle catene che io stessa avevo accettato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 19, 2019 ⏰

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