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        CINQUE ANNI DOPO, FRA LA GRECIA E L'ITALIA

La prima imaggine che ho dell'Italia è un immagine capovolta. Ho tredici anni e sono aggrappato da più di venti ore con le gambe e le braccia alla pancia di un tir, una grossa pancia poco accogliente fatta di tubi, ganci, bulloni e circuiti elettrici che stando qui sotto inizio a conoscere a cui chiedo di aiutarmi in tutte queste ore di attesa. Mi ci nascondo al porto di patrasso in grecia dopo settimane di appostamenti, di va e vieni fra il mare e una tendopoli che altri afghani come me hanno allestito propio come campo base prima di salpare clandestinamente verso l'Italia. L'Italia, l'Italia, quando saremo in italia, dobbiamo arrivare in italia. Tutti parlano dell'Italia. È da qualche minuto che ho sentito il traghetto prima rallentare, poi iniziare le manovre di attracco. Sto cominciando a riconoscerne la voce:corde, ferro, stridii, motori all'indietro. Alcuni dipendenti della compagnia navale si avvicinano alle ruote del mio camion, sono nascosto bene, non mi vedono e si limitano a staccare le  catene con cui lhanno fissato al pavimento. È una bestia enorme e pesante, bisogna che non sbandi, che non si muova, deve essere addomesticata a tutti i costi. Ho dolori ovunque ma per un attimo sono riconoscente a questa cigolante balena che mi ha accolto nella sua pancia.

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