𝑯𝒐 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒂𝒎𝒂𝒕𝒐 𝒂𝒊𝒖𝒕𝒂𝒓𝒆 𝒈𝒍𝒊 𝒂𝒍𝒕𝒓𝒊, 𝒎𝒂 𝒏𝒐𝒏 𝒉𝒐 𝒎𝒂𝒊 𝒔𝒂𝒑𝒖𝒕𝒐 𝒂𝒊𝒖𝒕𝒂𝒓𝒆 𝒎𝒆 𝒔𝒕𝒆𝒔𝒔𝒂.

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Sabato 4 maggio, a Napoli, faceva ancora tanto freddo. E forse fu quello ad influenzare il cuore dei miei genitori, stranamente acidi e scontrosi.

Era ora di cena, quando la giornata andata fin troppo bene, era destinata a rovinarsi.

Da quando ci trasferimmo al piano di sopra del nostro palazzo di famiglia, mio padre aveva costruito un piano cottura fuori il balcone, perché a mia madre dava fastidio la puzza di cibo chiusa in casa. Quindi ogni volta, a cena, il freddo mi entrava fin dentro le ossa, quasi le congelava.

Sono sempre stata facilmente irritabile, ed era altrettanto sicuro che io mi arrabbiassi almeno due volte a settimana perché, nonostante io amassi il freddo, dopo una giornata di scuola, preferivo il calore di casa. Questo mi rendeva agli occhi dei miei genitori come una persona viziata e superficiale, e in effetti loro credono ancora io sia così.

Nonostante ciò, quando non mi arrabbiavo, loro mi adoravano come fossi la figlia perfetta, il vero amore di un genitore. E il 4 maggio, era la mia giornata storta.

Alle 21.10 di sera, il gelo era fin troppo pesante da sopportare. Ero stranamente stanca, e triste, forse perché era sabato sera ed io ero rimasta a casa, e ciò mi rende molto malinconica. Decisi, però, che non mi sarei arrabbiata. Ero stanca per litigare, fottutamente triste e sola. Ma quando qualcosa deve succedere, succede e basta, no?

Al telegiornale fece vedere un servizio su una famiglia che aveva perso suo figlio per uso di droghe. Io odiavo quel discorso. Mio padre odiava le droghe. E quindi un po' anche me. Mi spiego:

Ho iniziato a fumare da giovane, avrò avuto 14 anni e mezzo, poco più, poco meno. Mio padre ha sempre odiato l'idea delle sigarette, ed io ne ero a piena conoscenza, ma a me piaceva, e quindi iniziai a farlo. Non mi fregai delle conseguenze, ma avevo paura e vergogna di ciò che stavo facendo. E non chiedetemi paura di cosa, perché credo sia palese. Vergogna... beh, io sono sempre stata molto fedele agli ideali dei miei genitori, e quella fu la prima volta che feci di testa mia, e mi sentii davvero una bruttissima persona, ma poi ho capito che è tutto normale.

In tutto ciò, in un modo che forse poi racconterò, mio padre è venuto a saperlo, e tutt'ora non so quale sia stata la sua reazione. Da lì, ogni volta che si parla di droghe, lui inizia a rinfacciarmi ciò che ho fatto, e a dirmi che sono una persona che si fa troppo trasportare dalle cattive amicizie.

E allora mi arrabbiavo, perché per quanto male mi abbiano potuto fare Luca e i suoi amici, io continuavo a volergli bene. E non chiamatemi stupida, perché so di esserlo stata, ma dopo 3 anni, era inevitabile non essergli ancora affezionata.

E fu così che, quel sabato 4 maggio, diventò un venerdì 17. 

Prima di andare a dormire, capii che quel litigio mi aveva solo fatto male, che le parole che erano uscite dalla loro bocca mi avevano fatto uscire il sangue di bocca, mi avevano riaperto ferite fisiche e mentali. Mi avevano fatta sentire una nullità, uno zero.

Purtroppo il mio letto non mi è mai stato amico. Ogni notte, quando mi coprivo, iniziava a sussurrarmi cose orribili, passate, presenti. Iniziava a parlare male di me, usando la voce dei miei cari, mi faceva pensare cose che io ritenevo vere.

"Sei per tutti un fallimento, una delusione. A volte vorrei tu ti vedessi con gli occhi degli altri per farti capire quanto il mondo starebbe meglio senza di te, per farti capire che la tua presenza qui è un posto che non meriti.

Che poi sei anche brutta, per questo tu e Luca non siete più insieme, non è solo colpa dei tuoi genitori. Perché altrimenti non sarebbe andato via così facilmente, avrebbe lottato per esserci, per te. E non piacerai mai a nessuno, perché l'unica cosa carina che hai è il colore dei tuoi occhi, e quella piccola fossetta alla sinistra della tua bocca. Il resto può anche buttarsi."

Era così, che il letto mi accompagnava nelle mie notti insonni, che il cuscino si bagnava, che gli occhi si spegnevano. A volte singhiozzavo, e poi mi tappavo la bocca mordendo le lenzuola, come se stessi urlando per far uscire fuori tutto ciò che trattenevo dentro. Sì, trattenevo. Perché di ciò non ne parlavo con nessuno.

Ho sempre amato aiutare gli altri, ma non ho mai saputo aiutare me stessa. E non ho mai voluto che altri mi aiutassero, anche se dentro me speravo vedessero la scintilla di dolore che portavo dentro. E fino a quel momento, solo Luca ci era riuscito.

Era difficile calmarmi le notti in cui piangevo, neanche i respiri profondi, o il fumo riusciva a farlo. Dovevo solo pensare alle cose belle, ed era da un po' che non ne avevo. In cambio avevo solo delle lacrime represse, un cuore spezzato e tanta voglia di stare per mesi interi a mordere le lenzuola senza nessuno che venisse a dirmi che dovevo alzarmi per andare a scuola.

A volte volevo solo svegliarmi senza dover indossare quei sorrisi finti di cui tutti parlano, quelle maledette risate che mi hanno insegnato a mentire come fossi un'attrice professionista. Volevo solo vivere davvero per una volta ancora, per una volta davvero.

Dopo gli episodi di bullismo che mi hanno seguita sin dalle elementari, non riuscivo più a riprendermi. Sentivo i pensieri di chi mi era affianco parlare male di me, come facevano alle medie. Li sentivo urlarmi di andare via, quanto fosse orribile il mio corpo, li sentivo urlare quanto fosse brutto il mio apparecchio, e il mio sorriso dai denti un po' storti. Io li sentivo, e tapparmi le orecchie non è mai bastato.

A tutto ciò si aggiungevano i brutti voti, dovuti all'ansia, alla paura di non essere mai abbastanza, alla voglia di dare sempre il meglio, ma alla paura di non riuscirci mai. Era tutto frutto del mio terrore di sbagliare, della vita piena di impegni che mi creavo in testa pur di non litigare con i miei. Era tutta colpa mia.

Ed era così che passavo le notti. Piangevo come una bambina, come un anziano che sapeva di star per morire e come una moglie innamorata che stava per divorziare. Ero disperata e nonostante sembrava non avessi motivi, il mio cervello ne creava abbastanza.

E la voglia di ferirmi tornava ancora e ancora, e la capacità di bloccarmi diminuiva sempre di più, e allora lo facevo. E vedere quel sangue mi aiutava, ma poi tornava il panico.

Sono sempre stata troppo debole per sopravvivere.

Ho sempre avuto troppi pensieri per una 16enne.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 08, 2019 ⏰

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