Le chiavi di casa mia.

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Se c'era una persona incapace di credere alle favole, quella era Claudio Conforti. Le cose belle non potevano accadere, non erano destinate a farlo mai nell'arco di una vita, inutile illudersi. Poi certo, c'erano persone particolarmente fortunate che constatavano l'esistenza di felicità durante la loro vita e Claudio quelle persone così le odiava. Non si spiegava come le persone si negassero di vedere l'altra faccia della medaglia, quella nascosta, ma che prima o poi si fa notare. Lui non si dimenticava mai che ogni volta che gli era sembrato di star vivendo qualcosa di bello, la delusione si era affacciata all'angolo. Era esperienza la sua, ma pure abitudine. Seppure la felicità toccava qualcosa o qualcuno, sarebbe stato effimero: sarebbe sempre sopraggiunta la morte, questo gli aveva insegnato il suo lavoro. E questo modo di pensare non lo abbandonava mai, costringendolo ad avere sempre una visione "fredda" dei piaceri della vita. Ma le eccezioni esistono: le ammette la scienza e, anche Claudio, in cuor suo, sperava di poterne ammettere una.

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«Claudio, comunque lo devi formattare questo pc. Io non me ne intendo molto, forse Paolone avrebbe trovato un modo, ma per me è l'unica soluzione. Se hai un hard disk ti faccio partire un back-up.» disse Alice a voce alta smanettando sul portatile del dottor Conforti che giaceva in coma sulla scrivania nel piccolo studio di casa di lui.

«Caffè.» rispose lui entrando nella stanza con un vassoio su cui svettavano due austere tazzine ricolme della bevanda densa e profumata. Poggiò il vassoio accanto al mouse e poi si piegò sulle ginocchia per estrarre un hard disk da uno dei cassetti.

Alice impostò il back-up e si alzò, sorseggiando il caffè. Camminò per qualche metro raggiungendo il balcone e uscì fuori, ancora con la tazzina tra le mani.

Claudio la seguì in trance, assorto nel l'osservazione di lei, tenendo le mani nelle tasche posteriori in maniera impacciata. Le restò alle spalle per dei minuti che parvero eterni, ma beati, tranquilli e spensierati. Osservava la ragazza con la cornice meravigliosa della città, che stava iniziando a colorarsi di un intenso rosso al tramontare del sole.

Il vento scompigliò i capelli di Alice finendo sul volto di Claudio che le stava un po' troppo dietro, col mento che quasi le sfiorava le spalle e il naso che poteva annusare in un respiro il buon profumo di shampoo al miele che Alice ricomprava sempre da un'amica di Cordelia.

«Scusa.» mormorò Alice girandosi per scostare i capelli. Claudio li spostò tutti su una spalla, approfittando di quella scoperta per dare un bacio su quella pelle morbida e liscia. La sua bocca risalì lenta dalla spalla al collo, finendo il percorso sul lobo. Alice fece un mezzo giro, mentre Claudio ancora giocava con la lingua nell'angolo tra l'orecchio e la mascella. Senza fermarsi, proseguì diritto da quel punto, stampando candidi baci, fino a raggiungere le labbra della ragazza, dove si occupò di rimuovere ogni traccia di colore. Il burro cacao al lampone era una recente scoperta di Alice e Claudio parve apprezzare, mugolando quando il sapore dei lamponi si sprigionò sulle sue papille gustative. Le diede un piccolo morso, senza stringere troppo i denti, e poi proseguì con un bacio sempre meno casto, mentre le sue mani si infiltravano tra le ciocche di capelli di Alice che, a sua volta, aveva preso ad accarezzare il collo di Claudio. La ragazza ricambiava i baci senza esitazione e percepiva un costante sorriso distendere la labbra del dottore e increspargli il volto di soddisfatte rughe d'espressione.

Cosa rese quel bacio così diverso da tutti gli altri, perfino migliore del dormire insieme al congresso, fu il fatto che Claudio fosse a casa sua. Non lo avrebbe mai potuto spiegare a nessuno, sarebbe sembrato troppo strano, ma la realtà era proprio quella. Claudio a casa sua era sé stesso per davvero: non ci finiva con le avventure di una notte, non ci portava le studentesse ad approfondire le lezioni di anatomia, ci stava sempre da solo. Casa sua era il suo eremo, l'unica donna che ci entrava era Sandra, la signora delle pulizie, una santa donna sulla quarantina, che Claudio aveva conosciuto riconsegnandole gli effetti personali di suo marito, morto 5 anni prima per un incidente sul lavoro cadendo da una gru. Claudio permetteva solo a lei di toccare le sue cose, di spostarle, perché le metteva proprio dove le avrebbe messe lui, ma poi nessun altro ne aveva neanche accesso.
Entrare in quel mondo, candido come pareti dell'Istituto, ma meno austero, seppur monacale, era una cosa più unica che rara. Perciò Claudio sentì di potersi lasciar andare. Era come esser solo, nudo, ma sereno, ma con la piacevolezza dell'esser in due e di poter fare cose che da solo non avrebbe avuto soddisfazione a fare.

Prese Alice tra le braccia, la strinse forte ed entrò dentro casa: continuò a baciarla ad occhi chiusi mentre si muoveva attraverso le stanze e il corridoio dell'appartamento in maniera sicura. Alice si ritrovò in una stanza semplice, ma curata, dove filtrava la luce rosata del tramonto e venne adagiata su un lenzuolo di cotone bianco contornato di una decina di cuscini con una delicatezza inaspettata, come se fosse una neonata che veniva poggiata nella sua culla.

Quella sera Claudio ebbe la certezza di aver fatto l'amore per la prima volta: al Congresso aveva preso piena consapevolezza di quanto lui e Alice si completassero e funzionassero, come gli ingranaggi di un orologio, mentre quella volta aveva trasmesso la sua certezza ad Alice, che la prima volta si era come pentita della sua azione, ma che questa volta giaceva sorpresa e soddisfatta sul letto alto.

«Hai fame?» chiese Claudio afferrando la mano di Alice e carezzandone il dorso.

«In realtà, sì... Di solito avrei già cenato da un pezzo.» rispose la ragazza.

«Vabbè, hai fatto di meglio.» esclamò Claudio ammiccando un sorriso. «Comunque se ti va uno spaghetto aglio, olio e peperoncino te lo preparo io.»

«Va benissimo.» accettò Alice con un sorriso e si sporse a dargli un bacio sulla guancia mentre si alzava.

Alice rimase un altro po' a letto, a pensare alle ore precedenti senza pentirsene. Non se lo aspettava, non era andata a casa di Claudio per un secondo fine o forse era lei troppo ingenua per non averlo notato, ma non le importava. Non c'era niente di male in quel "Sacrofano, il mio computer è in prognosi riservata, sei l'unica rimasta a Roma.. sapresti soccorrerlo? Sai, non è proprio il mio campo.." e quindi aveva lasciato casa di Cordelia, in cui si era trasferita già da un mesetto, per raggiungere il suo capo, che abitava poco distante. Fece una passeggiata in centro a Roma e arrivò da lui, venendo accolta da un grande sorriso spontaneo, effettivamente difficile da vedere su Claudio, che prediligeva sempre quei sorrisi divertiti e a tratti sadici.
Era una ragazza libera e non aveva motivo per sentirsi in colpa: anzi, sentiva le farfalle nello stomaco. 
"Basta, ho fame!" pensò improvvisamente e si alzò, infilandosi il vestitino di velo giallo che aveva messo quel pomeriggio quando si era recata a casa Conforti per soccorrere il portatile impazzito del suo capo.

Uscì in cucina a piedi nudi, poggiando le piante sul parquet liscio. Claudio era attaccato alla penisola e controllava con una forchetta la cottura della pasta.

«È pro-» cominciò con voce tuonante, poi si rese conto che Alice era proprio dietro di lui e allora ridusse la voce ad un sussurro: «-pronto.»

Divise la pasta in due piatti e li servì posandoli uno di fronte all'altro sul tavolo.

«Dovrebbe essere il mio cavallo di battaglia, non che sappia fare molto di più, comunque, eh!» avvisò Claudio mentre Alice addentava la prima forchettata.

«Buonissima!» rispose Alice con bocca chiusa, coprendosi con una mano.

Claudio rise e le versò un calice di vino rosso campano. Alice trangugiò tutto e finì di mangiare in pochi minuti. Claudio si pulì la bocca e allontanò un po' la sedia dal tavolo, rimanendo comunque seduto a gambe divaricate, invitando con uno sguardo Alice a sedersi su di lui. Alice si alzò e si accomodò sulla coscia del dottore, avvolgendo un braccio attorno al suo collo, mentre lui la teneva stretta sul fianco, come a farle da schienale. Claudio le baciò le labbra e le accarezzò il corpo. Ad un certo punto interruppe il bacio per stendere le labbra in un sorriso.

«Mh, ci prendiamo già gusto, Sacrofano!» esclamò con quell'ampio sorriso a un paio di centimetri dalle labbra di Alice che rimase immobile, senza capire perfettamente a cosa lui si riferisse. Quel sorriso mutò un po', lo sguardo si fece impercettibilmente più scuro e l'espressione divenne beatamente concentrata.

Poi fu la mano di Claudio che le risaliva una coscia a darle la risposta. Nella confusione del momento, rivestendosi, non si era rimessa le mutandine. E così il dottor Conforti diede inizio al Round 2, infilando una, poi due e infine tre dita nell'intimità della sua allieva che, ansimando, gli riempiva le orecchie di musica.
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«Sarei rimasto con te a letto tutto il giorno, ma mi ha chiamato Anceschi per un sopralluogo. Ti aspetto in Istituto, chiudi tu?»

Era scritto in una nota sul comodino, dove la radiosveglia segnava le 9:27 di un già torrido sabato mattina. Sul foglietto era poggiato un mazzo di chiavi che portava dentro una targhetta plastificata un cartoncino con la scritta "Alice" nella caratteristica calligrafia di Claudio e un portachiavi a forma cuore con una serratura. Sorridendo, Alice si preparò per un nuovo, luminoso giorno all'Istituto.

Le chiavi di casa mia [L'allieva]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora