Pov. Jungkook
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Pioggia.
È tutto ciò che riempie questa giornata fredda, monotona, di un pomeriggio di settembre. Forse la su qualcuno sta versando lacrime copiose, osservando i suoi amati che gli sono stati strappati via da una forza violenta, deleteria. O per chi non ci crede è solo acqua, troppo pesante per essere contenuta in quei grandi batuffoli di vapore, la quale viene lasciata cadere in un modo quasi liberatorio, facendola annullare sul suolo.L'infisso della mia stanza, l'unico che illumina questo piccolo abitacolo ormai consumato e senza vita, è appannato a causa dell'aria gelida che, come se fosse un fenomeno imponente, si appropria della visione sulla foresta, facendomi scorgere solo le minuscole goccioline di acqua che scivolano su di esso.
Spifferi di vento riescono ad intrufolarsi dalle giunture,veloci come un treno in corsa, scalfiscono la pelle gentilmente, facendomi rabbrividire.Mi alzo controvoglia dal letto, le molle scricchiolano e, quando il mio corpo caldo entra a contatto con il pavimento freddo della stanza, ritiro subito le gambe, come se ci fosse un pericolo pronto a sopraffarmi.
Odio il clima di questa città, così noioso ma allo stesso tempo complesso.
Potrei passare giornate intere a fissare gli arbusti e i maestosi abeti, di un colore così tetro ma anche vivace, perdendomi nei miei pensieri, come se fossero sentieri senza fine, come se un'agonia mi inseguisse con insistenza e si fosse legata alla mia anima.Finalmente la pianta dei miei piedi si è abituata alla temperatura, mi alzo lentamente, come se il tempo si fosse fermato, mi dirigo verso la mia scrivania in legno chiaro, posizionata alla sinistra del letto e apro il piccolo cassetto di cui è dotata.
Avvolgo il pomello in ceramica con la mano e tiro delicatamente, come se si potesse rompere da un momento all'altro.Sapete, sono una di quelle persone che rimane legata ai ricordi, come se catene di un materiale indissolubile fossero avvolte alle mie caviglie. Lascio che il passato mi scavi l'anima, la mente, non riesco a liberarmi di ciò che è stato e che non sarà mai più.
Sulla superficie vecchia del cassetto intravedo un foglietto spieghettato allegato ad una foto, che troppe volte al giorno tendo a rileggere e osservare, ad annusare la sua fragranza e a passare le mie dita affusolate sulle parole scritte con inchiostro nero come la pece, una calligrafia elegante e fin troppo conosciuta. Mia madre.
Avvicino le mie mani tremolanti a quegli oggetti preziosi, e con cautela li estraggo da quella scatola di legno che gli fa da custode ogni volta che li ripongo al suo interno.
Osservo la foto, i colori ancora perfettamente vividi, i volti della mia famiglia impressi su quel pezzo di carta lucido.
I tre soggetti paiono felici e spensierati, posti in ordine di altezza, forse per casualità, o forse intenzionalmente; le due figure adulte hanno le mani perfettamente combacianti, come due pezzi di puzzle complementari, e la mano della donna è unita a quella del ragazzino di 7 anni, che sorride alla madre ingenuamente, lo sguardo incatenato al suo, la testolina all'insù per la differenza di altezza.Passo lentamente le dita sulla mia figura da bambino, non tocco la patina collosa della foto per evitare di rovinare la superficie: ripasso i contorni di quel sorriso sincero, poi passo alla figura materna. Mi soffermo sul suo sorriso smagliante da giovane donna in carriera, la quale dava e riceveva amore, si prendeva cura della sua casa, e per casa intendo i suoi cari.
Mio padre la guarda con fierezza, un messaggio di orgoglio sembra uscire da quel suo volto disteso e tranquillo, senza segni di vecchiaia e stanchezza.
Gli occhi si rivestono di una patina e la mia vista si appanna come se ora io fossi il vetro della stanza e le gocce di pioggia rappresentassero la mia afflizione.All'improvviso il suono di passi veloci e sicuri si diramano nel corridoio, il pavimento malandato scricchiola impercettibilmente.
Ripongo le foto nel cassetto, chiudendolo.
Passo poi il dorso della mano destra sugli occhi, impedendo al dolore di sovrastarmi, tiro su con il naso, come un bambino con il raffreddore e passo una mano tra i miei capelli castani per dargli un minimo di ordine.
I passi si bloccano bruscamente davanti alla mia porta, so già cosa succederà nel giro dei prossimi due minuti.Una leggera pressione sul battente in legno si propaga nell'aria, qualcuno sta bussando alla mia porta, credendo che con il suo fare gentile io non potessi infastidirmi. Con passo sicuro e le braccia serrate ai lati dei mie fianchi, mi dirigo verso la provenienza del suono. Prendo un respiro profondo, la gola prende a bruciare leggermente, poi, con cautela abbasso la maniglia, mostrando così la figura davanti a me.
"Jeon Jungkook - gracchia la proprietaria dell'orfanotrofio con un'espressione corrucciata che mette in mostra le rughe del suo volto- c'è una potenziale famiglia che vorrebbe conoscerti. È già di sotto, cerca di prendere questa occasione al volo. Ormai sono 9 anni che occupi questa stanza, l'anno prossimo dovrai necessariamente andare da qualche altra parte visto che sarai maggiorenne, quindi vedi di non combinare casini questa volta!"La fisso con fare annoiato e consapevole del fatto che quella situazione si è ripetuta almeno una cinquantina di volta nel corso degli anni. Sempre lo stesso tono sfacciato, la stessa superbia e lo stesso sguardo indignato.
"Va bene." dico io, apatico ma dentro di me sollevato dal fatto che, forse questa volta sarà quella giusta.
"Muoviti e seguimi" risponde lei incominciando ad incamminarsi verso la fine del corridoio.Socchiudo velocemente la porta, e con due falcate la raggiungo, seguendola giù per le scale. Certo, presentarmi davanti a degli sconosciuti con una misera tuta grigia e oversize, può sembrare un atteggiamento da menefreghista, di qualcuno che non aspettava quell'incontro, di qualcuno che ormai aveva perduto ogni speranza. E forse, in cuor mio, un piccolo frammento la pensa allo stesso modo.
L'ansia cresce, i polmoni si riempiono e si svuotano d'aria in maniera opprimente, il cuore batte eccitato, le dita delle mani si incrociano nervosamente.
È arrivato il mio momento di felicità?
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xoxo, yoonhyuqn
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**•̩̩͙✩•̩̩͙*˚LIGHTEN GLOOM˚*•̩̩͙✩•̩̩͙*˚* //taekook
Fanfiction"E se sprofondassi nuovamente nell'oscurità?" pronuncia flebilmente. "Il buio non ti appartiene, Jungkook, guarda quegli occhi" mi accarezza la guancia delicatamente. "Così luminosi, sognanti, desiderosi. Così veri.." continua a cullarmi con le su...