5. Ti levi dal cazzo o no?

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Lunedì 24 settembre, 2018
12:25

Non riuscivo ancora a spiegarmi quali assurdi pensieri avessero percorso la mente del prof d'italiano, nel preciso istante in cui aveva stabilito che proprio io dovessi comunicare a un certo Niccolò del quinto anno che lui voleva parlargli.

A quest'ora avrebbe dovuto seguire la lezione d'informatica, il cui laboratorio -a detta di molti studenti dell'Artemidis- si trovava nei meandri della scuola.

Ottimo.

In pratica il mio senso dell'orientamento in quell'edificio, si poteva benissimo paragonare a quello di un vagabondo in mezzo al deserto africano, visto che mi ero già persa due volte nel tentativo di trovare il corridoio giusto.

Avrei dovuto rifiutare l'incarico, forse in classe mi stavano già dando per dispersa.

Maledizione!

Il professore mi aveva illustrato, sebbene con non poca confusione e rapidità, di scendere le scale fino al piano terra e di dover immettermi in un corridoio stretto e poco illuminato.

Peccato che non aveva specificato in quale direzione andare per raggiungerlo.

Dopo aver vagato, compiendo a vuoto altri due giri completi del piano terra, finalmente vidi in lontananza la mia meta e la imboccai.

Il fatto che quella zona della scuola fosse davvero poco illuminata, rendeva l'atmosfera tetra quasi come in un film horror, ma proseguii comunque, anzi, cercando di aumentare il passo.

A quel punto, mi spettava l'operazione più semplice: dovevo solo rivolgere il mio sguardo prima a destra e poi a sinistra in cerca della targhetta che recitava "Laboratorio d'informatica".

Nel frattempo controllai l'orologio sul polso che segnava già l'una meno venti e riflettei sul problema di aver perso un quarto d'ora di spiegazione.

Non che la poesia barocca suscitasse in me un interesse particolare, ma era mio solito prendere appunti così da comprendere con più facilità a casa.

Invece, ora, avrei impiegato il doppio del tempo a studiare quell'argomento, sprecando ore preziose del mio svago quotidiano davanti un bel libro o una della vasta gamma di serie tv che avevo persino segnato in una lista.

Immersa totalmente nei miei pensieri, mi accorsi troppo tardi della sagoma scura di una ragazza che, sbucata dal nulla dall'altro capo del corridoio, adesso correva nella mia direzione.

Ebbi l'istinto di fermarmi, poiché il passaggio in cui mi trovavo, era troppo stretto affinché due persone alla volta potessero attraversarlo, senza che una delle due si facesse da parte.

Anche la ragazza si arrestò di fronte a me. Il suo petto prese a gonfiarsi e sgonfiarsi secondo una rapida cadenza, accompagnato da un respiro affannato e irregolare, che la spinse a separare le labbra in cerca di un po' d'aria.

Era più alta di me di una decina di centimetri; i capelli, lunghi fin sotto le spalle, erano scuri intorno al viso, di un colore poco distinguibile attraverso la scarsa illuminazione di quel luogo e indossava una canottiera bianca che spiccava in quella penombra.

Spostai il mio sguardo sul suo e scorsi due occhioni ambrati che mi fissavano con aria interrogativa.

A quel punto, decisi di interrompere la strana attesa venutasi a creare in quel corridoio e mi spostai lateralmente verso destra, invitandola a proseguire; ma lei fece lo stesso e ci ritrovammo al punto di partenza.

Allora feci un passo verso sinistra e lei mi copiò di nuovo.

Ma che cavolo!

Le rivolsi un'occhiata esasperata e notai con stupore, la stessa identica sensazione dipinta sul suo volto.

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