Prologo

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Il suo ultimo sospiro mi riecheggiava nella testa come il ronzio di qualcosa che non funziona ma che continua a farsi sentire. La mia anima era morta con quel suo ultimo gesto ma io ero ancora lì. Osservavo il suo sguardo ormai spento,privo di vita che aveva rivolto per l'ultima volta a me. Aveva ancora un lieve sorriso accennato sul volto che lo faceva sembrare in pace con il mondo. Peccato che adesso il mondo non lo avrebbe più rivisto.

Vedevo la mia mano che contro la mia volontà vagava sopra il suo corpo per scorgere un piccolissimo segno di vita, che ero consapevole non ci fosse ormai più. La mia mente si era già arresa all'idea di aver perso una parte di sé ma il mio corpo era scosso da fremiti e convulsioni e cercava in ogni modo possibile di sentire ancora una volta il suo sospiro: quello che si era lasciato sfuggire quando sapeva con certezza che io sarei sopravvissuta. La sua vita aveva abbandonato quel corpo familiare e sicuro e la colpa era solo mia. La mia colpa è stata nascere. La mia colpa è stata vivere. Sarei dovuta morire al suo posto perché adesso non c'è più alcun motivo per continuare a lottare contro quella che sono e contro di loro. Contro coloro che lo hanno ucciso.

Le lacrime cominciarono a scendere implacabili come la pioggia di novembre che ti lascia un vuoto dentro. Quel vuoto glaciale e opprimente che ti fa sentire il nulla assoluto. In quel momento ero il nulla senza di lui.

Avvicinai le mani tremanti al suo viso e con le dita sfiorai ogni centimetro della sua pelle come per imprimerlo nella mente e non dimenticarlo mai. Mi soffermai sugli occhi spalancati e freddi che continuavano a fissarmi ancora carichi di una lieve dolcezza, li sfiorai e con delicatezza abbassai le sue palpebre così che lui non potesse vedermi così: distrutta.

Gli accarezzai nostalgica i capelli castano scuro che sotto il mio tocco risultarono setosi e morbidi. Accennai un sorriso pensando che soltanto lui poteva essere perfetto in ogni situazione, anche nelle situazioni più tragiche lui era sempre impeccabile e bellissimo.

Quello che ci era successo non si può definire sfortuna o destino; io lo chiamo tortura.

I ricordi del dolore che entrambi avevamo subito si fece strada scavando con artigli avvelenati dentro le mie ossa. Brividi e fitte di terrore mi ritornarono nella memoria provocandomi un tic incontrollabile sulla palpebra destra. Era troppo da sopportare da sola. Troppo anche per una come me che il dolore lo aveva sempre represso senza lasciarsi sfuggire mai un grido. Ma tutto aveva un limite e vedere la persona che ami più al mondo ,senza vita vicino alle tue gambe martoriate.... Era impossibile da sopportare.

Decisi di guardarmi intorno per assicurarmi che anche lui fosse morto ,ma quando mi girai il pavimento era vuoto.

Le chiazze del suo sangue si stavano ancora espandendo sul suolo sporco e spezzato della cantina ma il suo corpo non c'era.

Il panico mi assalì all'improvviso e una scarica di adrenalina riaccese i muscoli che pensavo troppo stanchi anche solo per parlare, così raccolsi da terra quell'attizzatoio con cui mio fratello era stato ripetutamente ferito ed infine ucciso. Osservai il sangue appiccicato alla sua punta arrugginita e tagliente e un'altra lacrima sfuggì al mio controllo. Tutto mi sembrava allo stesso tempo cosi irreale e mostruosamente palpabile. Guardai un'ultima volta il viso di colui che avrei dovuto considerare mio fratello.

- Per noi. Lo farò per noi-

Quel mormorio era quasi un sussurro debole e roco che sostituiva tutto quello che avrei voluto dirgli. Tutto l'amore che provavo nei suoi confronti racchiuso in una stupida e insignificante frase. Ero davvero messa così male da non poter esprimere quello che avevo dentro?

Con un groppo in gola e le ferite ancora aperte che ricominciarono a pulsare, mi alzai faticosamente e un dolore agonizzante alla gamba sinistra mi fece capire che non avrei camminato così facilmente.

Cominciai a zoppicare verso il punto in cui la larga pozza color magenta si allargava a dismisura; cercavo tracce di quell'uomo che mi era stato accanto per tutti questi anni.

Delle strisce irregolari di sangue si dirigevano nella stanza dove si conservavano i vecchi cimeli di famiglia: quadri ormai consumati, diari ingialliti dal tempo, vasi rotti e giochi vecchi di decenni. A quella lista presto si sarebbe aggiunto un altro cimelio della nostra famiglia. E quella non ero io.

Avanzai con molta difficoltà verso quell'ala della cantina sperando che non fosse andato troppo lontano e, per una volta nella vita, la fortuna era dalla mia parte.

Lui era sdraiato a pochi metri da me e respirava a fatica mentre si teneva una mano insanguinata sul fianco, da cui sgorgavano gocce rosse che si depositavano a terra formando un labirinto viscoso.

Mi avvicinai immaginando le atroci sofferenze che stava sentendo e sorrisi squarciandomi ancora di più il labbro rotto.

Probabilmente feci qualche rumore sospetto di cui non mi ero accorta perché lui si girò in allerta verso di me.

In un primo momento il suo sguardo tradì una punta di puro terrore nel vedermi in piedi e armata ma poi con mia grande sorpresa sorrise sputando sangue per terra.

- Sapevo che eri più forte di quella checca di tuo fratello- disse ridendo con fare sadico e innaturale.

Il suo tono era calmo, un tono che si usa per parlare con un amico o....un familiare.

Digrignai i denti per la rabbia di vedere quell'uomo sorridere dopo il male che ci aveva fatto.

- Harry non era una checca- il fiato quasi mi mancava - e si è sacrificato per me- dissi con un gemito di dolore.

Lo vidi ridere. Rideva di gusto. Volevo solo metterlo a tacere e annegare nel mio dolore.

- Che vuoi fare ragazzina? Uccidermi? - sentivo ancora la sua risata tagliente. - Non riuscirerti mai a farmi del male- aggiunse ritornando improvvisamente serio.

- Si che ci riuscirei - dissi tremante - e lo farò-.

Lui scosse la testa - Non uccideresti mai tuo padre- proferì convinto e si guardò nuovamente la ferita.

Intanto nella mia mente quelle parole avevano sbloccato una camera segreta che mi invase con ogni ricordo orribile della mia vita.

E lui ne era la causa. Lui non era la persona a cui volevo bene. Lui non era l'uomo che mi aveva cresciuta. Lui non era mio padre.

Respirai profondamente e mi avvicinai di qualche passo.

Lui mi guardò incredulo e dubbioso mentre la distanza tra noi diminuiva.

- Tu non sei mio padre- e alzai l'attizzatoio sopra la sua testa.

The ghost of me 《Harry Styles》Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora