16. LA FESTA

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«Non sei ancora pronta? Ma hai visto che ore sono?»

«Non mi importa dell'ora, tanto io non ho intenzione di venire, te l'ho detto prima al telefono».

«Non accetto scuse, forza, scendi da questo letto e datti una sistemata!»

Era sabato sera. Vilma era salita da me con indosso una mini e una camicetta bianca senza maniche. Aveva ancora l'abbronzatura ben marcata sulla pelle e l'odore di crema alle mandorle dolci che utilizzava dopo la doccia. Era venuta per trascinarmi alla festa a casa di Franco Ricciardi, un nostro compagno di classe. La mia voglia di partecipare a una festa però in quel momento era pari a zero. Avevo acceso lo stereo e sparato al massimo una vecchia cassetta di Raf che parlava di amori perduti, lontani, irraggiungibili. Indossavo un altrettanto vecchio pigiama con la stampa di tanti piccoli coniglietti e avevo la frangia tirata indietro con una grande pinza di plastica.

«Greta, ascolta, non puoi continuare a tormentarti in questo modo, quello che è accaduto a Marco è atroce, ma la vita deve andare avanti», sparò a bruciapelo Vilma, premendo il tasto di stop sul registratore.

Incrociai le braccia al petto, risentita. «Quindi cosa dovrei fare? Uscire come se niente fosse? Come se Marco fosse sempre lo stesso Marco e non un ragazzo costretto su una sedia a rotelle per il resto dei suoi giorni?»

«Invece stare chiusa dentro una stanza a rimuginare sulle cose successe è molto utile», constatò lei, battendo un piede a terra. Portava un paio di ballerine di pelle che probabilmente erano della madre.

Rivolsi lo sguardo alla parete opposta. «Non ho voglia di vedere gente, non ho voglia di vedere nessuno». Con la coda dell'occhio vidi Vilma accedere al mio armadio, frugare animatamente e alla fine tirare fuori il paio di jeans più carini che possedevo.

«Non puoi continuare a piangerti addosso, devi reagire. E questo non è un consiglio, ma un ordine. Tu adesso indossi questa roba e vieni alla festa con me». Mi lanciò i pantaloni sul letto, seguiti da una maglietta.

«Non voglio».

«Senti, Greta, so quanto tu stia male, conosco i casini che ti frullano dentro la testa. Li conosco come se frullassero dentro la mia, ma questa sera non ti lascerò qui a disperarti. Se Marco ha bisogno di stare da solo è giusto che tu gli conceda il suo spazio. E se non sei capace di dirgli di te e David non ci vedo niente di male, vuol dire che non sei pronta per farlo, che non è il momento migliore», affermò, sedendosi al mio fianco.

«No, non è vero. I segreti non sono mai giusti», obiettai.

«A volte i segreti si mantengono a fin di bene».

«Odio i segreti. Li detesto». Piagnucolai.

«Anche io, ma in fondo si tratta soltanto di tempo, quello necessario perché Marco possa riprendersi e affrontare di nuovo le cose che gli succedono intorno. Lo stai proteggendo, non gli stai facendo del male».

Vilma cercava di rassicurarmi, lo faceva continuamente, sia che si trattasse di David e della sua ormai conclamata scomparsa, visto che nemmeno quel fine settimana aveva fatto ritorno, sia per tutta la vicenda di Marco, e io mi ritrovavo a sfogarmi con lei, utilizzandola da cuscinetto ammortizzatore per il dolore.

«Lo sto proteggendo da cosa? Dalla sua migliore amica?» sbottai.

«Oh, Greta, perché sei così dura con te stessa?»

«Perché io non vorrei mai che qualcuno a cui voglio molto bene mi mentisse...»

Vilma si sistemò i capelli dietro le orecchie, sfuggendo al mio sguardo.

TI VEDO SCRITTA SU TUTTI I MURIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora